mercoledì 31 ottobre 2007

la verità rende liberi (e liberali)


Nitido, lucido, diretto, appassionato e documentatissimo atto d'accusa.
La verità dei numeri squarcia il velo di maya sul grande inganno delle cooperative rosse.

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lunedì 22 ottobre 2007

Rosaria Sardo: Polisemia e cooperazione comunicativa nel linguaggio lomografico di G. Caviezel (6).


1.5. Maschile e femminile.

Nella sequenza a fianco si affaccia un altro tema significativo della ricerca dell’autore: il dialogo, il contatto, l’opposizione tra maschile e femminile.
Si comincia con una sequenza di apparente stampo naturalistico: un bacino e delle gambe maschili, un bacino e delle gambe femminili che si avvicinano, si accostano, si incontrano. Il contrasto è immediato: al blu compatto dei jeans maschili si contrappone il chiarore spezzato delle gambe femminili in posizione di avvicinamento e, nel fotogramma successivo, all’indifferenza voluta o apparente dell’uomo, simboleggiata dalla mano in tasca, si oppone il dinamismo consapevole del movimento femminile. È un incontro/non incontro che potrebbe apparire emblematico di tante situazioni odierne ma che è reso leggero, casuale, noncurante dal taglio lomografico, con la sua casualità e con la “freddezza” tipica del medium.
Fin qui il percorso conoscitivo indicato dalla raccolta lomografica di Caviezel appare abbastanza chiaro: c’è una ricerca insistente su un femminile archetipico colto nella sua essenza dicotomica e dialettica. Alla femminilità allegra colorata e teatrale si contrappone una femminilità sofferta, affaticata e “addomesticata”. Alla donna paziente o impaziente che comunque aspetta, si oppone la donna che prende l’iniziativa, che si muove, che cerca. La tecnica lomografica coglie con distacco apparente e con casualità necessaria queste dicotomie con una scansione analitica originale in grado di “raccontare” per picchi informativi (un picco per ogni fotogramma in sequenza), lasciando al fruitore dell’opera ampio margine di riflessione e di gioco.
L’artista-uomo attraverso lo strumento ermeneutico rappresentato dalla lomocamera cerca di “ingabbiare in uno scatto quadripartito” (sono parole dell’autore) un’essenza di femminilità che è comunque sfuggente, multiforme, indomita e poco incline per natura alle schematizzazioni.
In un bel saggio del 1979 intitolato proprio Maschile/femminile, Francoise Héritier indagava con taglio socioantropologico sulla possibilità di definire «una natura femminile, morfologica, biologica, psicologica» al di là delle tradizionali contraddizioni definitorie (donna ardente/donna fredda, donna volubile/donna angelo del focolare, donna pura/ donna corruttrice) e in rapporto all’altro imprescindibile polo della questione: la natura maschile. Considerato che «le componenti psicologiche, gli atteggiamenti particolari che formano i quadri della mascolinità e della femminilità» variano a seconda delle culture e delle società, dell’educazione e delle ideologie, l’unico fattore a rimanere invariato resta, nell’opinione dell’autrice, la ricerca maschile di un controllo su quanto è destinato a sfuggirgli, ovvero il fondamentale processo naturale della fecondità: « non è il sesso ma la fecondità che costituisce la vera differenza tra il maschile e il femminile, e il dominio maschile, che occorre ora cercare di capire, è fondamentalmente il controllo, l’appropriazione della fecondità della donna» che non è certo un fatto fisico quanto un fatto sociale e « il controllo sociale della fecondità delle donne e la suddivisione del lavoro tra i sessi» sono i reali « meccanismi che fanno di quella ineguaglianza un rapporto valorizzato di dominio/sottomissione» , superabile solo attraverso varie forme di cooperazione.
Quasi a confermare quanto detto in chiave antropologica dalla Héritier, la successiva indagine conoscitiva condotta da Caviezel attraverso il mezzo lomografico sembra dipanarsi proprio a partire dal problema del rapporto tra donna e società, tra donna e ruoli sociali che la società le propone/impone.
(6-fine)

k7


© giovanni caviezel, k7, 2007

mercoledì 10 ottobre 2007

La cacca e il trio + uno

John Lennon (Liverpool, 9 ottobre 1940 – New York, 8 dicembre 1980)

un governo che paga degli esperti per analizzare il suo stesso programma

CONSULENTI, LA CARICA DEI MILLE. IL MINISTRO E I SUOI 344 UOMINI…
Sebastiano Messina per “la Repubblica”


