domenica 30 marzo 2008

repressione in Cina

Mercoledì, 26 Marzo 2008

“Rieducazione” per i monaci tibetani

L’indignazione per il Tibet non si spegne nell’opinione pubblica internazionale. E costringe i governi occidentali ad aumentare la pressione sulla Cina. Dopo due settimane di silenzio per la prima volta dalla ribellione di Lhasa è intervenuto George Bush. Il presidente americano ha telefonato al suo omologo cinese, Hu Jintao, per invitarlo a “impegnarsi in un dialogo sostanziale con i rappresentanti del Dalai Lama, e a consentire l’accesso in Tibet a giornalisti e diplomatici”. La Casa Bianca ha precisato però che l’America non boicotterà i Giochi. Il presidente degli Stati Uniti per il momento non ha preso neppure in esame la possibilità di disertare la cerimonia d’apertura, un gesto che invece non è escluso dal francese Nicolas Sarkozy. Il Parlamento europeo ha rilanciato con forza questa proposta per estenderla a tutti i leader dell’Unione. Aprendo una seduta straordinaria convocata sul Tibet, il presidente dell’Europarlamento Hans-Gert Poettering ha dichiarato: “Tutti i politici devono chiedersi se è possibile partecipare alla cerimonia inaugurale dei Giochi, qualora la Cina insista nel rifiutare il dialogo con il Dalai Lama”. Il boicottaggio dei Giochi e quello della cerimonia inaugurale sono due opzioni ben diverse. Nel primo caso si può temere che la maggioranza dei cinesi si sentirebbe offesa e ferita nel suo orgoglio patriottico. L’assenza dei capi di Stato occidentali nella tribuna d’onore con Hu Jintao alla cerimonia inaugurale sarebbe invece un gesto di condanna mirato chiaramente contro i vertici del regime colpevoli della repressione in Tibet. L’Europarlamento ha anche approvato per acclamazione l’invito rivolto dal suo presidente al leader spirituale dei buddisti tibetani: “Il Dalai Lama è benvenuto in questa assemblea ogni volta che vorrà venire”. Le notizie che giungono dal Tibet non sono segnali di dialogo e distensione. Al contrario, si riaprono le porte dei laogai. Per i monaci buddisti tibetani catturati nelle retate di questi giorni comincia un’odissea tristemente nota, la deportazione nei lager cinesi. E’ il trattamento che il regime di Pechino riserva ai seguaci del Dalai Lama dagli anni Cinquanta: lavori forzati, sedute di rieducazione politica cioè lavaggio del cervello, indottrinamento patriottico, umiliazioni e spesso torture. Generazioni di monaci sono passate attraverso queste sofferenze, molti ne sono morti, senza che la Repubblica popolare riuscisse a piegare la resistenza del popolo tibetano. Ma Pechino insiste con i metodi di sempre. Lo ha rivelato il professor Dramdul del Centro di ricerca tibetologica, un pensatoio di regime che si occupa “scientificamente” della questione tibetana per conto del partito comunista. “Rilanciare l’educazione patriottica è necessario – ha detto l’esponente del regime – perché la cricca del Dalai Lama ha manovrato per sabotare lo sviluppo del Tibet e il buddismo tibetano. L’educazione dei monaci serve a contrastare l’influenza di piccoli gruppi secessionisti che tramano dall’estero”. La nuova ondata di deportazioni dei monaci nei laogai viene annunciata insieme con un aggiornamento del bollettino di guerra nelle operazioni contro i ribelli tibetani. Secondo le cifre ufficiali fornite dal governo cinese salgono a 660 i rivoltosi che si sarebbero “arresi alle autorità”, e che saranno giudicati per le violenze avvenute durante la più grande rivolta tibetana degli ultimi vent’anni. Il bilancio delle vittime è stato aggiornato a 19 morti da parte cinese, mentre il governo tibetano in esilio parla di 140 uccisi dalle forze dell’ordine. La polizia a Lhasa ha anche diffuso una nuova lista di 53 “super-ricercati” sui quali è stata posta una taglia. E’ arrivato a Lhasa un gruppo di 26 giornalisti stranieri selezionati dal governo di Pechino, scortati e sorvegliati da funzionari del ministero degli Esteri. E’ la prima volta che dei reporter stranieri vengono ammessi in Tibet dopo l’esplosione dei disordini del 14 marzo. Un cronista dell’Associated Press ha descritto le condizioni particolari in cui si è svolto il loro arrivo e la visita collettiva. “L’autobus dall’aeroporto a Lhasa andava volutamente lentissimo nonostante le nostre proteste. Abbiamo passato tre posti di blocco. Un ufficiale ha spiegato che stavano fermando gli automobilisti solo per controllare eccessi di velocità, infrazioni al codice della strada o il mancato uso della cintura di sicurezza. Davanti agli edifici pubblici abbiamo visto polizia militare in tuta mimetica e con armi automatiche puntate, in stato di massima allerta. Ci hanno portati in visita a una clinica bruciata durante le proteste. La sera i nostri accompagnatori ci hanno sconsigliato di uscire dall’albergo e ci hanno chiesto di informarli su ogni nostro movimento”. Il ministero degli Esteri ha rifiutato di rispondere alle nostre domande sui criteri con cui sono stati selezionati i giornalisti stranieri per la visita “guidata” a Lhasa. Il Foreign Correspondents’ Club of China, l’associazione della stampa estera, ha denunciato questa “visita breve e sotto massima sorveglianza” come un tradimento degli impegni formali presi da Pechino quando si candidò a ospitare le Olimpiadi. L’associazione ha elencato “più di 40 violazioni degli impegni sulla libertà di circolazione”, ha denunciato “varie forme di intimidazione dei giornalisti”, ha chiesto al governo cinese di “permettere a tutti gli altri giornalisti stranieri di viaggiare in Tibet senza interferenze”. I diplomatici non sono trattati meglio di noi. L’Australia, il cui governo laburista ha ottime relazioni con la Repubblica popolare, ha presentato una richiesta formale perché un gruppo di diplomatici stranieri possano andare in Tibet come osservatori indipendenti. La richiesta è stata respinta da Pechino con la giustificazione che il governo cinese non vuole mettere a repentaglio “la sicurezza degli stranieri”.

Pubblicato in Tibet, Olimpiadi

LA MADONNA DEL CARDELLINO 1 e 2

L'OSSESSIONE TUTTA ITALIANA ANTI-NUCLEARE ALLA BASE DEI RINCARI LUCE E GAS

Il rincaro è calcolato per una famiglia tipo, ed è annuale
Il presidente dell'Authority: "Per il 60% è dovuto al caro-petrolio"

Tariffe, da aprile nuovi aumenti
Per elettricità e gas 58 euro in più

Ma senza le liberalizzazioni, ricorda Ortis, gli italiani sarebbero stati più penalizzati

Tariffe, da aprile nuovi aumenti
Per elettricità e gas 58 euro in più" width="230">

ROMA - L'aumento delle tariffe di elettricità e gas che scatterà dal primo aprile (e fino al 30 giugno 2008) comporterà una maggiore spesa annuale per una famiglia tipo di 58 euro. Lo dice l'Autorità per l'energia e il gas, confermando le previsioni di Nomisma. L'aumento si deve ai 18 euro che saranno spesi in più per l'elettricità (consumo medio da 2.700 kilowattora l'anno) e ai 40 euro spesi in più per il gas (riscaldamento autonomo e consumo annuale di 1.400 metri cubi). Mediamente, gli aumenti saranno del 4,1% per l'elettricità e del 4,2% per il gas. Alla base dei nuovi prezzi c'è il costo del petrolio che in un anno è quasi raddoppiato.

"E' molto frustrante essere costretti a registrare aumenti ma, a parte le imposte, il 60% delle nostre bollette di luce e gas, è fortemente condizionato dal costo del petrolio", spiega il presidente dell'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas Alessandro Ortis. "In queste condizioni - prosegue - il caro-greggio travolge purtroppo anche i pur sensibili benefici della continua riduzione delle tariffe dei servizi infrastrutturali da noi amministrate, del contenimento degli oneri di sistema grazie ai provvedimenti adottati e dei primi vantaggi delle liberalizzazioni. Senza questi benefici, gli aumenti sarebbero stati superiori".

Ortis ricorda che sull'aggiornamento ha influito anche la particolare situazione degli approvvigionamenti del nostro Paese e il mix delle fonti di produzione: "L'Italia dipende dall'estero per l'85% del suo fabbisogno energetico, un grado ben superiore alla media europea e il 60% dell'energia elettrica è prodotto con costosi idrocarburi, i cui prezzi sono fortemente influenzati dalle quotazioni internazionali. Da gennaio 2007 si registra un incremento del 93% del prezzo del barile con inevitabili ripercussioni sui prezzi dell'energia".

A marzo 2008 il prezzo del petrolio ha segnato un aumento medio del 93% in dollari rispetto al livello medio del gennaio 2007 e, nello stesso periodo un incremento del 61,5% in euro, nonostante il cambio particolarmente favorevole. Nell'ultimo anno (primo trimestre 2008/primo trimestre 2007), il greggio è aumentato del 67% in dollari e del 48% in euro; negli ultimi tre mesi (marzo 2008/dicembre 2007), il barile è cresciuto del 14,2% in dollari e del 7,3% in euro; in particolare, in marzo, le quotazioni hanno raggiunto record storici, superando i 110 dollari al barile, con notevoli ripercussioni in tutti i paesi consumatori.

