venerdì 30 novembre 2007

IL FU MATTIA BAZAR

da Dagospia

I MONTY PYTHON? CERCA NELLO SCAFFALE ALPINISMO…
Prendete un venditore di libri e fategli ricordare le richieste assurde dei clienti, i titoli strampalati, i nomi storpiati degli scrittori: ecco “Il fu Mattia Bazar” (Orme) di Franco Zaio (responsabile della saggistica alla Feltrinelli di Genova) con la collaborazione della giornalista Giovanna Zucconi e di Stefano Bartezzaghi.

Qualche esempio? Chi chiede in libreria “Fanta amara” di Ignazio Silone o “La ragazza del pube” di Carlo Cassola. E non basta. Zaio ha anche aperto un blog (http://ilfumattiabazar.blogspot.com) per aggiornare il suo lavoro con nuove perle. Comprese certe risposte dei librai. Come quello che ha indirizzato il cliente alla ricerca di un volume sui Monty Python nel reparto «guide turistiche, sezione alpinismo».

domenica 25 novembre 2007

pubblicità e tv

dal "Corriere" online

Pubblicità che non si interroga sul domani

di Aldo Grasso

In Italia è sveglia sul breve, sulla sopravvivenza, ma è lenta sul futuro e preferisce mettere a profitto le occasioni

Cosa succederebbe se la pubblicità (inserzionisti, centri media, agenzie) dicesse a Rai e Mediaset: guardate che se continuate a fare questo schifo di programmi, che faranno anche audience ma lasciano indifferenti i nostri target, chiudiamo i cordoni della borsa? In Italia, la pubblicità ha questo di paradossale: è sveglia sul breve, sulla sopravvivenza, ma è lenta sul futuro. Non si interroga mai sul domani (o si interroga poco), preferisce mettere a profitto le occasioni. Non invita perentoriamente Rai e Mediaset a imparare a fare le fiction; s'industria lei a sfruttare al meglio le grandi fiction. Nasce così la promofiction o promoserial, lo spot integrato, lo spot che utilizza la voce del protagonista o del doppiatore per segnare una linea di continuità fra l'opera e la sua interruzione, per far sì che lo spettatore non distingua subito dove finisce dr. House e dove invece comincia la reclame. Sì, ma quale spettatore?

venerdì 23 novembre 2007

un video contro la fame nel mondo

No alla fame nel mondo: dillo con un video

L'Onu si rivolge ai ragazzi di YouTube con un concorso: un video che abbia come tema la fame nel mondo

ROMA – Il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (Pam) vuole sensibilizzare i giovani e la generazione YouTube sul delicato tema della fame nel mondo. E cosa c’è di meglio di un cortometraggio trasmesso sul popolare sito di videosharing che spieghi e mostri, con la sincerità delle immagini, un dramma sempre più urgente? I cinque migliori video, che dovranno durare tra i 30 e i 60 secondi, saranno caricati sul canale di YouTube del World Food Program e il vincitore si aggiudicherà un viaggio istruttivo in uno dei posti in cui l'agenzia opera per combattere la fame, con l’opportunità di prendere parte alle operazioni di soccorso.

OBIETTIVO – Il principale scopo dell’iniziativa è quello di innescare un dibattito che coinvolga anche i giovanissimi e, appunto, la generazione digitale, utilizzando un linguaggio e delle suggestioni a loro familiari. E YouTube ha tutte le caratteristiche per essere il giusto contenitore di simili cortometraggi, con il valore aggiunto di provenire «dal basso».

FOOD FORCE – Non è la prima volta che il Pam sceglie un modo originale per educare i giovani alle emergenze del pianeta. Nel 2005, per esempio, uscì il videogioco Food Force. Il videogame iniziava con una proiezione di un Paese colpito da siccità e guerra civile e la sfida ludica consisteva nel far ripartire l’economia della nazione, completando una serie di missioni dell’Onu. «Una via di mezzo tra Tomb Raider e una conferenza della Fao» lo definì l’ideatore, Mike Harrison.

FOOD DIVIDE – Uno degli aspetti più inquietanti, su cui fanno leva le Nazioni Unite nella loro opera di sensibilizzazione, è la sperequazione esistente nel mondo, diviso tra un’infanzia opulenta (o addirittura obesa) e una moltitudine di bimbi del Terzo Mondo che vivono in condizioni di denutrizione. L'agenzia, appellandosi al cosiddetto marketing virale, ha infatti pubblicato un suo video che ritrae alcune persone che gareggiano a chi mangia di più, ingozzandosi di junk food con l’accompagnamento musicale dei Beatels che cantano Piggies. Alla fine del video un testo recita «850 milioni di persone vanno a letto affamate ogni sera... Passaparola».

MADAMEWEB

dal "Corriere Online"

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Pordenone - La sospensione dalla scuola di Anna Ciriani, la professoressa a luci rosse, ha diviso sindacati, colleghi e sostenitori. Ugo Panetta, direttore scolastico del Friuli Venezia Giulia, è stato chiaro: "I comportamenti tenuti fuori dalla sede scolastica - è stata la motivazione trasmessa in nota al dirigente della scuola media di Lugugnana nel sanvitese - sono risultati gravi e in contrasto con l’azione educativa". Non è stata licenziata, ma la sua cattedra oggi è rimasta vuota.

Studenti e colleghi Studenti stranieri delusi, quindi, nel centro di via Galante a Ligugnana. "Ci dispiace tantissimo" hanno detto in coro i colleghi, stupiti come gli iscritti ai corsi serali. L’effetto sorpresa c’è stato, per tutti: nemmeno l’ufficio scolastico provinciale sapeva, ieri pomeriggio, dell’atto formale approvato con procedura d’urgenza. L’intervento del ministero dell’Istruzione ha dato l’accelerata al caso pornoprof, sospesa comunque in via precauzionale.

Solidarietà online Quel che è certo è che gli amici del forum di Madameweb fanno muro: hanno protestato e protestano con migliaia di messaggi postati on line. Dicono: "Massima solidarieta" e anche "Siamo in pieno medioevo", oppure "i video a luci rosse di Berlino sono girati fuori da scuola. Se ogni datore di lavoro dovesse valutare i dipendenti per quello che fanno fuori, che valore avrebbero competenza a impegno professionale?". "Anna dovrebbe appellarsi contro la decisione, con un formale ricorso". All’orizzonte perfino una colletta: "Sono disposto - è stata la mail di un fedelissimo delle gangbang - a offrire un contributo economico per sostenere eventuali spese legali e invito tutti a fare altrettanto".