C'è davvero un po' di tutto nell'elenco dei 1253 esperti e consulenti a libro paga del governo Prodi. Giuristi e ginnasti, generali e creativi, cinefili e professoresse, ambasciatori e webmaster, giornalisti e rettori, figli della Patria e figli di papà. Sono 1253: una media di 48 esperti a dicastero, anche se questa - come tutte le statistiche - appiattisce una realtà dove ci sono ministri come Di Pietro e Mastella che dichiarano zero consulenti, e altri, come Rutelli, che con il loro elenco superano - da soli - un terzo del totale: 436.
Un Mastella, Pellegrino, figlio del Guardasigilli, è consulente del ministero per le Attività produttive con l'incarico di assicurare (per 2700 euro al mese) "attività di collaborazione finalizzata all'approfondimento delle specificità dei modelli anglosassoni".

E un Gambescia, figlio del deputato diessino Paolo, è consulente del ministro per l'Innovazione (1500 euro mensili) "per l'elaborazione e la verifica delle linee programmatiche relative al rapporto tra la pubblica amministrazione e il sistema delle imprese". Non c'è invece - non ancora, perché il decreto non è stato ancora registrato dalla Corte dei conti - il nome di Angelo Rovati, che dopo essersi dimesso da consigliere di Prodi è stato riassunto una settimana fa come "esperto per il Kazakistan" (specializzazione tanto circoscritta quanto sorprendente).

Nessuno di questi 1253 consulenti diventerà ricco, con gli assegni staccati dal governo. Ma il primo a essere convinto che queste spese siano eccessive è proprio il presidente del Consiglio, che ha appena firmato un decreto con il quale taglia di un terzo - a partire dal 2008 - la cifra destinata ai consulenti dell'esecutivo. Certo, anche lui dovrà usare le forbici, visto che al momento la Presidenza del Consiglio conta 120 contratti di consulenza.

E di questi, solo sette - oltre a Renato Ruggiero - hanno accettato di collaborare in cambio di uno spartano rimborso spese. Tutti gli altri vanno pagati, dai 6000 euro dei componenti del Comitato per la Biosicurezza ai 40 mila di Massimo La Salvia, inquadrato nel Dipartimento Risorse Umane.

I ministri Mastella e Di Pietro, che dichiarano di non avere consulenti al loro servizio, non dovranno tagliare nulla. Né si potrà chiedere un sacrificio al Viminale, dove Giuliano Amato ha firmato un unico contratto di consulenza (con il professor Francesco Raiano: 30 mila euro annui), e tantomeno alla Difesa, dove Arturo Parisi ha ingaggiato un solo esperto (il dottor Andrea Grazioso, esperto di problematiche strategiche internazionali: 36 mila euro) più due per i suoi sottosegretari. Avranno poco da risparmiare anche il ministro del Lavoro, Damiano, e quello della Pubblica Istruzione, Fioroni, che hanno due consulenti a testa.

Ma agli altri, qualche rinuncia potrà essere chiesta. Prendiamo il ministero dell'Ambiente, che nel bilancio dello Stato pesa per la metà di quello delle Politiche agricole. Eppure, mentre Paolo De Castro s'è accontentato di otto consulenti, Alfonso Pecoraro Scanio ne ha 344. Invece di averne la metà, ne ha quarantatré volte di più.

C'è un motivo, anzi ce ne sono tre. Il primo è, diciamo così, storico: quando nacque, il ministero (che allora si chiamava "dell'Ecologia") non poté fare nuove assunzioni, così fece un massiccio ricorso ai contratti a termine, cioè alle consulenze: è andata avanti così, dal 1987 a oggi, con il risultato che al ministero oggi il numero dei precari (1319) supera quello degli assunti (1255).

Poi c'è una ragione politica. I ministri dell'Ambiente hanno preso l'abitudine, prima di lasciare la poltrona, di rinnovare i contratti ai loro consulenti per altri quattro o cinque anni, così ogni ministro si ritrova in eredità i consulenti del suo predecessore: come quel Paolo Pontoni a cui il ministro Altero Matteoli, la vigilia di Natale del 2005 ha rinnovato un contratto di consulenza per cinque anni. Non si sa se Pecoraro sarà ancora ministro, nel 2010, ma di sicuro Pontoni sarà ancora consulente: a 78 mila euro l'anno.
(Riflessioni di Governo...Romano Prodi - Foto U.Pizzi)

Poi, certo, Pecoraro ci ha messo del suo. Ingaggiando a 100 mila euro l'anno cinque consulenti per il suo gabinetto (tra cui il verde Sauro Turroni, trombato nel 2006). Più otto per i suoi sottosegretari. Più sette per la Direzione Generale "Qualità della vita". Più 54 per il servizio "Protezione della natura". Più 107 per la "Ricerca ambientale". Più 138 per la "Difesa del suolo". Più 14 per la "Salvaguardia ambientale". Più cinque dirigenti di fascia alta (in media 95 mila euro a testa). Più sei consulenti - tra cui Rubbia - che, bontà loro, non vogliono un centesimo. Totale, 344. Ai quali bisogna aggiungere un'altra infornata di consulenti i cui decreti, firmati ad agosto, non sono ancora stati registrati.