Il presidente dell'Authority sottolinea però anche i primi vantaggi dovuti alle liberalizzazioni: "Nonostante la forte esposizione ai prezzi petroliferi, rispetto al primo trimestre del 2007, nel primo trimestre di quest'anno, il differenziale rispetto a Francia, Germania, Spagna si è dimezzato, da 36,7 euro a 18,3 euro a MWh".

sabato 29 marzo 2008

INTERNET E CENSURA

Intervista a Ron Deibert, direttore del Citizen Lab di Toronto,
centro all'avanguardia nel monitoraggio delle restrizioni online

"La censura web in forte crescita"
Access denied in 26 paesi del mondo

Non solo Cina, Iran e Arabia Saudita: sistemi di filtraggio
sempre più sofisticati. Ma si evolvono anche i software di difesa
di MARCO DESERIIS


"La censura web in forte crescita"
Access denied in 26 paesi del mondo" width="230">

Ron Deibert

TORONTO (Canada) - Che i media e la rete cinese vengano regolarmente monitorati e censurati non è un mistero. Ma da un paio di settimane le maglie della censura sono ancora più strette: i servizi televisivi dei network satellitari sulla rivolta dei tibetani a Lhasa e sulle contestazioni all'accensione della fiamma olimpica vengono regolarmente oscurati, i maggiori siti di informazione internazionale sono spesso inaccessibili, e anche l'accesso a YouTube, su cui sono stati postati diversi video indipendenti della rivolta, risulta bloccato.

La stretta repressiva non coglie certo di sorpresa Ron Deibert, direttore del Citizen Lab di Toronto, centro di ricerca all'avanguardia nel monitoraggio della censura online. "I siti sull'indipendenza del Tibet sono sempre stati oscurati in Cina", spiega Deibert. E in momenti come questo, è facile per il governo cinese bloccare l'accesso a determinati siti: i loro filtri sono installati direttamente sulle dorsali di internet, negli internet service provider e negli internet caffè, il che oltre a essere tecnicamente efficace produce un clima di autocensura."

Situato in uno spazioso seminterrato inondato di luce all'interno del Munk Centre for International Studies dell'Università di Toronto, il Citizen Lab è in questi giorni in piena fibrillazione. Oltre a monitorare la situazione cinese, il team di dodici ricercatori si riunisce frequentemente nella sala conferenze - ironicamente ribattezzata "the cage" (la gabbia) - per vagliare i dati raccolti nel 2007 sullo stato della censura in internet in 71 paesi. Condotta in collaborazione con la OpenNet Initiative - una partnership delle università di Toronto, Harvard, Oxford e Cambridge - la ricerca verrà pubblicata ufficialmente a giugno.
Da un paio di settimane la OpenNet Iniative ha dato alle stampe Access Denied, un volume edito dalla casa editrice del MIT, contenente i dati relativi alle ricerce effettuate nel 2006 in 41 paesi. I risultati non sono certo rassicuranti: "La censura su internet è in crescita sia da un punto di vista quantitativo che per sofisticazione," spiega Deibert. "Su 41 paesi in cui abbiamo condotto dei test, abbiamo riscontrato varie forme di censura in 26 paesi. Quando iniziammo il monitoraggio nel 2000 erano pochi i paesi a destare preoccupazioni: la Cina, l'Iran, l'Arabia Saudita e pochi altri. Negli ultimi anni la crescita è stata impressionante. Dal rapporto 2007 ci aspettiamo che siano una quarantina i paesi che esercitano varie forme di controllo sulla rete."

Quali sono gli stati in cui la censura è più diffusa?
"Nel rapporto 2006, abbiamo classificato alcuni paesi come censori "pervasivi" - il che significa che hanno bloccato la percentuale più alta di contenuti in tutte le categorie che abbiamo testato. In questa categoria rientrano Cina, Birmania, Vietnam, Tunisia, Iran e Siria. Seguono l'Uzbekistan, il Pakistan, l'Etiopia, l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi che bloccano una quantità "sostanziale" di contenuti".

Quali sono le tipologie di censura più frequenti?
"Abbiamo diviso il filtraggio di contenuti in quattro tipologie: la censura apertamente politica; quella sociale (contenuti legati alla sessualità, il gioco d'azzardo, il consumo di droghe e alcol, ecc.); la censura legata a conflitti armati regionali; e la censura relativa e specifici servizi internet come l'email, il web hosting, e i motori di ricerca. Ad esempio negli ultimi anni abbiamo notato una crescita della censura nel Voice Over IP e di servizi come YouTube. Inoltre le tecniche stesse di filtraggio variano da paese a paese".

Può fare un esempio?
"In alcuni paesi, come la Cina, il filtraggio viene implementato soprattutto a livello delle dorsali e dei gateway internazionali. In altri paesi il filtraggio avviene a livello dei singoli Internet Service Provider. Il che significa che la rete appare diversa a seconda del provider da cui ci si collega. Inoltre, in paesi come la Cina la richiesta di una pagina bloccata restituisce all'utente un semplice errore di time out. In altri casi, come in Arabia Saudita, il governo chiede al cittadino di compilare un form in cui può spiegare perché la pagina richiesta non dovrebbe essere bloccata".

Avete riscontrato una crescita della censura anche nelle cosiddette democrazie occidentali? Se sì, qual è la differenza con la censura nei paesi non democratici?
"Diversi paesi occidentali hanno iniziato a discutere il filtraggio dei contenuti in rete, in particolare in relazione a materiali legati allo sfruttamento sessuale dei minori o alla pornografia in rete. Tra questi vi sono Stati Uniti, Gran Bretagna, Norvegia, Danimarca, Canada e Australia. Poiché in questi paesi il filtraggio viene discusso a livello legislativo, non ci siamo concentrati molto su di loro, perché le eventuali tecniche di filtraggio adottate sono in gran parte trasparenti. Il discorso cambia notevolmente se ci si sposta nel settore commerciale. Ad esempio, esistono una serie di aziende nella California del Nord che si stanno specializzando nella produzione di software per il filtraggio selettivo di contenuti. Software che vengono rivenduti a paesi terzi come l'Iran, la Birmania e la Tunisia. Il problema è che questi software sono protetti da segreto industriale ed è quindi estremamente difficile per i cittadini sapere quali tipo di servizi e contenuti vengono filtrati, e perché. Bisogna inoltre considerare - e questa osservazione vale anche per i paesi democratici - che una volta che dei sistemi di filtraggio vengono installati la tentazione di usarli per scopi diversi da quelli dichiarati può essere molto forte".

Come fate a raccogliere i vostri dati? Qual è il modello organizzativo della OpenNet Initiative?
"La OpenNet Initiative si avvale del lavoro di circa ottanta operatori che combinano la ricerca contestuale sul campo con una serie di strumenti sofisticati di indagine sulle reti. Le quattro università che formano la partnership hanno diverse funzioni. Ad esempio l'Advance Network Research Group dell'università di Cambridge coordina la ricerca sul campo. Al Citizen Lab invece sviluppiamo gli strumenti di monitoraggio delle reti. Ci avvaliamo inoltre della collaborazione di circa ottanta Ong che sono fondamentali per capire i paesi che stiamo studiando, dalla lingua ai problemi politici a livello locale. A livello tecnico usiamo diversi strumenti di analisi, come il Traceroute, per capire come sono dislocati i filtri. Tuttavia, al di là del fatto che alcune di queste tecniche di monitoraggio sono discutibili da un punto di etico, anche da un punto di vista tecnico hanno un'efficacia limitata, soprattutto se le si usa solo remotamente. Per questo ci affidiamo a una serie di ricercatori che si trovano fisicamente nei paesi sotto osservazione. I ricercatori scaricano da internet o portano con se nei propri computer portatili delle applicazioni e le usano a livello locale collegandosi a internet da diversi provider. Le applicazioni creano degli elenchi di migliaia di URL e parole chiave, che vengono poi trasmesse a dei database situati al Citizen Lab di Toronto dove vengono analizzate e interpretate".

"In un certo senso - continua Deibert - la nostra struttura organizzativa è ricalcato sul modello dei servizi di intelligence nazionali: la divisione del settore tecnico e umano, la compartimentazione delle conoscenze, sono tutte misure che adottiamo per proteggere i nostri ricercatori, cioè coloro che corrono i rischi maggiori. In molti dei paesi che stiamo studiando questo tipo di operazioni sono classificate come spionaggio. Personalmente, trovandomi al vertice di questa operazione, non conosco l'identità di gran parte dei nostri ricercatori. Se volessimo descriverci in poche parole potremmo dire che la ONI è "un'operazione di contro-spionaggio globale della società civile"".

Nel dicembre 2006 il Citizen Lab ha rilasciato Psiphon un software che consente ai navigatori di aggirare la censura nei paesi che bloccano l'accesso a determinati siti. Può spegarci come funziona?
"Psiphon si serve di Internet e delle reti sociali di amici, familiari e conoscenti distribuite 'a cavallo' di paesi in cui la rete è censurata e di paesi in cui non lo è. Il primo passo per rendere Psiphon operativo è che una persona residente in un paese in cui internet non è censurata scarichi il software e lo installi sul proprio computer, che diviene così un provider Psiphon. La persona in questione fa quindi pervenire le informazioni per connettersi al proprio nodo Psiphon a una ristretta cerchia di familiari, amici o colleghi residenti in un paese in cui la rete è censurata. Quando questi vogliono visualizzare dei contenuti bloccati si collegano con un nome utente e password al nodo-provider Psiphon, che li collega a sua volta all'informazione richiesta. Poiché l'intera transazione è crittata e il processo rimane privato, è difficile per le autorità individuare e bloccare i nodi Psiphon. Inoltre il protocollo utilizzato da Psiphon è l'Https che essendo in uso per le transazioni finanziarie non può essere bloccato indiscrinatamente dai provider.