Popolarità alle stelle La pornoprof è ormai al centro dei pensieri mediatici di mezzo mondo. Su Radio Deejay il Trio Medusa ha rivolto un appello agli ascoltatori affinché contattassero Madammeweb e la convincessero ad accettare un’intervista televisiva in una puntata de "Le Iene" su Italiauno. Fans sfegatati si aggiornano anche sui siti dalla Cina e dall’America. Gettata la maschera dell’anonimato, ora tutti la cercano. I reportage e video girati al festival a luci rosse berlinese Venus hanno sbancato la classifica mondiale dei sito web a forte tasso erotico. Mademeweb ha fatto da traino anche al blog del professore "Fabioletterario", collega di Madameweb nella media nel Sanvitese: per lui triplicati i contatti nelle ultime 24 ore, con 300 post (messaggi inoltrati). In 30 giorni sono stati oltre 28mila i contatti sul forum dedicato alla pornoprof: 3mila 200 messaggi, 1.300 utenti, 32mila visite ed è solo un bilancio provvisorio.

WARHOL & BEUYS


WARHOL / BEUYS


Uno etereo, fragile sotto la parrucca bionda, rigido dietro la cravatta regimental. L'altro fisico, rilassato, cappellaccio di feltro, gilet da pescatore e uno sguardo che sembra non avere paura di niente. Andy Warhol e Joseph Beuys: l'artista pop, frivolo e mondano, specchio dell'America anni Ottanta; e l'intellettuale europeo, verde, rivoluzionario, anticapitalista («ho scelto l'arte come azione politica»). In mezzo un napoletano determinato e visionario, che per dar vita a un sogno nella primavera del 1980 decide di far incontrare «le due anime estreme della contemporaneità». Sembra uno scherzo, è il 1° di aprile, ma si presentano in 5 mila alla galleria di Lucio Amelio. L'happening dura fino a notte fonda, Warhol espone una serie di ritratti di Beuys, Beuys compie un'azione segreta nell'antro della Sibilla, Mimmo Jodice fotografa, Leopoldo Mastelloni si esibisce. Per un giorno Napoli diventa il centro del mondo.

cos'è la pubblicità?

Davide, Cinzia, Valentina, Sabrina Francesca e Giusi di IDI'AC rispondono alla domanda "Cos'è la pubblicità?"
IDI'AC via Mazzini Davide, Cinzia, Valentina, Sabrina Francesca e Giusi di IDI'AC rispondono alla domanda "Cos'è la pubblicità?"
IDI'AC via Mazzini 10 Milano
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IDI'AC è una scuola specializzata nella formazione di interior designer e professionisti della comunicazione pubblicitaria. I corsi, di livello universitario e post universitario, si rivolgono a studenti in possesso di istruzione secondaria superiore.


lunedì 19 novembre 2007

Munari

Bruno Munari (Milano, 24 ottobre 1907Milano, 30 settembre 1998) è stato un artista e designer italiano.
È stato uno dei massimi protagonisti dell'arte, del design e della grafica del XX secolo, dando contributi fondamentali in diversi campi dell'espressione visiva (pittura, scultura, cinematografia, design industriale, grafica) e non visiva (scrittura, poesia, didattica) con una ricerca poliedrica sul tema del gioco, dell'infanzia e della creatività.
Bruno Munari passò l'infanzia e l'adolescenza a Badia Polesine. Nel 1925 tornò a Milano per lavorare con lo zio ingegnere. Nel 1927 cominciò a frequentare Marinetti e il movimento futurista, esponendo con loro in varie mostre. Tre anni dopo si associò con Riccardo Castagnetti (Ricas), con cui lavorò come grafico fino al 1938. Nel 1930 realizzò quello che può essere considerato uno dei primi mobile della storia dell'arte, noto con il nome di macchina aerea e che Munari ripropose nel 1972 in un multiplo a tiratura 10 esemplari per le edizioni Danese di Milano. Nel 1933 proseguì la ricerca di opere d'arte in movimento con le macchine inutili, oggetti appesi, dove tutti gli elementi sono in rapporto armonico tra loro, per misure, forme, pesi. Durante un viaggio a Parigi, nel 1933, incontrò Louis Aragon e André Breton. Dal 1939 al 1945 lavorò come grafico presso l'editore Mondadori, e come art director della rivista Tempo, cominciando contemporaneamente a scrivere libri per l'infanzia, inizialmente pensati per il figlio Alberto. Nel 1948, insieme a Gillo Dorfles, Gianni Monnet e Atanasio Soldati, fondò il Movimento Arte Concreta.
Negli anni cinquanta le sue ricerche visive lo portano a creare i negativi-positivi quadri astratti con i quali l'autore lascia libero lo spettatore di scegliere la forma in primo piano da quella di sfondo. Nel 1951 presenta le macchine aritmiche al Museo di Arte Moderna di Stoccolma con presentazione di Pontus Hulten. Sempre degli anni '50 sono i libri illeggibili in cui il racconto è puramente visivo. Nel 1954 utilizzando le lenti Polaroid costruisce oggetti d'arte cinetica noti come Polariscopi grazie ai quali è possibile utilizzare il fenomeno della scomposizione della luce a fini estetici. Nel 1953 presenta la ricerca il mare come artigiano recuperando oggetti lavorati dal mare, mentre nel 1955 crea il museo immaginario delle isole Eolie dove nascono le ricostruzioni teoriche di oggetti immaginari, composizioni astratte al limite tra antropologia, humor e fantasia. Nel 1958 modellando i rebbi delle forchette crea un linguaggio di segni per mezzo di forchette parlanti. Nel 1958 presenta le sculture da viaggio che sono una rivisitazione rivoluzionaria del concetto di scultura, non più monumentale ma da viaggio, a disposizione dei nuovi nomadi del mondo globalizzato di oggi. Nel 1959 crea i fossili del 2000 che con vena umoristica fanno riflettere sull'obsolescenza della tecnologia moderna.
Negli anni sessanta diventano sempre più frequenti i viaggi in Giappone, verso la cui cultura Munari sente un'affinità crescente, trovandovi precisi riscontri al suo interesse per lo spirito zen, l'asimmetria, il design ed il packaging della tradizione giapponese. Nel 1965 a Tokyo progetta una fontana a 5 gocce che cadono in modo casuale in punti prefissati, generando una intersezione di onde, i cui suoni, raccolti da microfoni posti sott'acqua, vengono riproposti amplificati nella piazza che ospita l'installazione.
Negli anni '60 si dedica: alle opere seriali con realizzazioni come aconà biconbì, sfere doppie, nove sfere in colonna, tetracono (1961-1965) o flexy (1968); alle sperimentazioni cinematografiche con i film i colori della luce (musiche di Luciano Berio), inox, moire (musiche di Pietro Grossi), tempo nel tempo, scacco matto, sulle scale mobili (1963-64); alle sperimentazioni visive con la macchina fotocopiatrice (1964); alle performance con l'azione far vedere l'aria (Como, 1968).
Nel 1974 esplora le possibilità frattali della curva che prende il nome del matematico italiano Giuseppe Peano, curva che Munari riempie di colori a scopi puramente estetici.
Nel 1977, a coronamento dell'interesse costante verso il mondo dell'infanzia, crea il primo laboratorio per bambini in un museo, presso la Pinacoteca di Brera a Milano.
Negli anni '80 e '90 la sua creatività non si esaurisce e realizza diversi cicli di opere: le sculture filipesi (1981), le costruzioni grafiche dei nomi di amici e collezionisti (dal 1982), i rotori (1989), le strutture alta tensione (1990), le grandi sculture in acciaio corten esposte sul lungomare di Napoli, Cesenatico, Riva del Garda, Cantù, gli xeroritratti (1991), gli ideogrammi materici alberi (1993).
Dopo vari e importanti riconoscimenti in onore della sua attività vastissima, Munari realizzò la sua ultima opera pochi mesi prima di morire a 91 anni nella sua città natale.