Chi sono, i consulenti del ministro dell'Ambiente? Gli ecologisti, ovviamente. E dove si trovano la maggior parte degli ecologisti? Nei Verdi, partito che Pecoraro Scanio conosce benissimo, essendone il leader. Ecco perché sono proprio dei Verdi, giusto per fare un esempio, 14 dei 20 componenti della segreteria tecnica per la Protezione della natura. Due su tre. Una scelta, come dire?, naturale.

Dovrà sicuramente tagliare nomi e compensi il ministero dei Beni Culturali, che oggi con i suoi 436 incarichi guida la classifica delle consulenze (però bisogna tener conto che vengono messi a carico di Rutelli i contratti stipulati dalle Sovrintendenze di tutta Italia per mostre, convegni ed esposizioni varie). La cifra più alta, 133.250 euro, è andata l'anno scorso alla società Arché, per la "catalogazione dei manoscritti della biblioteca nazionale universitaria di Torino danneggiati dall'incendio del 1904". Ovvero 103 anni fa: non è mai troppo tardi.

Giusto per dare il buon esempio, un po' di economia potrebbe farla anche il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Che oggi spende un milione 719 mila euro per i suoi 85 consulenti, una media di 20 mila euro a testa. E allo Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani forse dovrà dare un'accorciatina alla sua lenzuolata di 69 consulenti (cominciando, magari, dal figlio di Mastella).
Poi, certo, anche i ministri "senza portafoglio" (cioè senza fondi propri nel bilancio dello Stato) potrebbero rinunciare a qualche esperto. Emma Bonino, per dire, alle Politiche comunitarie ne ha per nove volte e mezza di quelli su cui può contare Massimo D'Alema. E se il ministro degli Esteri ha scelto come uno dei suoi quattro consulenti giusto il responsabile nazionale diessino degli Italiani all'estero, Norberto Lombardi (25 mila euro annui), la Bonino ha inserito un buon numero di radicali tra i suoi 38 esperti, a cominciare dall'avvocato del partito, Giuseppe Rossodivita, incaricato di studiare "problemi e prospettive intorno all'ipotesi di costituzione di una Procura europea". Problemi, prospettive, ipotesi: per 4000 euro al mese, si può fare.

Del resto, così fan tutti. Neanche l'unico ministro di Rifondazione, Paolo Ferrero, ha saputo resistere alla tentazione di nominare due dei suoi tre esperti (Maria Teresa Rosito e Andrea Del Monaco, 45 mila euro l'anno) tra i compagni di partito. Il suo collega dei Trasporti, Alessandro Bianchi (Pdci), ha invece pescato tra i colleghi dell'università: tra i suoi 18 consulenti, ci sono sei professori e un rettore (ma il primo della lista è il responsabile nazionale Trasporti del Pdci, Eduardo Bruno).

Forse, con un po' di buona volontà, si potrebbe eliminare qualche incarico dall'oggetto nebuloso. Il ministero per l'Attuazione del programma, per esempio, paga 2000 euro al mese a Sortito Casali per "l'analisi degli obiettivi del programma di governo, in relazione alla possibilità di una loro misurazione tramite indicatori di carattere quantitativo", e altri 1100 euro mensili a Simona Genovese, affinché fornisca una "analisi del programma di governo sia nei suoi aspetti giuridici sia in quelli di carattere operativo". Non si era mai visto, un governo che paga degli esperti per analizzare il suo stesso programma. Ma, come si dice, c'è sempre una prima volta.

lunedì 8 ottobre 2007

BLUEPRINT

BLUEPRINT © Giovanni Caviezel 2007
elaborazione di una fotografia di una riproduzione del 1911 di "Blue Dream" di Rembrandt detto il Caravaggio.