Quali sono le principali differenze tra Psiphon e altri software anonimizzanti?
"Psiphon non è un anonymizer. I suoi utenti non sono anonimi rispetto al loro provider. Anche se il traffico tra l'utente Psiphon e il provider Psiphon è crittato, questi ultimi possono in teoria monitorare tutte le attività degli utenti Psiphon. Lo abbiamo progettato in questo modo deliberatamente, per sottolineare l'importanza dei rapporti di fiducia interpersonale, in particolare tra i provider e gli utenti di Psiphon. Rispetto ad altri software simili Psiphon ha il vantaggio di essere molto facile da installare. E poi è open source, il che significa che riceviamo ottimi suggerimenti su come migliorarlo".

Quanti utenti ne fanno uso al momento?
"L'architettura decentrata di Psiphon e l'indipendenza di ciascun nodo, fa sì che sia impossibile per noi sapere quante persone ne fanno uso. Quello che sappiamo è che dal dicembre 2006 è stato scaricato da 150.000 utenti. Anche i ricercatori dell'OpenNet Initiative se ne servono quando si trovano nei paesi in cui la rete è censurata, il che significa che sappiamo bene come funziona 'sul campo'".

Le Olimpiadi di Pechino potrebbe fornirvi un'ottima occasione per diffondere Psiphon. Molti giornalisti e operatori avranno bisogno di fare un uso non censurato della rete...
"Di recente ci siamo resi conto che esiste una porzione significativa degli utenti della rete che potrebbe beneficiare di un servizio professionale strutturato intorno a Psiphon, e le Olimpiadi di Pechino ne sono un buon esempio. Migliaia di giornalisti arriveranno in uno dei paesi in cui la rete è più censurata. Anche se alcune testate dispongono di soluzioni proprie, molti si affideranno a fornitori esterni. Per questo abbiamo creato una società apposita che ha riscontrato un interesse immediato. Ovviamente la maggior parte delle aziende interessate preferiscono non parlarne apertamente per timore di mettere i propri giornalisti a rischio. Noi speriamo che le Olimpiadi siano l'occasione giusta per lanciare Psiphon come business".

Quali sono le tecniche di aggiramento della censura più usate dagli attivisti e dai dissidenti cinesi per navigare?
"La maggior parte degli utenti cinesi si servono di server proxy aperti. Essendo "aperti" questo tipo di server sono insicuri per definizione e possono essere facilmente monitorati. Inoltre molti di questi server finiscono rapidamente su delle block list, e quindi diventa estremamente difficile farne uso. Esistono anche dei software realizzati da cittadini cinesi che vivono negli Stati Uniti, ma poiché devono essere scaricati non sono del tutto sicuri. Altri utenti cinesi si servono di Tor, un software che distribuisce le richieste dei navigatori lungo una lunga serie di nodi che anonimizzano l'identità di chi naviga. Anche quando non vengono bloccate, questo tipo di connessioni hanno il problema di essere estremamente lente".

In che modo Psiphon può tornar loro d'aiuto?
"Psiphon è facile da usare, molto veloce, e piuttosto sicuro. Se i cittadini cinesi hanno contatti con amici, familiari e parenti al di fuori del loro paese è un ottima scelta. Abbiamo tradotto le FAQ in cinese e faremo lo stesso con l'interfaccia del software e la guida utente. Stiamo anche lavorando a una nuova versione che permetterà agli utenti di fare domanda per la gestione di nodi Psiphon anche se si trovano all'interno del paese censurato, senza che debbano scaricare alcun software. L'interno processo sarà gestito dal web. Per lanciare questo servizio Psiphon dovrà gestire migliaia di nodi a livello mondiale e implementare una strategia anti-bloccaggio. Quest'ultima richiede molte risorse, il che dipende da quanti introiti l'azienda riuscirà a generare, e da altre forme di sovvenzionamento".

A proposito, chi sono i finanziatori della OpenNet Initiative?
"La ONI è finanziata da diverse fondazioni come la MacArthur Foundation e l'Open Society Institute. All'ONI consideriamo la nostra autonomia un fattore cruciale. Non accettiamo soldi dai governi ad esempio, e facciamo sì che un elenco aggiornato di tutti i nostri finanziatori sia sempre presente sul nostro sito".

(28 marzo 2008)

meglio che niente

Cuba, Raul Castro autorizza l'uso dei telefonini
Per i tostapane bisognerà aspettare il 2010

L'AVANA (28 marzo) - Il nuovo presidente cubano, Raul Castro, ha autorizzato i cubani a possedere telefoni cellulari, finora riservati solo agli stranieri in visita sull'isola e ai funzionari governativi. Nel febbraio scorso Raul Castro aveva annunciato, nel suo discorso di insediamento davanti all'Assemblea nazionale, che il governo cubano avrebbe abolito «alcuni dei divieti che limitano la vita dei cittadini» cubani. Così sono stati tolti i divieti alla vendita di computer, lettori dvd, televisori a schermo piatto e forni a microonde. Liberalizzata anche la vendita di piccoli attrezzi agricoli.


Secondo i programmi di liberalizzazione previsti, il prossimo anno i cubani, visto l'aumento delle disponibilità di energia elettrica, potranno acquistare anche i condizionatori d'aria. Per i tostapane dovranno però aspettare il 2010.

venerdì 28 marzo 2008

au clair de la lune

Ricercatori Usa scovano in un archivio di Parigi una registrazione
del 1860, fatta ben 17 anni prima del fonografo di Edison

La prima voce umana registrata
"Era il nove aprile di 148 anni fa"

di JAIME D'ALESSANDRO


La prima voce umana registrata
"Era il nove aprile di 148 anni fa"" width="230">
ROMA - Per decenni abbiamo pensato che le prime registrazioni della voce umana si dovessero a Thomas Edison. Dato che fu lui a presentare il 21 novembre del 1877, trent'anni dopo la comparsa del telegrafo, il primo fonografo della storia. O meglio, quello che fino a oggi si credeva essere il primo fonografo della storia. Ma le cose sembra che stiano in modo diverso. Un gruppo di ricercatori americani guidati da David Giovannoni ha scovato in un archivio di Parigi una registrazione di 10 secondi risalente al 9 aprile del 1860. E' un frammento di una canzone popolare, "Au Clair de la Lune", registrata con un apparecchio in grado di catturare i suoni ma non di riprodurli come invece era capace di fare il fonografo di Edison arrivato 17 anni dopo.

L'AUDIO

La storia è stata raccontata dal New York Times, che per primo ha reso disponibile in versione digitale questi preziosi 10 secondi risalenti a quasi 150 anni. Che Giovannoni presenta all'annuale conferenza della Association for Recorded Sound Collections a Palo Alto in California.

La registrazione, destinata a cambiare i libri di storia, sarebbe opera di Édouard-Léon Scott de Martinville. Il suo apparecchio era formato da un corno attaccato a uno stilo che incideva le onde sonore su fogli di carta anneriti dal fumo di una lampada a olio. Come dicevamo prima, questo strumento non era in grado di riprodurre quanto registrava, forse perché Scott pensava al suo fonografo come un sistema di archiviazione.

Il team di ricerca americano, nei Lawrence Berkeley National Laboratory di Berkeley, ha usato una sorta di stilo virtuale decriptando digitalmente la registrazione realizzata da Scott de Martinville. O meglio: le registrazioni, dato che quella del 1860 sarebbe solo una fra quelle trovate da Giovannoni. Alcune risalirebbero addirittura al 1853 e 1854. Solo che a quei tempi la macchina di Scott non era stata calibrata in maniera ottimale, compromettendo quindi la qualità del suono. In realtà gli storici sapevano già da tempo degli esperimenti di Scott. Nessuno però fino ad oggi aveva mai trovato delle prove concrete.

giovedì 27 marzo 2008

bufale 2

bufale



di FRANCESCO PERROTTA da l Corriere della Sera Online

Un frame del filmato
Un frame del filmato
SALERNO – Il video non nasconde nulla all’immaginazione. Le bufale pascolano tra i rifiuti. Località Sardone, frazione di Giffoni Valle Piana a 5 chilometri da Salerno: è qui che gli animali – non si sa di quale allevamento - ruminano erba cresciuta negli immediati pressi di un'area che per anni è stata adibita a discarica e che ora è chiusa e recintata ma non è mai stata bonificata (e dove, tra l'altro, sorge ancora un sito di trasferenza di immondizia talquale). Le immagini sono sul portale Youtube. L’autore, il Comitato salute e ambiente di Salerno, ha pubblicato il filmato ben prima che esplodesse l’emergenza mondiale per la mozzarella di bufala. Le riprese non lasciano dubbi: le bufale spuntano da un cespuglio e gironzolano sotto ad un grosso traliccio su un terreno dove tra copertoni di auto, lattine e pattume. Il video rimanda ad un sito www.aplo.it, un meetup degli amici di Beppe Grillo, il comico genovese che da tempo si batte contro la costruzione degli inceneritori. Proprio nei pressi di Sardone, infatti, sorgerà l’impianto di termovalorizzazione in cui bruceranno i rifiuti di Salerno e provincia.
I controlli sulla mozzarella
I controlli sulla mozzarella

