lunedì 30 giugno 2008

tempo perduto


Il più importante studio sui rischi
del telefonino continua a ritardare

I dati emersi rimangono misteriosamente in attesa
di pubblicazione

(Lapresse)
Le informazioni contenute nello studio Interphone – un progetto internazionale da 15 milioni di euro coordinato dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) per identificare possibili relazioni tra tumori di testa e collo e utilizzo dei telefoni cellulari – avrebbero dovuto essere rese pubbliche più o meno tre anni fa, ma i ricercatori coinvolti nel progetto continuano a tergiversare e non si decidono a rivelare i risultati della ricerca. Come mai?

SOSPETTI – Secondo indiscrezioni, il motivo di tale ritardo risiederebbe nel fatto che le informazioni raccolte negli ultimi 10 anni nei 13 Paesi interessati dall'indagine confermerebbero la pericolosità del dispositivo portatile più popolare del mondo. Ma la spiegazione ufficiale di tale ritardo è un'altra. A quanto pare, infatti, gli scienziati sono divisi: stanno discutendo dell'attendibilità dei dati forniti dai pazienti e non riescono ad accordarsi sull'interpretazione degli stessi in rapporto alle emissioni elettromagnetiche. Come ha spiegato l'oncologo svedese Lennart Hardell, la «memoria fallibile» di chi è malato di tumore al cervello è il motivo principe del disaccordo tra gli specialisti: secondo alcuni, le informazioni fornite dai pazienti che hanno partecipato alla ricerca potrebbero non essere attendibili, e questo vizierebbe di fatto i risultati del rapporto Interphone. Quindi pubblicare i dati così come sono «non sarebbe onesto nei confronti dei consumatori: lo studio è stato pagato con soldi pubblici e gli scienziati hanno una responsabilità», ha sottolineato Hardell.

PUBBLICAZIONI E CAUTELA – Tuttavia, alcune delle nazioni coinvolte nel progetto hanno già pubblicato parte dei risultati, rivelando dati poco rassicuranti. Come per esempio che il rischio di ammalarsi di tumore è più elevato per i cosiddetti heavy users, ossia coloro che hanno utilizzato il cellulare sempre dallo stesso lato della testa per un periodo di tempo superiore ai 10 anni, Ma la World Health Organization la Commissione europea hanno provveduto ad avvertire che fino a quando lo studio Interphone non sarà ufficialmente reso pubblico, qualsiasi conclusione sui rischi derivanti dall'uso del telefonino non potrà essere considerata attendibile. E a quanti seguitano a chiedere quando saranno finalmente diffusi i dati di Interphone, i responsabili rifilano sempre la solita risposta standard: «Se tutto va bene, presto».

Alessandra Carboni

dossier di pietro

UN DOSSIER AGGIORNATO SUL PASSATO DI TONINO? FACCI: MA ABBIAMO GIÀ DATO!
DA FUGA DALLA MAGISTRATURA ALL’INGRESSO IN POLITICA: 15 ANNI DI SEGRETI E BUGIE


DI PIETRO, QUINDICI ANNI DI SEGRETI E BUGIE -
Filippo Facci per “Il Giornale”


Filippo Facci
© Foto U.Pizzi

«È riaffiorata la tentazione di costruire un dossier aggiornato sul passato di Di Pietro», spiegava ieri Repubblica, certa che «qualcuno sarebbe già al lavoro collezionando vecchie inchieste da cui peraltro Di Pietro è sempre uscito scagionato». Grazie per il suggerimento, anzitutto: ma abbiamo già dato.

Se Antonio Di Pietro nel 1993 deteneva la fiducia del 94% degli italiani, e ora decisamente di meno, è perché nel mezzo evidentemente qualcosa è successo, qualcosa è stato raccontato, qualcosa è bastato: perlomeno al centrodestra. Se è vero infatti che Walter Veltroni riscopre ogni giorno nuove convergenze col Di Pietro più veemente (persino quello che chiama «magnaccia» il presidente del Consiglio) d’altra parte invece c’è una sola cosa che l’ex magistrato e Silvio Berlusconi hanno in comune: entrambi sono stati indagati, più volte, ed entrambi alla fine ne sono usciti illesi. Giudichi il lettore, o l’elettore, chi la magistratura abbia voluto proteggere.