sabato 17 novembre 2007

AMICA MUSICA


AMICA MUSICA
20 anni di canzoni a cavallo delle sette note
di Giovanni Caviezel

Prima di tutto, i Beatles
Il mio primo amore musicale vero: i Beatles. Di loro ho apprezzato tutto: la capacità di creare mondi musicale autonomi, ciascuno accuratamente racchiuso in ogni canzone; la loro continua ricerca di integrazione fra immagine (copertine di dischi, abbigliamento, fotografie e film), ed efficacia di rappresentazione visiva presente sia nei testi che nella musica dei loro brani.
Quello che mi affascinava allora come oggi è l’insieme di una canzone, come direbbe John Lennon, “il disco”: produzione, esecuzione, composizione.

Poi la chitarra
Ho incominciato a suonare la chitarra per istinto, “rubandola” a mia sorella e alle sue lezioni di “classica”. Perché la chitarra? Per la sua maneggevolezza, per la sua forma piacevole, per quel suo essere una piccola orchestra portatile. Prima ho imparato a suonarla, poi l’ho studiata: come sempre, come tutte le cose che ho fatto nella mia vita, ho lasciato prima campo libero all’istinto, poi alla ragione.

Imparare canzoni, scrivere canzoni
Tra i dodici e i vent’anni ho imparato moltissime canzoni, preoccupandomi assai meno delle parole che della musica. Le parole erano prima di tutto suono, parte integrante della musica quanto un headline è parte integrante del visual pubblicitario.
Verso i 17 anni ero diventato una specie di juke box ambulante, e mi piaceva suonare in pubblico tutte le volte che ne avevo l’occasione. Ma mi piaceva anche registrare musica, e ricordo ancora il primissimo registratore portatile regalatomi da mio padre: la magia di un oggetto che catturava l’esperssione del suona, che “faceva i dischi” dentro le cassette.

Le audiocassette
Per me le audiocassette ancora adesso significano l’essenza, il distillato della musica: scatoline fragili e colorate ricolme di potenzialità espressiva, automobiline a due ruote che procedevano spedite lungo le strade e le autostrade della musica. A Milano, da Ricordi, passavo pomeriggi interi a guardare e poi a scegliere con cautela (sempre con il dubbio di aver compiuto la scelta sbagliata) uno o due di quei pacchetti di musica custoditi e protetti dalle loro scatoline di plastica trasparente.
E di cassette (vergini) io ne riempivo a decine con le canzoni che mi venivano in mente pezzo a pezzo. Cominciavo infatti a capire che la composizione per me significava giustapposizione di parti, come comporre un puzzle fino a che di colpo la canzone “significava” qualcosa di unico, di organico. Era un metodo gestaltico che non ho ancora abbandonato, e che funziona con i pezzi della tradizionale canzone americana: strofa, bridge, ritornello, strofa.

Canzoni per bambini
Quando ho cominciato a scrivere canzoni, non pensavo affatto alle canzoni per bambini. È successo incontrando (per caso) Roberto Piumini, che a quel tempo (parlo del 1983) stava affermandosi proprio come autore per ragazzi. Ci conoscemmo nella redazione di una rivista a cui collaboravo, e incominciammo a scrivere canzoni insieme per gioco, senza crederci troppo. Inizialmente ci lasciammo prendere la mano dalle canzoni d’amore “per grandi”, e solo in un secondo momento ci dedicammo con energia a comporre per i più piccoli. Il primo frutto della nostra collaborazione fu “Il cantastorie” (Mondadori 1989), che conteneva una cassetta allegata (oggi un cd) con quattro brani dedicati ad altrettanti animali. Nel frattempo io mi facevo le ossa scrivendo qualcosa come 200 canzoni per il corso di inglese “English Junior” De Agostini. Un anno dopo io e Roberto incominciavamo a portare le nostre canzoni in giro per le scuole e le biblioteche: stava per nascere una formula di incontro/spettacolo per bambini che si sarebbe evoluta nel tempo e si sarebbe chiamata “Il mattino di zucchero”.

Il mattino di zucchero
“Il mattino di zucchero” è prima di tutto una canzone, composta intorno al 1988. La canzone fu inclusa in una cassetta dallo stesso titolo uscita nel 1991 e oggi introvabile, in seguito diventò uno spettacolo interattivo di canzoni, disegni e mimo per poi riapparire sotto forma di libro e cd nel 2003 (Roberto Piumini e Giovanni Caviezel, Il mattino di zucchero, Piemme, 2003).
Lo spettacolo “Il mattino di zucchero” è cresciuto piano piano, come una pianta. All’inizio non aveva nome: c’erano delle canzoni, le canzoni che avevamo incominciato a scrivere, e c’erano le filastrocche e i racconti che lui aveva pubblicato.
A Roberto non bastava sentire le canzoni, e anche i bambini volevano fare qualcosa, oltre che ascoltare. Così lui inventò “le mosse”, ovvero aggiunse alla musica e al testo una scrittura sua, fatta di gesti, di cori, di partecipazione.
Poco a poco ogni canzone fu rivestita da “mosse” speciali, che lui eseguiva coi bambini, in quello che si chiama mimo a specchio.
Alle “mosse” aggiungemmo i disegni, grandi disegni fatti davanti al pubblico con pennarelli giganti, e poi ci inventammo delle gag, delle battute, delle variazioni sul tema. Io divenni il clown buono e lui quello cattivello, quanto basta a far divertire.
In oltre dieci anni di vita “Il mattino di zucchero” si era fatto le ossa, e camminava spedito per conto suo.
Ogni volta adattato al momento e alla situazione, al luogo e al pubblico di bambini che ci segue, questo incontro spettacolo della durata di un’ora vive e rivive sempre con un tocco di imprevisto, di improvvisazione e di novità, facile come un gioco di parole, disegni e musica.