IL SINDACO DI GIFFONI -
Il primo cittadino di Giffoni Valle Piana, Paolo Russomando del Pd, replica: «Le immagini risalgono a febbario 2008, ma l'amministrazione comunale di Giffoni è intervenuta tempestivamente, ripulendo l'area in meno di 24 ore. Certo è - aggiunge Russomando - che il comportamento delittuoso di alcuni sprovveduti, che abbiamo denunciato. non può inficiare e cancellare l'azione di grande resposabilità, sul tema della gestione dei rifiuti, messa in campo dall'amministrazione comunale di Giffoni». «Gli impianti di Sardone operano - aggiunge Russomando - nel pieno rispetto di tutte le norme ambientali e sanitarie e hanno contribuito a fronteggiare l’emergenza rifiuti nella nostra regione. L’irresponsabilità dell’allevatore che lascia liberi i suoi animali è stata più volte denunciata, così come più volte è stato denunciato e bonificato l’abbandono abusivo di rifiuti, avvenuto sempre fuori dalla recinzione dell’ex discarica di Sardone. Sia l’Amministrazione Comunale di Giffoni Valle Piana che il Consorzio di Bacino Sa2, gestore del sito, quotidianamente sono impegnate nel monitorare e bonificare le aree esterne agli impianti. Il pascolo abusivo (che per ovvi e legittimi motivi, non è mai potuto avvenire all’interno degli impianti di Sardone) è interdetto da un’ordinanza sindacale e più volte il proprietario delle bufale è stato sanzionato, non solo dalla Polizia municipale di Giffoni ma anche dal Corpo Forestale dello Stato, e nei suoi confronti è in corso un giudizio penale». «La zona ripresa dal video del Comitato Ambiente e Salute - conclude l'amministratore di Giffoni -, che come si vede anche dalle immagini è fuori dall’impianto di Sardone, è stata bonificata agli inizi di febbraio e tutti i rifiuti abbandonati in modo illegittimo sono stati correttamente smaltiti».
Il timore del sindaco e del presidente del consorzio Sa2, Dario Barbirotti, è che «collegare un pascolo abusivo –peraltro già sanzionato e represso- alla situazione generale significa solo arrecare un subdolo danno economico e d’immagine al lavoro di tutti gli allevatori seri e coscienziosi della provincia di Salerno, con possibili ripercussioni negative su un’intera filiera alimentare».

IL COMITATO AUTORE DEL VIDEO -
Un portavoce del comitato Salute e ambiente, autore del filmato, sostiene che «è da un anno che giriamo filmati in quella zona, e le bufale al pascolo le abbiamo sempre trovate. Strano che le autorità se ne accorgano solo ora».

PSICOSI MONDIALE -
Dopo le operazioni delle forze dell’ordine che hanno portato al sequestro di decine di allevamenti di bufale e di diversi prodotti venduti da alcuni caseifici nella provincia di Caserta, è scoppiata in Asia e in Europa una vera e propria psicosi mozzarella. Il «Consorzio di Tutela» ha però dichiarato che questo allarmismo è ingiustificato e che attualmente i danni ammontano ad oltre 30 milioni di euro. Ma l’appello è servito a poco. Dopo la Corea del Sud, il Giappone e Taiwan anche la Russia e la Germania stanno attentamente monitorando i prodotti caseari campani. I produttori si lamentano e minacciano tagli al personale. Centinaia di operai rischiano il posto di lavoro.

CLASS ACTION -
Ma i consumatori non ci stanno e lanciato un sos con Giuseppe Orsini, presidente del Codacons Napoli: in una nota l’ente ha dichiarato che si sta valutando l’opportunità di avviare una class action. Staremo a vedere, sta di fatto che mangiare la mozzarella di bufala fa paura, ma vedere le immagini di questo video ancora di più.

hacker vs tibet - da "Il Giornale"

Londra - La censura di Pechino colpisce Internet non solo con l’oscuramento dei siti scomodi ma anche con attacchi mirati di hacker. Le ultime vittime della "cyberguerra" cinese sono le Ong considerate ostili, riporta il sito della Bbc. A denunciare attacchi, oltre ad associazioni che sostengono il Tibet, ora anche l’organizzazione Save Darfur Coalition, che spesso accusa Pechino per il suo ruolo in questa tragedia umanitaria. In quest’ultimo caso, affermano i rappresentanti di Save Darfur, è stata allertata anche l’Fbi.

Gli attacchi avvengono prevalentemente sotto forma di mail contenenti allegati che se aperti installano nei computer dei ’programmi spià, che consentono di sapere tutto ciò che avviene al loro interno. Dalle prime indagini è emerso che le mail partono da computer dislocati nella capitale cinese: "Qualcuno a Pechino ci sta mandando un messaggio - afferma Allyn Brooks, portavoce dell’organizzazione - anche se non abbiamo ancora prove concrete che gli attacchi siano stati organizzati dal governo".

Lo stesso problema dell’ong pro Darfur viene riscontrato da qualche giorno anche dalle associazioni pro-Tibet. Secondo un rapporto dell’Internet Storm Center, un sito che censisce l’attività dei virus informatici, da quando sono iniziati i disordini in Tibet gli hacker hanno preso di mira i siti a favore dei monaci il triplo delle volte.

mercoledì 26 marzo 2008

l'infermiera e il paziente



ecco l'infermiera al lavoro!
ma dov'è il paziente?

veltroni di lotta e di monnezza

da "Dagospia"
AMA ROMA, LA CITTÀ “ZOZZONA”

Tratto da “Modello Roma - Il grande bluff - Perché la fama di Veltroni sindaco è campata in aria” di Benedetto Marcucci (Rubettino)


Il Sindaco per evitare di rispondere delle inadempienze dell’AMA, la società del Comune che gestisce l’igiene urbana, stabilisce un principio secondo il quale se la sua Giunta non riesce a risolvere un problema vuol dire che è impossibile riuscirci. Invocare le attenuanti generiche sarebbe legittimo, ma giocare la partita solo accampando l’improba difficoltà del compito ci sembra veramente un po’ meschino.

Per capire meglio quanto questo approccio sia viziato si deve ricorrere ancora una volta a un confronto con l’amministrazione precedente. Durante il governo a Roma di Francesco Rutelli il problema della nettezza urbana era centrale, affrontato con ben altra attenzione. L’igiene urbana è un banco di prova sul quale è facile percepire la differente “filosofia” amministrativa tra Veltroni e Rutelli. Quest’ultimo, pur non essendo esente da eccessi di ottimismo e non risparmiandosi annunci un po’ imprudenti, è stato più concreto, meno letterario e poetico nell’esercizio del suo mandato.

Dopo la prima seduta del Consiglio comunale vissuta da Sindaco, fece la riunione inaugurale di Giunta il 17 dicembre del 1993, dalla quale uscì con un primo programma dedicato proprio alla pulizia della città: “Anno nuovo, Roma più pulita”. Da lì iniziò un’attività di riforma delle modalità di intervento dell’allora AMNU, divenuta poi AMA, che continuò per tutti e due i mandati. Nonostante si notasse nei risultati una netta inversione di tendenza rispetto al passato, Rutelli non smise mai di “marcare” stretta la dirigenza dell’AMA continuando a esprimere la sua insoddisfazione.

In tutte le dichiarazioni sull’argomento non scelse mai di schermirsi di fronte alla difficoltà del compito, ma al contrario incalzava ogni volta dicendo che si doveva fare di più. Eppure in quel periodo fu avviata una pratica che, nonostante l’iniziale disagio per il parcheggio dei residenti, affermò per la prima volta la pratica della pulizia a turno di tutte le strade. Pulizia che si notava: le vie di Roma insomma erano più pulite.

O ancora si iniziarono ad elevare centinaia di multe per le “deiezioni canine” non raccolte dai padroni. La cosa fece notizia. Erano misure certamente impopolari, che segnarono però una netta discontinuità col passato, con le quali si riuscirono a ottenere dei risultati percepibili. Tant’è che all’inizio del 1999 in un sondaggio sui problemi della città solo il 2% dei cittadini mettevano l’igiene in cima alle loro preoccupazioni, preceduta da traffico, lavoro, parcheggi, trasporto pubblico, assistenza sanitaria, disoccupazione e smog.

Altra misura interessante, già attuata in molte altre capitali, era la fascia oraria nella quale consentire il rilascio dell’immondizia. Tutto ciò non vuol dire che la gestione sotto Rutelli fosse perfetta, anzi, ma almeno c’era una reale attenzione al problema. Inoltre nonostante non si sia mai arrivati a far diventare l’AMA un’azienda modello, certamente il primo esercizio in attivo nel 2001 non si registrò per le politiche dell’amministrazione Veltroni, ma ovviamente per le riforme realizzate durante la giunta Rutelli. Eppure, come in altri campi, è stato Veltroni a prendersi un merito non suo, strombazzando ai quattro venti quanto il “clima” a Roma fosse cambiato.
Veltroni peraltro sulla pulizia a Roma ha cambiato idea nel corso degli anni. Appena divenuto Sindaco disse con piglio deciso: “la città deve essere pulita”. E presentando nel settembre 2001 con Massimo Tabacchiera, allora presidente dell’AMA, la sua “rivoluzione” annunciava l’attuazione di una serie di misure che avrebbero dovuto “migliorare moltissimo la situazione”: aumenti da tre a quattro dei turni di spazzatura, con una “copertura 24 ore su 24”, introduzione del “responsabile AMA” municipio per municipio, “pronto intervento nel centro storico per gestire immediatamente situazioni di degrado”. A distanza di sei anni, a giudicare dalle immagini, possiamo dire che qualcosa non è andato per il verso giusto (Consigliamo di visitare il sito, “il degrado di Roma”, per rendersi conto).Queste affermazioni sembrano per chiunque viva la città più il copione di un comico che non le dichiarazioni del Sindaco.