Sta di fatto che le sentenze che hanno riguardato Di Pietro, diversamente da quelle berlusconiane, rimangono pressoché sconosciute: non sono state infinitamente sezionate e sottotitolate e stampate e ristampate dai soliti fotocopisti di cancelleria, ma sono sentenze lo stesso, anche se Repubblica decide di chiamarle «fango» come ha fatto ieri.

Per fare un esempio: oggi ci sono giornalisti che ancora si chiedono, o chiedono a Di Pietro, perché a suo tempo lasciò la magistratura. Eppure è tutto nero su bianco: e lo è sia nelle sentenze di non luogo a procedere vergate dai gup Roberto Spanò e Anna Di Martino a beneficio di Di Pietro (peraltro in contraddizione tra loro su alcuni episodi) sia nel successivo giudizio di tribunale vergato del presidente Francesco Maddalo il 29 gennaio 1997: una sentenza che superò le precedenti perché fece seguito a un pubblico dibattimento con esibizione di prove e audizione di parti.

Qualcuno lo ricorderà: è il processo in cui Di Pietro dapprima balbettò e poi rifiutò di rispondere alle domande del pubblico ministero. L’ex magistrato oltretutto non presentò appello, sicché la sentenza «fa stato quanto ai fatti accertati», come si dice in gergo.

Per farla breve: il Gup Anna di Martino, che pure fu molto attenta alle ragioni del magistrato, spiegò che se Di Pietro fosse rimasto in magistratura sarebbe andato incontro a pesanti sanzioni disciplinari. Il giudice Francesco Maddalo, nondimeno, parlò di «fatti specifici che oggettivamente potevano presentare connotati di indubbia rilevanza disciplinare».

Sono le vecchie storie di Gorrini, D’Adamo, i prestiti da 100 milioni frettolosamente restituiti in scatole da scarpe o avvolti in carta di giornale, faccende di Mercedes rivendute a prezzo maggiorato, roba celata nel torbido dimenticatoio di chi ha fondato il suo movimento sulla trasparenza e sulla legalità, anzi sui «valori».

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Eppure il Di Pietro che da magistrato si offrì di interrogare Berlusconi dicendo «Io quello lo sfascio» (come raccontato dal suo ex Procuratore Capo) è immortalato in una sentenza che nessun libro, di nessun servo di Procura, ha mai riportato: «Decisiva appare l’intenzione di Di Pietro di intraprendere l’attività politica ovvero di ottenere incarichi pubblici di maggior rilievo» (pagina 167 della succitata sentenza Maddalo). «Altri eventi evidenziano chiaramente questo sempre più marcato orientamento di Di Pietro ad assumere iniziative e posizioni più confacenti ad un esponente politico che a un magistrato Particolarmente arduo è separare una condotta antecedente alle preannunciate dimissioni da una condotta a queste successiva» (pagina 170). «Il desiderio di lasciare l’incarico giudiziario nel momento di massima popolarità non poteva non essere funzionale e strumentale ad un successivo sfruttamento di questa popolarità, proprio in vista di quella progettata attività politica (pagina 177)».


Domanda: ma Di Pietro, quando decise di indagare Berlusconi, aveva già deciso di dimettersi per buttarsi in politica? Risponde ancora Maddalo a pagina 179: «Le dimissioni, allora, dovevano già essere ampiamente maturate e in fase di imminente attuazione». E perché Di Pietro non disse niente ai colleghi del Pool? Pagina 180: «I contatti e colloqui politici avrebbero potuto inquinare quella sua indiscussa leadership all’interno e all’esterno del Pool».