L’Albero Azzurro
Nel 1997 uscì per Fabbri una raccolta di canzoni scelte fra le oltre 600 che avevamo composto per il programma televisivo di Rai Uno della RAI “L’Albero Azzurro”: si trattava di una scelta limitata che però metteva in gioco tutti i generi musicali che avevo affrontato nei sei anni di collaborazione al programma. Quello che mi interessava era offrire ai bambini il panorama musicale più vasto possibile, toccando tutti i generi musicali compresi nella storia della musica.

Radicchio
Per tre anni, dal 1991 al 1993, sempre con Roberto, ho raccontato storie e cantato canzoni alla radio. Il programma, in diretta tutti i giorni su Radio due della RAI, si chiamava “Radicchio”, e con noi c’era la grande lettrice e libraia Valeria Nidola, la deliziosa raccontastorie di Lugano. Molte canzoni erano cantate dal vivo, e molte altre furono composte apposiotamente per la trasmissione, tra le quali ce n’è una che cantiamo sempre nei nostri spettacoli: “La canzone dei nonni”:

Le mille e una note, Amica musica, Musica, maestro!
Con lo stesso proponimento educativo e ludico presente nelle canzoni dell’”Albero Azzurro” io e Roberto progettammo altri tre libri con cassetta per Fabbri. Libri che potessero raccontare la musica ai bambini con immediatezza e soprattutto facendoli divertire, perché non dobbniamo dimenticare mai che la musica è una delle arti più complete e divertenti che ci siano.
Si trattava di un trittico composto da “Le mille e una note” (1997), “Amica musica” (2000) e “Musica, maestro!” (2001). Il primo libro si occupava degli strumenti musicali, il secondo dei generi e il terzo dei grandi compositori, da Bach ai Beatles.
Per la prima volta in vita mia, per “Amica musica” scrissi un arrangiamento per quartetto (“Quattro voci in una sola”) e mi divertii moltissimo.

Ogni concerto è una grande canzone
Ancora oggi, che con e senza Roberto ho girato in lungo e in largo l’Italia e il Canton Ticino, cantare e suonare per i bambini è come comporre ogni volta una nuova, lunga canzone che dura un’ora e allo stesso tempo tutta la vita. Ogni concerto è diverso dall’altro, e spesso durante i viaggi nascono nuove canzoni. I bambini diventano voce, coro e strumento di un’orchestra sempre nuova e diversa, che cresce e rinasce sempre, e non muore mai e mai si stanca.

lunedì 12 novembre 2007

NONNA RAI

Paolo Conti per il Corriere della Sera


La Rai è in crisi. Non è solo questione dei noti e cupi bilanci. Il pubblico più giovane ed economicamente qualificato la sta abbandonando, prospettiva allarmante per gli introiti pubblicitari e quindi per la salute dell'azienda. Inoltre è incrinato il suo ruolo storico di produttrice culturale. E' tempo di correre ai ripari «rifondando» il palinsesto: e tutti (reti, informazione, strutture, "editori interni") saranno chiamati a azzerare «rendite di posizione e spazi consolidati nel tempo» a partire dall'autunno 2008 per lasciare spazio a un palinsesto «con una forte differenziazione di prodotto rispetto alla tv commerciale ».


Ecco, in sintesi, il senso del corposo Piano editoriale (novanta pagine) presentato la settimanascorsa dal direttore generale Claudio Cappon al Consiglio di amministrazione e messo a punto dalla vicedirezione generale per l'offerta tv (Giancarlo Leone), dalle direzioni palinsesto (Chicco Agnese) e marketing (Deborah Bergamini). Il voto è previsto per questa settimana o per la prossima. Il centrosinistra è già favorevole così come il consigliere Fabiano Fabiani ma anche dal centrodestra (Marco Staderini) arrivano segnali di apprezzamento.

LA CRISI — Nel piano la Rai sottoscrive un'autocritica durissima. Dal 2003 al 2007 ha visto il proprio pubblico invecchiare (+2,8 anni) ben più di Mediaset (+1,5) ed enormemente più del satellite (+0,3). L'età media Rai è di 51,6 anni (Mediaset 44,9). In particolare il pubblico del prime time di Raiuno raggiunge un preoccupante +3,4: Italia 1 inverte la tendenza con -3,1. Invece alla Rai aumentano le donne casalinghe. Tra gli abbonati Sky (4.240.000) la Rai perde 20 punti secchi di share: gli italiani più colti, ricchi, giovani, quelli che scelgono.

Chiunque conosca le leggi della pubblicità sa che proprio i giovani sono l'ago della bilancia di qualsiasi mercato. Continuando così, la voce «altre tv», ovvero il satellite, si avvia «in cinque anni a quote di mercato superiori al 25% nel day time». Quanto basta per sconvolgere l'universo televisivo italiano, così come lo utilizziamo oggi. Tutto ciò «rischia di marginalizzare il posizionamento Rai». Altra crisi, sostanziale. La tv «non è più considerata un fattore culturale ma una alternativa al consumo di cultura... l'offerta viene vissuta come uno degli elementi di impoverimento culturale della società». Un vero problema per una tv pubblica pagata dal canone com'è la Rai.

GLI ERRORI — L'offerta Rai troppo spesso offre nelle stesse ore doppioni che si rivolgono allo stesso tipo di pubblico. Il piano editoriale cita molti esempi: la mattina di sabato e domenica di Raiuno e Raidue («Sabato & domenica » con Franco di Mare e Sonia Grey e «Mattina in famiglia » con Tiberio Timperi e Adriana Volpe, la fascia mattutina Raiuno-Raidue («Occhio alla spesa» con Alessandro Di Pietro-«La prova del cuoco» con Antonella Clerici contro «Piazza grande» con Giancarlo Magalli) e quella pomeridiana («Festa italiana » con Caterina Balivo contro «L'Italia sul Due», con Roberta Lanfranchi e poi «Ricomincio da qui» con Alda D'Eusanio) e via dimostrando per altri casi. Così «il vantaggio competitivo rappresentato dalle tre reti viene vanificato ». Errori che verranno cancellati.