Certamente non ha giovato lanciare l’AMA nell’attività internazionale con l’istituzione dell’AMA International. Così l’AMA ha acquisito un serie di appalti per la pulitura delle strade in vari Paesi del (Terzo) mondo: Egitto per la zona nord del Cairo, in Honduras nella città di San Pedro Sula, e in Senegal, a Dakar. Su quest’ultimo, l’appalto per la pulizia di Dakar, si sono registrati livelli di inefficienza e approssimazione tali da indurre a fare una pronta marcia indietro. Cosa è successo nella “campagna africana”? L’AMA in questo caso non vinse l’appalto direttamente ma arrivò a ruota della Alcyon, società svizzera di un certo Alvaro Moretti.

L’incarico riguardava sia lo smaltimento dei rifiuti, sia la costruzione di una discarica. Dopo un periodo d’avvio entusiasta, suggellato da un concerto con Youssou n’Dour alla presenza del benedicente Veltroni, si capisce che c’è ben poco da esportare “modelli”, come entusiasticamente scriveva Nuova Ecologia, rivista di Legambiente (un articolo dal titolo oggi veramente grottesco: “Il modello AMA viaggia nel mondo”!).

A Dakar vengono mandati mezzi vecchi e fatiscenti, fatti pagare ai “gonzi” africani per nuovi e la capitale senegalese comincia presto ed essere più sporca di prima. In Senegal iniziano le proteste. Alla fine dell’estate 2005, complice la siccità, nel mare di rifiuti di Dakar scoppia un’epidemia di colera: migliaia i contagiati, 117 i morti. Il Senegal denuncia l’AMA e ha inizio una lunga causa non ancora conclusasi.

Il Sindaco sulla vergognosa vicenda tacque allora e continua a tacere, preferendo ricevere applausi in una presentazione dell’ennesimo libro su una scuola aperta a Maputo grazie ai contributi degli studenti romani, resi buoni da lui, dal Sindaco. E mostrando agli studenti del Liceo romano Augusto una foto di due dita, una neanche a dirlo della sua mano, l’altra della manina di una bimbetta africana, commenta così: “Queste foto danno il senso dei nostri viaggi in Africa e un’idea di mondo: che ci tocchiamo, siamo la stessa pelle, parte dello stesso progetto, ci scambiamo calore. Il consiglio che vi do è di dedicare una parte della vostra vita agli altri: si può fare per l’Africa si può fare nella nostra città, attraverso il volontariato, o semplicemente stando vicini a chi è in difficoltà”. E mentre il Sindaco predica, l’AMA sta vicino ai senegalesi in difficoltà esportando il suo Modello, garanzia di colera.

A fine mandato, qualcosa è successo: il costo dello spazzamento delle strade è superiore dell’ 83% rispetto alla media nazionale e la raccolta dei rifiuti costa il 17% in più delle principali città italiane. A questi numeri già abbastanza emblematici del fallimento se ne aggiungono altri: a Roma l’88% dei rifiuti finisce direttamente in discarica contro una media nazionale del 57%…

martedì 25 marzo 2008

tibet



Dopo You Tube


A maggio in Italia la CurrentTv

il piccolo schermo secondo Al Gore

di ALESSANDRO LONGO




ARRIVERA' in Italia, a maggio, la CurrentTv di Al Gore (ex vicepresidente statunitense). È una televisione alternativa, fatta dagli utenti e già vincitrice di un premio Emmy. Si vedrà sia sul web sia su Sky, su un canale dedicato: è un passo avanti verso lo sviluppo, anche in Italia, di un nuovo modo di fare Tv.

La CurrentTv italiana, presentata alla Casa del Cinema di Roma qualche giorno fa, avrà una redazione di 20 persone, che selezioneranno i video mandati dagli utenti e li monteranno per farne trasmissioni. Funziona così: gli utenti invieranno i video sul sito, che sarà come su una sorta di YouTube, ma più curato e professionale. La redazione infatti selezionerà i video e pubblicherà sul sito solo quelli di qualità. L'idea è fare un giornalismo dal basso, con video documentari, notizie, reportage, denuncia sociale; ma anche arte, sport, spettacolo. Una Tv alternativa, aperta a contributi di professionisti e non. I video più graditi sul web si guadagneranno il passaggio in Tv e saranno anche pagati (da 500 a mille euro). A regime, si conta di avere circa 50 video-maker di fiducia, a cui anche affidare notizie e temi da seguire; CurrentTv sarà sempre però aperta ai contribuiti di qualsiasi utente, purché di valore.

IL PONTICELLO


qual è il ponticello più lungo?

Sindone

Bbc riapre mistero su Sacra Sindone

In un documentario nuove prove che confutano la datazione medievale fatta nel 1989

LONDRA - Potrebbe riaprirsi, con nuovi colpi di scena, il mistero della Sacra Sindone. Il sudario di Cristo, su cui sono impressi il volto e le macchie di sangue di un uomo, nel 1989 era stato bollato da un test al carbonio 14, che lo aveva datato al 1325, come un falso medievale. Ora però, venti anni dopo quell'esame, una troupe della Bbc ha potuto riprendere la Sindone in immagini ad alta definizione. Immagini da cui emergono dettagli il cui studio mette in discussione l'origine medievale del

La Sacra Sindone (Ap)
lenzuolo dalle molte caratteristiche ancora inspiegabili e che continuano ad appassionare studiosi ed esperti di tutto il mondo. A partire da queste nuove immagini e dando voce ai molti scienziati e studiosi che si sono cimentati nel difficile compito di risolvere il mistero della Sindone, il documentario della Bbc, «Shroud of Turin», che andrà in onda lunedì sera nella puntata di Porta a Porta a cui farà seguito un dibattito, mette in luce la necessità di compiere nuove indagini al carbonio sulla reliquia volte a stabilirne una volta per tutte l'età.

CONFLITTO DI DATAZIONE - Articolato come un viaggio che tocca i numerosi luoghi dove la Sindone sarebbe passata o dove viene studiata - Torino, Oxford, Colorado, Istanbul, Gerusalemme - ma sempre saldamente ancorato all'evidenziazione del dato scientifico, il documentario fa emergere un conflitto di datazione tra la prova al carbonio del 1989 e altre prove di tipo sia storico sia scientifico elaborate dagli studiosi in questi anni. Tra questi, John Jackson, un fisico americano che ha contribuito al film, ha sviluppato una nuova ipotesi basata su tecniche di datazione al carbonio 14 che non erano conosciute quando la Sindone fu testata. Queste tecniche potrebbero spiegare come un lenzuolo di lino risalente davvero all'epoca di Gesù possa essere risultato più recente all'esame del C14. Sulla stessa linea di Jackson è il professor Christopher Ramsey, direttore della Oxford Radiocarbon Accelerator Unit, secondo cui «tra le misurazioni del radiocarbonio e le altre prove che abbiamo sulla Sindone sembra esserci un conflitto, su come interpretare queste prove. E per questo ritengo che chiunque abbia lavorato in questo settore, debba dare uno sguardo critico alle prove che hanno prodotto per riuscire a tracciare una storia coerente che si adatti e ci dica la storia vera di questo intrigante pezzo di stoffa».

lunedì 24 marzo 2008

addio a Neil Aspinall

Addio al «quinto Beatle» - E’ morto Neil Aspinall (a sinistra con Paul McCartney) noto come il «quinto Beatle» per la sua amicizia con i Fab Four, dei quali è stato anche manager finanziario. Aveva 66 anni. «Tutti i suoi amici e parenti conserveranno per sempre il ricordo gentile di un uomo straordinario un amico leale e una persona molto vicina» si legge in una nota firmata da Paul McCartney e Ringo Starr insieme alle vedove di John Lennon e George Harrison.

sabato 22 marzo 2008

istituzioni vs cittadini

Niscemi, costruisce lo scivolo per un'amica disabile Multato dalla polizia municipale


CALTANISSETTA (21 marzo) - Maria La Rocca, 69 anni, di Niscemi in provincia di Caltanissetta, sulla sedia a rotelle, il 28 febbraio scorso ha presentato domanda al Comune per realizzare uno scivolo di fronte alla sua abitazione perché cinque gradini le impedivano di uscire. A sua insaputa, il vicino di casa, Giuseppe Maida, ne ha realizzato uno in legno e l'ha montato. Per questo è stato multato dagli agenti della polizia municipale della sezione vigilanza edilizia. Il Comune infatti non aveva ancora dato la concessione.

Pedana in legno. Racconta Maida al Giornale di Sicilia: «Dopo le sollecitazioni di molti cittadini e dopo avere appreso che Maria aveva presentato negli anni diversi progetti per l'abbattimento delle barriere architettoniche senza avere avuto un riscontro positivo, ho fatto realizzare la pedana rimuovibile per consentire provvisoriamente il passaggio della mia amica disabile».

Il sindaco. Ma il sindaco di Niscemi, Giovanni Di Martino replica: «nessun cittadino può permettersi di fare come Maida. Non siamo in un Comune dove le regole possono essere infrante da chicchessia. E inoltre non mi pare che l'amministrazione sia in ritardo nel dare una risposta alla disabile».