Questa peraltro è la parte nobile. Perché poi, benché ritenuti privi di valenza penale, a dimostrare la moralità di Di Pietro ci sono pure i seguenti piccoli favori, appurati anch’essi da svariate sentenze: 1) 100 milioni senza interessi dall’imprenditore inquisito Gorrini, poi restituiti con assegni circolari poi incassati e avvolti in carta di giornale poco prima di dimettersi, nel 1994; 2) 100 milioni senza interessi dall’imprenditore inquisito D’Adamo, denaro restituito nel 1995 in una scatola da scarpe messa agli atti; 3) periodiche buste di contanti sempre da D’Adamo;

4) centinaia di milioni, ottenuti dagli imprenditori Gorrini, D’Adamo e Franco Maggiorelli, per i debiti contratti dall’amico Eleuterio Rea al gioco d’azzardo; 5) una Mercedes CE da 65 milioni ottenuta da Gorrini e rivenduta all’amico avvocato Giuseppe Lucibello per una cifra poi utilizzata da Di Pietro per comprarsi una Fiat Tipo bianca; i soldi sono stati restituiti con assegni circolari emessi nel maggio 1994 ma incassati nel novembre successivo, prima delle dimissioni; 6) una Lancia Dedra per la moglie di Di Pietro da parte di D’Adamo;

7) l’utilizzo di una garçonnière dietro piazza Duomo, di proprietà di D’Adamo, fino all’inizio del 1994; 8) l’utilizzo di una suite da 5-6 milioni al mese pagata da D’Adamo, a partire dal 1989, per almeno un anno e mezzo, al Residence Mayfair di Roma, dietro via Veneto; 9) l’acquisto di un appartamento a Curno con soldi forniti da Gorrini; 10) la disponibilità di un appartamento a canone gratuito, fornito da D’Adamo, per il collaboratore Rocco Stragapede; 11) i pacchetti di pratiche legali dalla Maa di Gorrini per la moglie; 12) le consulenze legali da D’Adamo per la moglie;


13) l’impiego per il figlio, due volte, alla Maa di Gorrini; 12) i benefit vari da D’Adamo: vestiario di lusso nelle boutique Tincati, Fimar e Hitman di Milano, un telefono cellulare per sé, un telefono cellulare per l’amico Rocco Stragapede, almeno quindici biglietti aerei Milano-Roma, un mobile-libreria per la casa di Curno; 13) i benefit vari ottenuti da Gorrini: ombrelli, agende, penne, cartolame vario, viaggi in jet privato per partite di caccia in Spagna, Polonia e nella riserva astigiana di Giovanni Conti, alcuni stock di calzettoni al ginocchio.

Eccolo qua Antonio Di Pietro, l’uomo che giusto ieri si richiamava «allo spegnersi della coscienza civica, della morale, dell’etica», l’uomo che di Berlusconi cita «gli innumerevoli processi» senza mai menzionare i propri, l’uomo che di fronte al consenso di cui Berlusconi gode nel Paese, in una lettera scritta al suo mentore Beppe Grillo proprio ieri, ha parlato di «una situazione simile a quella dei ragazzi nei Paesi del Sud che ammirano il camorrista o il mafioso locale». Eccolo lo spauracchio che secondo Veltroni doveva tenere sottotraccia quei grillisti e forcaiolisti che coi loro strepiti, ora e invece, soffocano le velleità di ogni sinistra che voglia essere civile e sintonizzata con il Paese reale.

I giornalisti tutto sommato lo amano: le sue sgangheratezze fanno colore e titolo in giornate calde e vuote come queste. Lui straparla sempre di monopolio, ma è tra i più presenti in televisione e in assoluto l’ospite più invitato a Matrix, per esempio. Nessuno ricorda più le sue 500 querele, o quando nel 1996 disse che avrebbe preso «a schiaffi e pedate chi mi ha indotto a dimettermi dal ministero dei Lavori pubblici», o le sue folli proposte circa il «decreto cautelare di rettifica» o altre norme punitive contro i giornalisti.