SOLUZIONI — Primo: azzerare il palinsesto col «ridisegno complessivo dell'offerta televisiva », addio «alle posizioni intoccabili». Un paradosso: «Non sarà più sicuro nemmeno l'orario dei Tg». Viene in mente la «Raifondazione» suggerita da Giovanni Minoli. Come? «Recupero della produzione e della progettualità interna, nuovo controllo editoriale per le produzioni esterne, riapertura di veri spazi di seconda serata ». Sicuro l'abbandono del reality. La Rai dovrà intercettare in anticipo «chi già reagisce alla fine della tv trash offrendo un modello contrapposto alla tv eccessiva e rissosa ».

Fine dell'improvvisazione nell'intrattenimento, ritorno alla «scrittura e al copione », cioè a una tv d'autore. Per capirci: la tv di Antonello Falqui era tutta «scritta ». Infatti il piano prevede la nascita di una «struttura di genere» che coordini l'ideazione e la realizzazione di intrattenimento «per recuperare l'attuale sbilanciamento tra Rai e i principali fornitori esterni di format e di contenuti ». La tv di Stato si impegna anche in una «attività di scouting» per individuare idee e soprattutto autori delle nuove generazioni. In quanto alla fiction la sua produzione e distribuzione dovrà essere «più equilibrata nell'intera stagione». Dovrebbero finire certe estati ricche solo di repliche.

CULTURA — Ma la vera novità è rappresentata nel settore definito «cultura e educational ». La cultura deve «diventare un genere televisivo che si aggiunga a ciò che è già presente in alcuni prodotti di fiction, cinema e altro». La Rai dovrà attirare quel pubblico giovane che segue le mostre d'arte e riempie le platee «dei monologhi di rilettura dei grandi classici, le lezioni di storia o archeologia, la musica classica e leggera »: massima attenzione, insomma, alla qualità di questi prodotti anche a costo di perdere nei primi tempi qualche frammento di share: «Le attese e i risultati di ascolto non dovranno condizionare l'offerta del servizio pubblico né favorirne l'omologazione a contenuti e modelli della tv commerciale».

La tv di Stato si dedicherà «ai temi della contemporaneità non con inserimenti sporadici ma con una connotazione radicata nella programmazione ». Tra le «azioni immediate » maggiori elementi di arte, letteratura, cinema, teatro, musica nella programmazione, più spazi nei tg alla pagina culturale. Riuscirà una Rai sottoposta a continui terremoti politici a cambiare pelle?

sabato 10 novembre 2007

Ricordando il dialogo di apertura de "Le iene" di Tarantino

Hillary, la cameriera e la mancia negata

La senatrice l'ha conosciuta in un ristorante e raccontato la sua vita in un discorso. «Non mi ha lasciato niente»

WASHINGTON — Nell’arco di un mese, in modo del tutto involontario, Anita Esterday è riuscita a fare una cosa e il suo contrario. La cameriera di Maid-Rite, il fast-food dell’Iowa che Hillary Clinton visitò l’8 ottobre scorso, ha prima fornito alla candidata democratica la sua straordinaria storia personale, triste e simbolica, di madre single con due figli senza assicurazione medica e tre lavori per sbarcare il lunario, subito diventata parte dello stump speech, il discorso elettorale della Clinton. Trenta giorni dopo, Anita ha regalato agli avversari un argomento per attaccarla.

Per una mancia Hillary rischia la nomination? Non siamo a questo punto. Ma l’episodio segnala quanto sia precaria e vulnerabile la posizione di ogni aspirante alla presidenza, fosse anche il più forte, nell’era di Internet, dove ogni episodio, anche il più banale e in apparenza trascurabile, può diventare una sensazione, discussa da migliaia di blogger, dalle conseguenze imprevedibili.

Hillary Clinton e la cameriera Anita Esterday
E veniamo al fatto. C’era anche chi scrive, quel giorno, al Maid-Rite, antesignano del McDonald’s per via di quel panino con la carne tritata (sciolta e non a polpetta, quindi più gradevole) che è la gloria dell’Iowa. Hillary era entrata, si era seduta e, dopo aver chiesto il sandwich (senza cipolle e con i sottaceti), si era messa a chiacchierare con Anita, che aveva preso l’ordine. Intervistata giovedì dall’emittente pubblica National Public Radio (Npr), la signora Esterday, ormai celebrità nazionale, si è lamentata che quel giorno la senatrice democratica non avesse lasciato alcuna mancia per lei e il personale.

Mandata in onda verso le 5 del pomeriggio, in pochi minuti l’intervista ha scatenato il finimondo, con i siti conservatori, il temibile Drudge Report in testa, velocissimi a martellare la Clinton, tacciata di avarizia ma anche di maleducazione e insensibilità, la mancia nei ristoranti essendo parte del costume nazionale negli Usa, anche perché è quasi sempre componente vitale del salario dei dipendenti.

martedì 6 novembre 2007

SATELLITE E NUOVA TV: Lidia Bosco intervista Giovanni Caviezel

Fantasma © 2007 Giovanni Caviezel

IL SATELLITE OFFRE LA POSSIBILITÀ DI SPERIMENTARE IL NUOVO IN TV?
INTERVISTA A GIOVANNI CAVIEZEL:

Un grande punto di domanda inscrive idealmente ogni nuova stagione televisiva: vedremo finalmente una tv nuova? Ma di quale nuovo parliamo? Delle forma o delle formule? Delle aree tematiche o dei linguaggi? Del nuovo di superficie o delle modifiche (meno avvertibili, ma non meno innovative, che agiscono a livello dei sottotesti)? Di programmi nuovi o di una nuova televisione? Di una sua diversa funzione? La nostra epoca ha ancora spazio per il nuovo oppure, come ha scritto Alberto Abruzzese, "bisogna rassegnarsi ad essere originali solo nel modo di fare bricolage"?.
L’attesa di un cambiamento radicale nei modelli e nella fruizione spinge nella direzione del cambiamento o dell’immobilità? Chi deve pagare i costi del nuovo? Chi deve prendersi la responsabilità del rischio? Chi si assume i costi di lancio? Programmi intramontabili dominano i palinsesti. Ma non sono i classici a fare il catalogo degli editori? (Taggi, 1997:93-94)