La donna protagonista della vicenda commenta così l'accaduto: «Abito a due passi dalla piazza centrale e dalla matrice. Ma non posso uscire perché da sola non so come superare i gradini».

passato presente

mercoledì 19 marzo 2008

BIG DOG

Stati Uniti, il robot a quattro zampe
di "Guerre Stellari" è (quasi) una realtà

In Rete il video di "Big Dog", un bestione futuristico sviluppato da Boston Dynamics e Pentagono

Il Big Dog
MILANO
- Dobbiamo aver paura di questo robot? Un video sul portale YouTube di "BigDog", uno spettacolare robot a quattro zampe finanziato dal Pentagono, sta generando molto scalpore in Internet. Il filmato mostra questo cagnolone meccanico, l'ultimo ritrovato del Dipartimento della Difesa, mentre si muove in maniera incredibilmente realistica sul terreno impervio, riuscendo a destreggiarsi senza grossi problemi tra i boschi, sulla neve ma anche su un fondo ghiacciato. Il futuristico bestione, che sembra uscito da una produzione science-fiction hollywoodiana, ha fatto rabbrividire persino i fan più incalliti degli automi. Le reazioni in rete si dividono tra chi lo trova "affascinate" e "sorprendente". Per altri questo orribile mostro è semplicemente "raccapricciante".



GUERRE STELLARI - La Boston Dynamics, per conto del rinomato Massachusetts Institute of Technology (MIT), ha creato il "Most Advanced Quadruped Robot on Earth": il quadrupede robotizzato più avanzato sulla Terra. Il "grande cane", molto simile al "camminatore armato AT-AT" della saga cinematografica di Guerre Stellari, cammina ad una velocità di 5,3 chilometri orari. La sua struttura richiama certamente una sorta di cane malfatto: è stato sviluppato in questi anni in collaborazione con l'organizzazione del Pentagono per la ricerca a scopo militare DARPA, che ha finanziato il progetto con 10 milioni di dollari.

MILITARE - In una sequenza del video si vede un tecnico che lo spinge di lato violentemente con un piede. "BigDog", tuttavia, si sbilancia lievemente ma poi riprende la sua corsa. Cammina su pendii, su strade rocciose, va al passo ma può anche correre. Il corpo è in acciaio con un complesso sistema all'interno fatto di motore a benzina a un cilindro; computer; unità di misurazione inerziale, accelerometro, sensori, telecamere e giroscopi. "BigDog" è probabilmente uno dei progetti più ambiziosi in ambito militare, scrive il magazine "Popular Science".

da "Repubblica online"

LA POLEMICA

Genova, quei silenzi
sul Garage Olimpo di Bolzaneto

di GIUSEPPE D'AVANZO


IL PROCESSO per i fatti di Bolzaneto, scrivono i pubblici ministeri nella memoria consegnata ieri al tribunale di Genova, è "un processo dei diritti". Le testimonianze, le fonti di prova raccolte, le timide ammissioni degli imputati, la ricostruzione di quel che è accaduto in una caserma italiana diventata, per tre giorni, un argentino Garage Olimpo parlano della dignità della persona umana, della libertà fisica e morale del cittadino detenuto.

Ci ripetono che anche una democrazia è capace di torturare. Che anche la nostra giovane democrazia può avvitarsi, senza preavviso, in una spirale autoritaria, e non solo i regimi che si nutrono dell'annientamento dell'altro per sopravvivere. Ci ricordano che l'umiliazione di un uomo prigioniero e indifeso, abbandonato a un deserto di regole, garanzie e umanità apre un solco profondo tra il cittadino e lo Stato. Ci annunciano come può collassare la cultura stessa della nostra convivenza civile.

L'indignazione non può bastare per quel che accaduto a Genova Bolzaneto. Non è sufficiente un sentimento. Occorrono ragione e intelligenza delle cose. E' necessario interrogarci con radicalità sulla debolezza delle nostre istituzioni; sui deficit culturali di chi - in alto o in basso - li rappresenta; sulla qualità delle prassi di governo e comando di quelle istituzioni; sulla peculiarità dei meccanismi di selezione dei ceti dirigenti di quelle amministrazioni, sulla loro permeabilità a una volontà - politica, burocratica - che può capovolgere i valori costituzionali.

"Bolzaneto è un "segnale di attenzione"", hanno ragione i pubblici ministeri di Genova. E' "un accadimento che insegna come momenti di buio si possono verificare anche negli ordinamenti democratici, con la compromissione dei diritti fondamentali dell'uomo per una perdurante e sistematica violenza fisica e verbale da parte di chi esercita il potere".

I magistrati sembrano chiedere ascolto, più che al tribunale, a chi ha il dovere di custodire gli equilibri della nostra democrazia. Bolzaneto, sostengono, insegna che "bisogna utilizzare tutti gli strumenti che l'ordinamento democratico consente perché fatti di così grave portata non si verifichino e comunque non abbiano più a ripetersi". E' un'invocazione, ci pare. Quei magistrati, con misura e rispetto, dicono alla politica, al Parlamento, alle più alte cariche dello Stato, alla cittadinanza consapevole: attenzione, gli strumenti offerti alla giustizia per punire questi comportamenti non sono adeguati. Non esiste una norma che custodisca espressamente come titolo autonomo di reato "gli atti di tortura", "i comportamenti crudeli, disumani, degradanti".

E comunque, il pericolo non può essere affrontato dalla sola macchina giudiziaria perché quando si mette in moto è troppo tardi. La violenza già c'è stata. I diritti fondamentali sono stati già schiacciati. La democrazia ha già perso. I segnali di un incrudelimento delle pratiche nelle caserme, nelle questure, nelle carceri - dove i corpi vengono rinchiusi - dovrebbero essere percepiti, decifrati e risolti prima che si apra una ferita che non sarà una sentenza di condanna a rimarginare, anche se quella sentenza - e non è il nostro caso - fosse effettiva.

L'invito della magistratura di Genova dovrebbe indurre tutti - e soprattutto le istituzioni - a guardarsi da ogni minima tentazione d'indulgenza, da ogni relativizzazione dell'orrore documentato dal processo. Ora se si prova a esaminare gli umori delle amministrazioni dello Stato, coinvolte nel plumbeo affresco di violenze ricostruito a Genova, si raccoglie soltanto un imperturbabile disinteresse. Non un fiato. Al più, spallucce. In qualche caso, un sorrisetto di disprezzo.

Quel che, a buona parte dell'opinione pubblica, appare a ragione una lesione e una grave ipoteca, non lascia traccia nelle istituzioni. Non è nemmeno un amaro ricordo. E' soltanto un nulla di cui non vale più la pena occuparsi. Non deve essere nemmeno un fatto politico, una questione pubblica - come si doleva qualche giorno fa Marco Revelli - perché la politica guarda da un'altra parte. Distratta? Complice? Inconsapevole? Senza dubbio sorda ai coerenti argomenti di Valerio Onida: "Uno Stato che vessa e maltratta le persone private della libertà non è uno Stato democratico. Una polizia che usa la forza non per impedirne reati, ma per commetterne, non può essere considerata "forza dell'ordine". Fatti di questo genere distruggono la credibilità delle istituzioni più di tanti insuccessi dei poteri pubblici".

Forse non si possono usare formule più preoccupate, e tuttavia anche le parole del presidente emerito della Corte costituzionale sono cadute nel vuoto. Il governo in carica tace come se l'affare non lo interpellasse e riguardasse gli altri che governavano nel 2001. Tace il centro-destra, dimentico che quelle violenze si consumarono nel giorno in cui si presentò alla scena del mondo mentre un vice-presidente del Consiglio (Fini) era ospite della "sala operativa" in questura e un ministro di Giustizia (Castelli), nel cuore delle notte, visitava la caserma di Bolzaneto bevendosi la storiella che i detenuti erano nella "posizione del cigno" contro un muro (gambe divaricate, braccia alzate) per evitare che gli uomini molestassero le donne. Tace Bertinotti, tace Veltroni come se la promessa di un'Italia "nuova" potesse fare a meno di chiedersi: perché c'è stato l'inferno di Bolzaneto? E quale garanzie abbiamo che non accada più?

martedì 18 marzo 2008

drive safely


Video: l'investitore e la "guida con prudenza"

ROMA (18 marzo) - L'investitore ha una pagina su MySpace nella quale ha pubblicato un video mentre è alla guida della sua auto. Sotto al video campeggia la scritta:''drive safely!" (guida con prudenza!). L'ultimo accesso alla pagina è stato effettuato il 4 marzo. Vernarelli inoltre risulta essere il rappresentante legale dell'associazione sportiva A.r.t.e.l.s Associazione Ricerche per il Tempo Libero e Sport del XVII Municipio. Il video è stato inserito anche su Youtube.com: il filmato è stato mixato con immagini dell'incidente.

non dimentichiamole mai


In Italia nessuna pietà per le vittime



L'OMICIDA GIA' AI DOMICILIARI

In Italia le vittime non hanno peso, nè importanza: dopo il crimine, prontamente avviene la rimozione: prima quella fisica, in questo caso per mano di un "bamboccione" pieno d'alcool e di tracotanza (vedere il video su Myspace) che si rifiuta di sottoporsi al narcotest dopo aver letteralmente spazzato via con la sua auto due ragazze innocenti, poi quella virtuale. Le vittime non hanno più tempo, nè luogo: lo spazio del loro compianto, il luogo mentale del loro (e nostro) lutto viene prontamente occupato e abusato dal condono, dalla "comprensione", dall'enorme considerazione di cui nel nostro paese godono i carnefici, e del disprezzo di cui sono ricoperte le vittime, in questo modo massacrate due, tre, cento volte ancora.
gc

dal Corriere della Sera online

Elizabeth Anne Gubbins e Mary Clare Collins, due irlandesi di 27 e 28 anni, sono state uccise in un incidente stradale avvenuto a Roma intorno alle tre di notte. Una Mercedes classe B che viaggiava a folle velocità guidata da Friedrich Vernarelli, 32 anni, romano, le ha centrate mentre attraversavano sulle strisce pedonali il Lungotevere Altoviti, tra Castel Sant'Angelo e via della Conciliazione.