giovedì 4 ottobre 2007

dalla Wertmuller pesci in faccia alle famiglie sotto la soglia di povertà

da "Dagospia", 4/10/2007

Male, anzi malissimo per i film d’autore italiani presentati a Venezia e finanziati dallo Stato. I ciellini-liberisti di “Tempi” sono andati a spulciare i risultati del botteghino e hanno cucinato un’inchiesta a puntate che parte con una classifica all’incontrario: i più pagati e i meno visti. A cominciare a “Il dolce e l'amaro” di Andrea Porporati, quasi 2 milioni di euro di fondi e 655 mila euro di incasso finora. Peggio ancora il film di Sabina Guzzanti, “Le ragioni dell'aragosta”, 400mila euro di fondi e poco più di 250 mila euro di incasso. Notte fonda per il film di Marra sulla Gdf che ha scatenato l’indignazione delle Giamme gialle e un’interrogazione di forza italia: 1.650.000 euro di finaziamento e poco più di 100 mila euro di incasso! Certo ancora nulla in confronto alla regina del flop assistito, Arcangela Felice Assunta Wertmuller von Elgg Spanol von Braucich in arte Lina Wertmuller. Il suo “Peperoni ripieni e pesci in faccia” (2004) costato un'enormità (3.718.500 euro, praticamente una delle cifre più alte sborsate da sempre dallo Stato per finanziare i film) incassò 6.625 euro.

martedì 2 ottobre 2007

Rosaria Sardo: Polisemia e cooperazione comucativa nel linguaggio lomografico di G. Caviezel (5).



1.4. Una femminilità “addomesticata”.
Le 2 lomografie qui riprodotte sembrano costituire una macrostruttura unitaria, che riprende e amplia la tematica della femminilità “ addomesticata” già accennata nelle sequenze precedenti. In questo nucleo il tema si connette a un altro filo conduttore che potremmo forse definire come quello della “fatica di essere donna”. Nella lomo n.1 la scelta di riprendere le gambe, fondamenta portanti di un carico giornaliero impegnativo, mostra una notevole forza espressiva. Le linee scure delle gambe di donna indicano un frettoloso percorso di rientro a casa, con la soglia che si definisce nell’ultimo fotogramma quasi a segnare la conclusione imposta e obbligata del percorso stesso. Tutta la fatica di chi è sempre costretto a raggiungere in fretta una meta prestabilita emerge non solo dalla somma degli elementi visivi presenti, ma anche da quelli evocati in absentia (chi o cosa aspetta la donna oltre la soglia?). Ancora una volta compare una variante del grembiule, il camice azzurro accompagnato dalle ciabatte, simboli di una sottomissione non cercata, che richiamano per contrasto altri abiti e altre calzature. È a partire da questo scarto figurativo che nasce un possibile spazio narrativo a partire da questa sequenza lomografica.
È un ritmo che cerca e incoraggia le pause, non solo di evasione, ma anche di ricerca di una comunicazione quello che ci mostra la lomografia successiva, la n.2. In questa sequenza, infatti, la stessa figura di donna, immersa in una luce cittadina che disegna sul selciato paesaggi alternativi e colora il grigio a sorpresa, viene mostrata accanto a un’altra figura femminile. Adesso il tema della fatica quotidiana si sdoppia in due diverse figure col sacchetto per la spesa, l’una in tenuta “istituzionalmente” domestica, l’altra in “abiti civili”. L’orientamento della testa della prima figura verso la seconda suggerisce un tentativo di dialogo en passant, una battuta forse accolta, forse respinta. Nel secondo e nel terzo fotogramma la luce colpisce e disintegra la parte superiore della figura di donna in “abiti civili” e impedisce di capire l’esito del contatto prossemico, resta da notare che la figura rimane immobile, rigida in una postura articolata solo dal ritmo del passo.
La sequenza 8 ( lomo14) mostra un altro aspetto della femminilità “addomesticata”: l’attesa forzata. Ancora una volta sono di scena le gambe, stavolta snelle, scattanti ma frenate sulla soglia (altro topos significativo della poetica visiva di Caviezel), in volontaria/involontaria posizione di attesa di qualcuno o di qualcosa, in bilico tra un prima e un dopo. Il guizzo del muscolo del polpaccio nell’ultimo fotogramma indica questa tensione generata dall’attesa. La sequenza appare particolarmente netta ed elegante da un punto di vista formale e sembra rappresentare un vertice di naturalismo e simbolismo insieme, insolito nello scatto lomografico: il gioco prospettico delle linee dritte e spezzate che partono dal piedritto, vanno al portone e scendono per le gambe, crea un insieme molto coeso e coerente che pure lascia il solito spazio d’inferenza tra i fotogrammi con una serie di presupposizioni sul tema della donna e l’attesa.
(5- continua)