Ho voluto iniziare questo paragrafo con un breve passo tratto da un interessante libro di Paolo Taggi, che, nonostante sia stato scritto una decina d’anni fa, trovo ancora di grande attualità. Credo che ognuno di noi almeno una volta si sia posto questa domanda: è veramente possibile vedere ancora qualcosa di nuovo in tv?
Se poi ci fermiamo a pensare all’offerta vastissima della piattaforma Sky un’altra domanda si presenta ancora più insistente alla nostra mente : non "rischiano" i vari format di uno stesso bouquet di assomigliarsi tutti?
Ogni programma nuovo si misura in primo luogo con il tempo a cui appartiene. Ci sono programmi "datati", programmati per molte stagioni, che non risultano mai "vecchi": di anno in anno si trasformano e mantengono il passo del pubblico. Se sbagliano modulazione di frequenza, improvvisamente rivelano la loro fragilità e vanno in mille pezzi. Per aderire al proprio tempo è fondamentale intuire una domanda che ancora non c’è.
Per le fasce orarie strategiche, i palinsesti vengono pensati con molti mesi di anticipo, a volte anche un anno; un tempo televisivamente infinito. "Un programma si costruisce su durate (di ogni singola puntata, del ciclo) rigidissime, che diventano durezza quando entrano in conflitto con improvvisi cambiamenti dello scenario sociale" .
Il nuovo televisivo non può prescindere dal rinnovamento dei suoi ingredienti: strutturalmente sono elementi di transizione (fuorvianti rispetto alla formula); simbolicamente sono pezzi forti di una tradizione che si tramanda, annacquando o cancellando ogni elemento di originalità e differenziazione.
L’impossibilità del nuovo non dipende soltanto da ragioni esterne agli autori. È in gioco anche la natura sfuggente delle idee. Per questo ho deciso di intervistare un autore che da anni lavora in tv e che in prima persona ha vissuto l’evoluzione del sistema televisivo italiano degli ultimi quindici anni.

Cosa pensi della pay tv? Ritieni che in un futuro, non troppo lontano, soppianterà definitivamente la tv generalista?
Ho seri dubbi in proposito, per due motivi: il primo è che la tendenza, oggi, è quella di non pagare nulla, almeno per quanto riguarda il target più giovane. Per una cosiddetta televisione di qualità oggi a pagare sono i signori di mezza età, che hanno gusti molto precisi e poco deformabili, mentre i giovani, che sono quelli che dovrebbero creare la tv futura, sono abituati al downloading gratuito allo streaming, al peer to peer, al buffering veloce e non costoso. Si scambiano velocemente le idee su You Tube, non hanno idea dei costi di una produzione, dei tempi di realizzazione e così via. La pay tv è nata vecchia, è una appendice della tv generalista, e rimane confinata a fasce con un potere d’acquisto ben definito. Dal punto di vista delle idee, la pay tv non produce granchè, si limita a canalizzare, a definire per generi. È semplicemente e puramente l’altra faccia della medagli della tv generalista,

Oggi, l'affermazione di Sky nel panorama televisivo nazionale è, anche, dovuta all'enorme sforzo produttivo sostenuto in primo luogo dai canali di cinema, sport e news, ma anche sui progetti editoriali realizzati con partner italiani. La piattaforma trasmette ogni anno oltre 31 mila ore di programmi televisivi autoprodotti, di cui 18 mila dalle reti Sky e 13 mila dai canali terzi. Dati che più di ogni altro danno la misura degli investimenti economici e dell'impegno che sono alla base di Sky. Cosa pensi dell’offerta ? Nonostante gli sforzi economici ritieni che effettivamente soddisfi le aspettative dei telespettatori?

Soddisfa l’enorme bisogno di sport, ma linguisticamente, sul piano televisivo, non fa altro che enfatizzare uno degli aspetti della tv generalista, ovvero l’ossessione per la ripetizione ritualistica dello sport. Cosa sacrosanta, ovviamente, ma vecchissima da ogni punto di vista. In fondo, lo sport era uno specifico della nostra arcaica televisione pubblica, o no?

In televisione non c’è nessun rapporto preventivabile tra le risorse investite e il risultato. Scrive Paolo Taggi che un programma televisivo non esiste fuori dal palinsesto che lo ospita. Il palinsesto è un tessuto di relazioni multiple, frutto di strategie e tattiche di Rete. La cornice televisiva non è mai neutrale perché la Rete è anche una marca. Ci sono Reti diventate griffe di qualità; selezionano in partenza il loro target; ce ne sono altre che scelgono di non essere marca secondo la logica dell’hard discount. Sei d’accordo con queste affermazioni? Ritieni che si tratti di un modello applicabile alla televisione neosatellitare?

Tutte le reti creano dei brand, creano delle aspettative, e marchiano i loro prodotti. Più una rete è forte, più tende a cannibalizzare il prodotto, a renderlo comunque suo, al di là dell’adesione alla linea editoriale che esprimono. Le reti, i network, le syndacation selezionano sempre meglio il loro target, e a volte arrivano al punto di crearlo, il target. È l’oggetto del mio prossimo lavoro: la Rete come piattaforma di lancio di un nuovo prodotto televisivo: il proprio target. È quello che in parte è riuscita a fare Ialia Uno.

Ci sono differenze tra i format della tv generalista e quelli della tv satellitare? Guardando all’intera offerta Sky quali programmi ti piacciono?Perché?

La tv satellitare di solito affina il proprio rapporto col pubblico, quindi tende a focalizzare tutto ciò che compiace il suo pubblico, che in genere è di settore. La distanza col target, prossemicamente parlando, è intima: quindi le linee guida di un format satellitare sono meno grossolane, in genere meno urlate, meno sbandierate. Sono format di tonalità pastello, e hanno il pregio di mettere a nudo pregi e difetti dei “grandi” format generalisti. Passando a format specifici, devo dire che in generale i reality satellitari mi piacciono molto di più di quelli generalisti perché sono più sinceri, più reality. Assolvono meglio il loro compito, che è quello di raccontare. In fondo, la gente aspetta dalla tv la solita cosa: una bella storia, raccontata bene.

Nell’ipermercato dell’offerta televisiva si può ancora parlare di programmi? Per quanto riguarda la tv generalista il flusso è il programma, ritieni che la tv satellitare abbia, invece, riscoperto il gusto del genere? Il telespettatore riconosce ancora un singolo programma? vuole che abbia un senso compiuto? Attribuisce alla sua compiutezza un valore e un significato? Ritieni che ci sia chi si metta davanti al vdeo in un orario preciso per assistere ad un programma dall’inizio? nell’ipotetico patto comunicativo che lega telespetatori e programmi la puntualità dell’appuntamento quanto conta? Esiste ancora?ritieni che la tv satellitare favorisca il rapporto tra telespettatori e programmi?

La tv satellitare è un grande outlet pieno di dvd da scaricare, leggere e copiare. Niente di male in questo, ma nemmeno niente di nuovo. Il nuovo che verrà non sarà certo trasmesso sul satellitare. Sarà una nuova esplosione generalista flessibile, una specie di You Tube mirato, selezionato. Sarà la tv portabile, il broadcasting sul cellulare o sull’ iPod.

Rispetto al nuovo il telespettatore italiano preferisce il "territorio della difesa" a quello dell’"apertura"?