TRASCINATE - Le due vittime, che erano andate insieme ad altre due amiche in un locale per festeggiare il giorno di San Patrizio, patrono dell'Irlanda, sono morte sul colpo: la prima è stata scagliata a trenta metri di distanza, la seconda è stata trascinata per circa 50-60 metri. Il guidatore, secondo i vigili con un tasso alcolico



DAL "CORRIERE DELLA SERA ONLINE"

disavventure tecnologiche

MacBook Air, così sottile da finire
(per sbaglio) nella spazzatura

Il reporter informatico Steven Levy racconta: «Forse mia moglie l'ha messo nel mucchio dei giornali da buttare»

Steve Jobs durante la presentazione del MacBook Air (Afp)
MILANO - Quanto piccolo è il troppo piccolo? Il leggendario reporter informatico Steven Levy butta nella spazzatura il più sottile MacBook al mondo e denuncia: era chiaramente troppo sottile! Tuttavia, non è il solo: iPod, cellulari, chiavette USB - gli apparecchi tecnologici d'oggi si sono notevolmente rimpiccioliti e, per errore o pura distrazione, possono anche andare smarriti.

ESPERTO - Steven Levy è un veterano del giornalismo tecnologico: il 57enne ha pubblicato nel lontano 1984 uno dei primi libri che trattano l'argomento hacker; ha scritto per i più importanti giornali americani, dal "New Yorker" a "Wired". Oggi esamina recensisce per il magazine "Newsweek" tutti i prodotti tecnologici di ultima generazione. Il MacBook Air della Apple – il notebook più sottile al mondo, che Levy doveva testare - è finito tra la carta da buttare.

ARIA - «È una cosa veramente imbarazzante - scrive Levy sul suo blog - È semplicemente sparito». La teoria sulla scomparsa viene descritta dal cronista nell'ultimo numero di "Newsweek": Domenica scorsa il notebook si trovava ancora al suo posto nel soggiorno. Mercoledì, invece, il distratto reporter si accorge che del suo portatile super sottile non v'era più traccia. Dopo aver scandagliato a fondo tutto l'appartamento, Levy trova solo l'alimentatore. «La domenica di solito si accumulano vecchi giornali e riviste sul tavolo dove ho riposto anche l'Air e probabilmente mia moglie, infastidita da tutto quel disordine, ha fatto pulizia e ha buttato tutto nella spazzatura», è l'ipotesi di Levy. Anche se la consorte nega la possibilità che il computer sia stato gettato nel cassonetto con il mucchio di giornali, è realistico supporre che il MacBook Air, che pesa indicativamente quanto cinque o sei tabloid, si sia infilato fra le pagine di qualche quotidiano - magari nell'inserto sportivo. La perdita di 1.800 dollari verrà ripianata dal datore di lavoro Newsweek. Il giornalista, dal canto suo, non si sente affatto in colpa: «Come si può dare la colpa a qualcuno che ha perso una cosa che si chiama 'aria'?»

REAZIONI - Molti sono i commenti pubblicati sul blog Gizmodo che sbeffeggiano Levy e la sua tragicomica avventura: «Un momento! Qualcuno perde un apparecchio di 2.000 dollari e dà la colpa all'apparecchio?»; « Magari Newsweek dovrebbe testare prima di tutto il quoziente intelettivo dei suoi esaminatori»; «Ho un iPod e un cellulare, entrambi più piccoli del MacBook Air, e in questi anni non ne ho mai perso uno!». Supporto arriva invece dal celebre blogger informatico Luke Anderson: «Perdo di continuo piccole cose, chiavi, chiavette Usb e così via. La mia vita da geek-tecnologico si è notevolmente complicata, perchè tutto è diventato estremamente piccolo». Ina Fried scrive nella rivista specializzata CNET News.com di aver perso diversi gadget - primo fra tutti, il suo iPod Touch. «Naturalmente non do la colpa alla Apple - ha detto la giornalista - Sono distratta più di altri. Ciò nonostante, alcuni di questi nuovi apparecchi sono talmente minuscoli che è facile perderli - senza avere la minima idea di dove». Anni fa la cronista ha dimenticato il suo iPod Nano in una tasca dei jeans che ha messo a lavare. Il risultato: «Era il più pulito e il più rotto Nano che abbia mai visto».

Elmar Burchia
17 marzo 2008

lunedì 17 marzo 2008

da "Repubblica online"


Scatti di pittura

Al Castello di Rivoli, una mostra indaga il rapporto tra pittura e fotografia nell'arte contemporanea. Oltre venti artisti per un'ottantina di opere ricostruiscono una liaison dagli anni Sessanta ad oggi
di LAURA LARCAN


Scatti di pittura" width="230">

Vija Celmins. Time Magazine Cover (Copertina della rivista Time), 1965
olio su tela / 56 x 40,6 cm.
Collezione privata
Copyright Vija Celmins
Foto: Ch. Schwager, Winterthur

RIVOLI - Sulla copertina del Time del 20 agosto 1965 spicca una sequenza di tre immagini. Vampate di fumo che avvolgono edifici, una macchina capovolta sul ciglio della strada, con i vetri distrutti e la carrozzeria sfondata, e manifestanti per strada, con una manciata di uomini che caricano armati di bastone. Scene di presunta guerriglia urbana che appaiono come fotogrammi istantanei di una vita presa in diretta, ma che rivelano un'anima pittorica, tradita da quei contorni tremolanti e approssimati, da chiaroscuri vibranti, da una patina di sfumatura che solo la pennellata può rivendicare. Non un trucco beffardo nei confronti dello spettatore, ma solo l'espressione consapevole di un'arditezza artistica che prende spunto dalla fotografia, o meglio dalle immagini sfornate dai media per re-inventare una forma di pittura della vita contemporanea. Lo racconta "Time magazine cover" l'opera di Vija Celmins, artista lettone classe '38, consacrata nel 2006 dalla retrospettiva del Centre Pompidou di Parigi, dopo essere stata invitata alla Biennale del Whitney Museum di New York e alla Biennale di Venezia nel 2003, e che diventa una dei protagonisti più convincenti della singolare collettiva "The Painting of Modern Life/ Dipingere la vita moderna" che il Castello di Rivoli ospita fino al 4 maggio.

Non può che guardare con palpitazione al guru della modernità Charles Baudelaire questa rassegna che con il titolo gioca a citare il saggio cult del poeta francese maledetto per eccellenza "Il pittore della vita moderna" per indagare il rapporto che oggi esiste tra pittura e fotografia, o meglio l'evoluzione di un'immagine quando viene trasposta da un linguaggio, la fotografia, ad un altro, la pittura. Un'indagine al vetriolo che coinvolge, sotto la cura di Ralph Rugoff, 22 artisti europei, americani e asiatici, per un'ottantina di opere a documentare una produzione dagli anni Sessanta in poi. Se l'autore dei Fiori del male incitava il pittore amante della vita universale a entrare "nella folla come in un immenso serbatoio di elettricità", i favolosi Sixties stimolarono le coscienze degli artisti a tuffarsi in una società fomentata da una quantità pazzesca di fotografie sfornate da pubblicità e mass media. Erano quelle le immagini che filtravano la società consumistica a un pubblico di assatanati consumatori.

Diceva l'inglese Richard Hamilton, padre della Pop Art britannica: "Cinema, televisione, riviste e giornali immergevano l'artista in un ambiente totale, e quella nuova atmosfera visiva era fotografica". E lo capirono alla grande artisti come il tedesco Gerhard Richter, l'italiano Michelangelo Pistoletto e Andy Warhol che si divertivano a mostrare in modo inequivocabile la fonte fotografica delle loro opere. Il loro era un uso autorevole, più concettuale per Richter, più virtuosistico per Pistoletto, più esuberante e goliardico per Warhol. Ma tutti e tre ne fecero una strategia davvero sopraffina. Il rischio di una così sfacciata vocazione per l'immagine fotografica era di far perdere all'artista il ruolo di autorità nella gestione della cultura visiva. Ma loro seppero farne un'operazione vincente e quanto mai fruttuosa - soprattutto per Warhol - perché le loro opere filtravano la messinscena fotografico-meccanica per approdare a una creazione pittorica che trasfigurava letteralmente l'immagine originaria, diventando qualcosa di nuovo.

"Modificando e introducendo cambiamenti nelle dimensioni, nella messa a fuoco e nella grana - commenta la critica Carolyn Christov-Bakargiev - gli artisti aspiravano a prendere distanza dalle immagini troppo familiari, fornendo così l'occasione di rivalutarne il significato. La fotografia vista non più semplicemente come un promemoria, diventava sia il soggetto che l'oggetto di quadri che rappresentavano da un mezzo espressivo all'altro".