Il telespettatore italiano è molto peculiare: confonde il contenuto con la forma, cioè crede di essere “avanti” nel momento in cui si dota di alta tecnologia. Il problema è che si ferma lì, sui contenuti in genere sorvola. È quello che succede nel campo della telefonia: abbiamo l’obsolescenza tecnologica programmata dei telefonini, che cambiamo ossessivamente alla ricerca del modello sempre più elaborato, ma le cose da dire sono sempre meno. Stessa cosa per la televisione: sempre più canali, sempre meno da dire. Quindi direi: aprirsi (tecnologicamente) per chiudersi (dal punto di vista del contenuto).

Quando scrivi un programma persegui una drammaturgia perfetta o l’assolutizzazione della scorrevolezza?
Ritieni che una delle due strade si addica di più ad un format su una rete satellitare?
Come scorrono i programmi migliori? perché scorrono? quali artifici li rendono scorrevoli?
Pensi che un programma perfettamente costruito sulla carta non scorra se non c’è armonia perfetta nell’apparato che lo realizza?

Premettendo che il programma perfetto non esiste, e tantomeno esiste la ricetta per farlo, direi che la scorrevolezza si sposa alla drammaturgia, ma la precede sempre. La scorrevolezza è una faccenda intuitiva, che arriva sottopelle, che un autore persegue senza saper troppo dove andare a parare. Ci vogliono alcune puntate dopo il numero zero per scoprire se un programma sarà capace di camminare con le sue gambe, e non ci sono regole per giungere a questo risultato. È come scrivere musica: non sai mai quando un brano si pianterà nella testa della gente e ci rimarrà per sempre. Lo scopri dopo.
I programmi migliori sono quelli che procedono col ritmo del corpo, ovvero col ritmo delle persone che “raccontano” il programma. Non dimentichiamo che la televisione è ancora, fino a prova contraria, una grande esibizione di corpi, di voci, di volti. Anche il Gabibbo è un fantastico corpaccione narrante e saltellante. Stessa cosa dicasi dell’”apparato”, ovvero della crew che sta dietro le quinte. Anche il gruppo che sta dietro un programma usa la propria corporeità narrante nelle riunioni, nei rapporti con i cameraman, con il pubblico, con i presentatori o con il prodotto stesso che va in onda, e se non fa dono di sé, il programma abortisce spontaneamente dopo qualche puntata. La tv satellitare ha un grande bisogno di “verità”, in quantità decisamente superiore rispetto a quella generalista. E questa “verità”, che è quel fattore che incanta in un programma, lo si raggiunge quasi medianicamente, in uno stato simile al sonnambulismo, e dopo diversi tentativi.

Da cosa si capisce che un’idea ha superato la prima fase di analisi e si può impostare il vero e proprio lavoro di costruzione della puntata tipo?
Quanti modelli di racconto sono applicabili alla tv di intrattenimento?

Un programma che funziona, diverte. E dunque deve divertire anche chi lo realizza e chi lo pensa, prima di tutto. Se un’idea appassiona, diverte, produce nel corso delle riunioni altre idee, allora siamo sulla buona strada. Dal momento che, lo ripeto, non esistono ricette, un buon autore deve, come un buon romanziere, attingere al proprio mondo creativo, alla propria memoria, al proprio desiderio. La tv è desiderio in moto, in movimento.

Scrive Paolo Taggi che oggi i programmi hanno incorporato lo zapping, che si chiama ritmo. Prima che il telespettatore ne avverta il desiderio, il ritmo cambia non solo inquadratura, ma il programma stesso. I programmi contenitore nascono anche dalla necessità di offrire in ogni singolo programma un intero palinsesto? Sei d’accordo con questa definizione? Il contenitore è un genere che funziona sul satellite?

Certo, il ritmo: lo chiamerei fattore sorpresa, come nei film di Hitchcock. Non lasciamo mai troppo tempo allo spettatore per abituarsi o peggio a prevedere quello che succede, anche se il format è collaudatissimo e basato sulla ripetizione. Lasciamo sempre che sia il fattore umano o il fato a scompigliare l’ordine. Arriverei a dire che in un format troppo ripetitivo dovrebbero essere messe in atto delle azioni di disturbo programmate. Il contenitore è la televisione – radio spalmata su ore e ore di palinsesto: permettono un ascolto distratto, intermittente. Sono lì al posto delle sagre paesane, dove si gironzola storditi captando una voce qui, una merce là. Per conto mio è un genere che non funziona più da nessuna parte.

Come ti viene l’idea per un programma? Come ne scrivi i testi?
Quali programmi hai scritto per il satellite?
Pensi che lavorare sul satellite permetta agli autori di avere maggiore libertà nelle scelte operate?
C’è un programma che ti piacerebbe scrivere e uno o più Canali satelliatri per i quali ti piacerebbe lavorare?

Le idee per un programma vengono dal desiderio: voler vedere una situazione materializzarsi davanti a te. Ma attenzione: il 90% dei programmi in circolazione viene dalle esigenze della Rete, quindi sono quasi tutti programmi su commissione. Per la scrittura, occorre evidentemente ricondurre tutto al tipo di programma che si sta seguendo: in alcuni casi scrivo tutto, come se fosse un copione teatrale, altre volte bastano delle parti di testo che poi viene sviluppato in fase di registrazione. È chiaro che anche qui ci vuole uno stile, un ritmo, ma è il materiale umano che hai a disposizione che fa il resto.
Indubbiamente sul satellite hai meno pressioni dall’alto, come ne hai meno in radio. C’è un rapporto più stretto fra dirigenti, autori e crew, e il prodotto ne risente positivamente. Ma la libertà di un autore è sempre relativa: come una massaia, deve far quadrare sempre i bilanci e portare a casa abbastanza spesa per tutti.
Il programma che più mi ha divertito fare è stato un programma comico per Happy Channel con Marco Milano e Maddalena Corvaglia: ci siamo divertiti molto a scriverlo insieme e a girarlo, anche se era molto cheap e fatto in tutta velocità.
Un programma che mi piacerebbe realizzare ora, subito, adesso? Una casalinga finta che finge di essere vera e che offre in diretta consigli di vita, di amore e di morte mentre svolge lavori di casa veri. Su TUTTI i canali satellitari, contemporaneamente.


sabato 3 novembre 2007

INTENSO, DIVERTENTE MA...