C'è anche chi, come il londinese Malcolm Morley, nel '68 riduceva l'operazione a un gioco iperrealista che gareggiava con la vita reale, come dimostra il suo "Family Portrait (Ritratto di famiglia)", dove compare l'intera famiglia riunita in posa in un interno domestico di stampo hi-society, con tanto di grandi tele d'autore sulle pareti alle loro spalle. Per non parlare dello svizzero Franz Gertsch, che con il suo "Aelggi Alp (Alpe Aelggi)", del 1971, immortala un gruppo di ragazzi hippy in ritiro su uno scorcio di montagna sassosa. I protagonisti appaiono ripresi dal basso, con un taglio molto ravvicinato, nessuno è in posa, ma domina un lassismo di gesti ed espressioni come se la pittura fosse stata "scattata" senza preavviso.
Peter Doig. Lump (Olin MK IV Part II) (Dosso - Olin MK IV parte II), 1995-96
olio su tela / 295 x 200 cm.
Collezione Glenn Scott Wright
Courtesy Victoria Miro Gallery
Copyright l'artista


Dagli anni Settanta in poi, con l'evoluzione tecnologica dell'immagine fotografica, sono lievitate le possibili fonti di riferimento: non più solo mass media, ma Internet, immagini digitali istantanee, cellulari. Ma l'interesse degli artisti si è dirottato dalla visione meccanica dell'apparecchio alle potenzialità pittoriche che l'immagine scelta può avere. Così è per lo scozzese Peter Doig, per la sudafricana Marlene Dumas, per l'americana Elizabeth Peyton, per il polacco Wilhelm Sasnal, per il belga Luc Tysmans. La sfida è quella di studiare gli effetti che la pittura tratta dalla fotografia produce sulla soggettività. Anche questo, come diceva Baudelaire, è un modo di entrare "nella folla come in un immenso serbatoio di elettricità".

Notizie utili - "Dipingere la vita moderna", dal 6 febbraio al 4 maggio, Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea, Piazza Mafalda di Savoia, Rivoli (Torino). La mostra è curata da Ralph Rugoff.
Orari: martedì-giovedì 10-17, venerdì-domenica 10-21.
Ingresso: interno €6,50, ridotto €4,50.
Informazioni: tel. 011-9565213.
Catalogo: Skira.

da "La Stampa"

QUEL SANGUE CI RIGUARDA

DI ANDREA ROMANO
Nel giorno in cui scade l'ultimatum cinese ai manifestanti tibetani - premessa di una nuova Tienanmen da realizzare in tutta calma al riparo dalle televisioni occidentali - colpisce l’imbarazzo che attraversa la politica italiana dinanzi all'ennesima esibizione della capacità repressiva di Pechino. Abbondano le dichiarazioni di prammatica, le esortazioni al dialogo e gli auspici di pacificazione. Ma le uniche voci che hanno parlato con nettezza sono quelle alla destra estrema che conservano nell’anticomunismo uno strumento di identità e militanza.

Tra le componenti più «rispettabili» dell'arco politico prevale invece un senso di distacco dal sangue che torna a scorrere a Lhasa, nella convinzione che quanto sta accadendo non possa influenzare più di tanto la politica estera italiana. In fondo ci occupiamo d'altro, sembra dire la gran parte del Parlamento, e non sarà certo qualche decina o centinaia di morti invisibili a farci cambiare idea sull'opportunità di intrattenere con Pechino una positiva relazione ispirata al realismo e all’apertura di credito.

«spirito di Monaco»
In questa nuova e condivisa arrendevolezza al terrore di massa - quasi una riedizione provinciale dello «spirito di Monaco» - manca solo che qualcuno si spinga a descrivere i fatti tibetani come «una contesa in un Paese lontano tra gente di cui non sappiamo niente», per riprendere le parole d'infamia con cui Neville Chamberlain volle commentare nel 1938 l'imminente aggressione nazista alla Cecoslovacchia.
Per ora ci accontentiamo di apprendere dal ministro degli Esteri D'Alema che la scelta del boicottaggio olimpico creerebbe «confusione», mentre attendiamo fiduciosi di conoscere le iniziative (ovviamente più lineari e meno confuse) che la nostra diplomazia ha in animo di realizzare verso Pechino. Certo è da escludere che una forte spinta morale in questa direzione venga dal Vaticano che, a proposito di «valori non negoziabili», ha fatto sentire ancora ieri tutto il peso del proprio silenzio.

La logica padronale
L’imbarazzo della politica italiana sulla tragedia tibetana colpisce ma non deve stupire. La Cina gode infatti di un duplice privilegio nella nostra discussione pubblica. Da una parte buona parte della sinistra, anche democratica, continua a mostrare i segni di quel terzomondismo che non ha ancora sgombrato il campo e che oggi saluta in Pechino la capitale di un impero economico alternativo a quello occidentale, destinato secondo i più entusiasti a sopravanzare nel giro di qualche decennio la stessa egemonia statunitense. Dall'altra parte funziona alla perfezione la logica padronale secondo la quale chi ha il timone degli affari non può essere troppo infastidito, neanche quando ha le mani sporche di sangue.
È un duplice privilegio che ha già dimostrato di saper tutelare la serenità di cui gode Pechino nel nostro Paese, ad esempio tenendo ben lontano il Dalai Lama sia da Montecitorio che dalla Farnesina nel corso della sua visita di dicembre. Allora per entrare nei luoghi della democrazia italiana non bastò alla principale autorità morale e religiosa del Tibet l'essere già stato ricevuto dal cancelliere tedesco Merkel. E chissà se oggi che si spinge a parlare di «genocidio culturale», conservando peraltro un profilo di grande pacatezza, lo stesso Dalai Lama non rischierebbe di essere tenuto fuori dai nostri confini.

La moderazione del Dalai Lama

Scritto da: Fabio Cavalera alle 07:19

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“Genocidio culturale”. Il Dalai Lama ha parlato nella sede del governo tibetano in esilio e ha puntato il dito contro la Cina ma i suoi discorsi lasciano aperta la porta al dialogo con il regime. Sarebbe stato facile, per lui, sull’onda dei morti negli scontri di venerdì a Lhasa (13 bruciati vivi o accoltellati, secondo le fonti ufficiali) e delle nuove sette vittime in Sichuan, rivolgersi al mondo già toccato dalla violenza usata dalla forze di sicurezza per reprimere le proteste dei monaci e chiedere di boicottare le Olimpiadi di agosto a Pechino. A quel punto, come si sarebbero comportati i governi di fronte all’appello proveniente da una tale autorità di pace? Come sarebbero potuti restare insensibili di fronte al grido di dolore del popolo tibetano?

Il quattordicesimo capo spirituale della comunità buddista ha invece spento gli ardori di chi pensava che fosse venuto il momento di strappare con la Cina e di mandare in crisi l’organizzazione dei Giochi Olimpici. E, anzi, ha chiesto esplicitamente di non percorrere questa strada: “Il boicottaggio colpisce i più deboli”. Una posizione politicamente forte e cauta che lascia alla Cina la responsabilità piena e unica di ciò che nelle prossime ore avverrà a Lhasa, in Tibet e nella provincia vicina del Sichuan dove si è ribellata la comunità della contea di Abe e dove la polizia è intervenuta per soffocare e ammazzare i manifestanti.

Il Dalai Lama rompendo il silenzio a Daharamsala, in India, ha richiamato l’attenzione sul processo di colonizzazione cinese che “sta annullando la storia, la cultura e quanto c’è di tibetano” e che costringe “i tibetani a vivere in un regime di terrore, trattati come cittadini di seconda classe”: questo è il genocidio culturale, l’azzeramento dell’identità di una etnia che non “vuole la separazione ma l’autonomia”. Il premio Nobel per la Pace è stato molto attento nel calibrare le frasi proprio per non aggiungere nuova benzina a una situazione già di pericolo estremo e per non dare a Pechino il pretesto di giustificare un massacro in nome di presunte attività insurrezionali. Le proteste dei monaci e dei civili tibetani segnalano l’insofferenza forte verso una nomenklatura che anziché riconoscere il valore della diversità storica, delle tradizioni, dei costumi provano da anni a soffocarli, cancellarli o strumentalmente utilizzarli come vetrina di consumismo turistico. Ma il Dalai Lama non ha indicato nella secessione la via da seguire.

Il caso Tibet pesa sulla coscienza della comunità internazionale, non da oggi ma da almeno 50 anni. Ora esplode, alla vigilia delle Olimpiadi. Forse vi è una regia in tutto ciò ma se davvero c’è una trama politica per ricollocare il Tibet al centro delle attenzioni questa è utile per sollecitare la Cina a rispettare, come afferma di fare, le minoranze e le opposizioni. E’ impensabile che un evento di pace come la massima rassegna dello sport mondiale si ritrovi macchiata da una sistematica e ingiustificabile violazione dei diritti umani. Il Dalai Lama si è ben guardato dal chiedere ai governi di bloccare le spedizioni olimpiche, non ha regalato una carta del genere a Pechino. Si è limitato a sollecitare una inchiesta internazionale sulla strage di Lhasa e ora del Sichuan. E’ la Cina in grado di affrontare un passaggio del genere? E’ in grado di aprire le porte a un’autorità indipendente che sia messa nella condizione di verificare se in Tibet vi è stato “genocidio culturale”? E’ in grado di rispondere all’invito al dialogo di nuovo espresso dal Dalai Lama all’indomani di un massacro?

Oggi a Pechino finisce l’Assemblea Nazionale. Forse parlerà il premier Wen Jiabao, uomo di partito ma uomo di consolidata sensibilità e di esperienza internazionale. Pechino deve rispondere e decidere se vuole ospitare Olimpiadi senza ombre.
Pubblicato il 17.03.08 07:19
13/03/2008