THE VERY BEST OF MICK JAGGER
copertina:***
titolo: *
contenuto:***

Jagger da solo ha sempre fatto sentire la mancanza di Keith Richards: rispetto a "Keef", Mick nei suoi lavori solisti ha mostrato volentieri il lato più dance e pop, che è anche quello che più presta il fianco all'usura del tempo. Nonostante la presenza di vari brani di questo tipo nella raccolta, dobbiamo dire che molti sono i pezzi piacevoli e divertenti, anche intensi. Splendida l'opening track "God Gave Me Everything", scritta con Lenny Kravitz, ancora valida "Just Another Night", dal primo album solista "Shes' the Boss", eccellente "Sweet Thing" che ricorda da vicino le atmosfere (modernizzate) di "Miss You". Una bella riscoperta l'ultrafunky "Too Many Cooks" prodotta nel 1973 da John Lennon, godibilissima (You've Got to Walk And) Don't Look Back in coppia con Peter Tosh, e per finire ricordiamo l'intensa "Old Habits Die Hard" con Dave Stewart. Ciò detto, ritorniamo al problema del Jagger solista: senza il propulsore musicale profondo, personalissimo degli Stones sotto la sua voce, rischia continuamente di mescolarsi al suono di migliaia e migliaia di brani pop rock radiofonici. E quando questo succede, anche la sua voce, davvero unica, viene periocolosamente lambita dall'anonimato.

giovedì 1 novembre 2007

Museum of Bad Albums Covers!


http://www.zonicweb.net/badalbmcvrs/
al peggio non c'è fine...

da "L'Espresso"

Per chi suona il Campanile

È stato l'uomo dei conti di Clemente Mastella. Nelle sue mani teneva le chiavi della cassa dell'Udeur e del giornale di partito. L'ex senatore Tancredi Cimmino nel 2006 non è stato ricandidato ed è passato con Antonio Di Pietro. 'L'espresso', lo ha intervistato.

Una grande nebulosa nella quale spariscono i milioni del finanziamento pubblico e i confini tra gli interessi della famiglia Mastella e quelli del partito. Questo è il quadro che emerge dall'inchiesta de 'L'espresso' sulla gestione del giornale dell'Udeur, 'Il Campanile'.

Per oltre un mese abbiamo spulciato i conti del quotidiano. Prima che se ne interessasse il pm di Catanzaro Luigi De Magistris, prima che gli fosse scippata l'inchiesta su Mastella, abbiamo intervistato i fornitori e gli amministratori, verificando che una parte delle spese del giornale finiscono nei dintorni di Ceppaloni, borgo natio del ministro. All'ombra del 'Campanile' Clemente Mastella, i suoi familiari e le loro società hanno ottenuto soldi e vantaggi grazie a un giornale finanziato con i soldi dei contribuenti. In questa nebulosa sono finiti 40 mila euro pagati a Clemente Mastella per la sua 'collaborazione giornalistica' nel 2004; i 14 mila euro usati per acquistare i celebri torroncini di Benevento che spesso finivano in regalo a politici e giornalisti, magari con il messaggino di auguri di Sandra e Clemente. Più i biglietti aerei per i familiari del segretario e poi ancora i 12 mila euro incassati dallo studio del figlio, Pellegrino Mastella, e i 36 mila euro risucchiati in tre anni dalla sua società di assicurazioni.

La ricostruzione delle spese del quotidiano spiega meglio di un trattato il funzionamento di Mastellopoli, un luogo dove, parafrasando Von Clausewitz, la politica sembra la prosecuzione della famiglia con altri mezzi. Il giornale del partito costa ogni anno 2 milioni e mezzo di euro anche se, nonostante gli sforzi dell'ottimo direttore Paolo Festuccia, non supera le 5 mila copie. Di queste solo 1.500 passano dall'edicola per finire quasi sempre al macero. L'edicolante di San Lorenzo in Lucina, a due passi dal Parlamento, spiega: "Da molti anni ricevo cinque copie ogni mattina. Non ne ho mai venduta una". Questa gigantesca 'ammuina' serve a giustificare il finanziamento pubblico: un milione e 331 mila euro. La presidenza del Consiglio rimborsa le spese 'inerenti alla testata' purché non superino un tetto pari a a circa la metà dei costi. Un sistema che premia chi spende di più e permette di sistemare molti amici e parenti. Così 'Il Campanile', con una redazione di sei giornalisti, ha visto aumentare il suo costo del lavoro in due anni da 345 mila a 834 mila euro. Nel dicembre del 2005 i debiti verso i fornitori ammontavano a 770 mila euro. 'L'espresso' ha visionato i bilanci interni e la lista dei fornitori stilati dal vecchio amministratore Tancredi Cimmino nel marzo del 2006. Ne viene fuori un quadro inquietante.

monique


monique © 2007 Giovanni Caviezel & Fata Morgana

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Lo spot dell'iPod preso da YouTube

Un diciottenne inglese realizza un video per l'ultimo modello di iPod. Apple lo vede e lo realizza

LOS ANGELES - - L'ultimo spot pubblicitario dell'iPod Touch è stato trasmesso domenica scorsa negli Usa. A realizzarlo l'agenzia pubblicitaria TBWA, ma l'idea originale è in realtà di un diciottenne inglese amante dei prodotti di casa Apple. Nick Haley il mese scorso ha pubblicato su YouTube un video di 30 secondi che mostra le capacità del lettore multimediale con un bel sottofondo musicale ( «Music is my hot, hot sex», della band brasiliana Css). Il video – realizzato manco a dirlo con software Apple – non è sfuggito agli uomini di Steve Jobs e della TBWA, che non hanno perso tempo e hanno contattato il ragazzo. Nick si è trovato imbarcato in breve tempo su un aereo che l'ha catapultato in California per trovare un accordo con Apple.

(da "Il Corriere della Sera online")


George Harrison: Brainwashed



titolo: **
copertina: **
contenuto: *****
Registrato da George negli anni precedenti la sua scomparsa, "Brainwashed" è stato completato dal figlio Dhani e dall'amico e produttore Jeff Lynne. Ricco e variegato esempio di scrittura musicale, cantato con voce forte ed espressiva, il disco mostra un Harrison che, nonostante le terribili vicende che sta attraversando, guarda con fiducia alla musica e alla vita. I brani, tutti prodotti sobriamente (Harrison alle chitarre e occasionalmente al basso, Dhani Harrison alle chitarre acustiche, Jeff Lynne al basso e alle tastiere, Jim Keltner alla batteria) spaziano dal quasi Traveling Wilburys "Any Road" alla meravigliosa "Stuck Inside a Cloud" che sembra tratta da "All Things Must Pass" passando per la deliziosa cover "Beetween the Devil and the Deep Blue Sea" fino alla title track, un commovente mix up di occidente e oriente. Completa l'album il brano strumentale "Marwa Blues", struggente addio chitarristico, sublime volo melodico verso il cielo.