Nessuno ricorda mai quando Di Pietro, nel dicembre 1994, a Curno, prese a testate un giornalista dell’Ansa dopo averlo riempito di calci e di pugni. Nessuno gli chiede più conto, per quanto la vicenda sia recente, dell’acquisto di due appartamenti pagati con un mutuo che risultava inferiore all’affitto frattanto versato dalla sua Italia dei Valori: in pratica Di Pietro comprava case grazie al finanziamento pubblico. Nessuno, del resto, bada al fatto che il partito dell'Italia dei Valori appartiene a Di Pietro per statuto notarile, e così pure tutti i finanziamenti pubblici. Nessuno dedica servizi a un personaggio che straparla di democrazia e però neppure ora (con l’8 per cento dei suffragi) si dimostra capace di inventarsi una struttura, un numero 2, un gregario, un volto spendibile e alternativo al suo.

Gli unici nomi noti sono quelli di chi l’ha regolarmente mollato: da Pietro Mennea all’ex fidatissimo Elio Veltri (che lo sosteneva dal 1988 e ora gli spara contro a ogni occasione) sino a Valerio Carrara, l’unico parlamentare dipietrista eletto nel 2001 e che pensò bene di passare al Gruppo Misto prima ancora che si insediassero le Camere; e poi ancora Rino Piscitello, Federico Orlando, Milly Moratti, Sergio De Gregorio, persino Paolo Flores D’Arcais: «Gente che ha capito il personaggio e ha preso le distanze» ebbe a commentare Veltri. In compenso, chiuso all’angolo, resiste Veltroni.


Dagospia 30 Giugno 2008

Ufo: si aprono gli archivi di stato

Ufo, si aprono gli archivi segreti

Dossier pubblici in Francia e Gran Bretagna. «Restano i misteri». Ancora avvistamenti

L'immagine di un oggetto non identificato avvistato in Amazzonia e mostrato a Cosenza nel corso di un convegno di ufologia all'Università della Calabria. (Ansa)
L'immagine di un oggetto non identificato avvistato in Amazzonia e mostrato a Cosenza nel corso di un convegno di ufologia all'Università della Calabria. (Ansa)
In Galles, qualche giorno fa, l'ultima puntata di una storia infinita: tre elicotteristi hanno dichiarato di aver avvistato un oggetto strano, che emanava forti luci, e di aver provato a seguirlo. Non ci sono riusciti perché ad un certo punto, puf, tutto è sparito. La solita vicenda di Ufo, con il consueto epilogo che porta a dire che siamo di fronte a episodi e a testimonianze inattendibili? Forse sì, ma forse no, perché queste tre persone hanno garantito di non aver preso abbagli, di essere lucide, sobrie e perfettamente in sé. Del resto, se non fossero nelle condizioni psicofisiche per volare, nessuno le metterebbe su un elicottero. Tre militari e per di più operativi, dunque, ovvero gente costretta a controlli metodici e regolari: la loro vicenda, come minimo, deve essere pesata con più attenzione rispetto a quella di persone più facilmente suggestionabili, perché è vero che i cialtroni, in buona o in cattiva fede, non sono mai mancati nella casistica degli oggetti volanti non identificati. Però non è mai mancato nemmeno il mistero. Più o meno denso, più o meno decifrabile. E comunque, sempre affascinante.

Ufo e ufologia sono di nuovo prepotentemente d'attualità, ammesso che siano mai passati di moda. Prima dei fatti nel Galles, ci sono stati il ritorno di avvistamenti a Phoenix (storica terra d'elezione per dischi volanti e cotillons) e le ore di tensione a bordo dello Shuttle Discovery, quando una luce si è messa a «pedinare » la navicella (la Nasa ha poi tranquillizzato gli astronauti: si trattava di un pezzo di isolante perso dallo stesso veicolo spaziale). Infine, soprattutto, ci sono i passi compiuti dai governi, che sempre più di frequente declassificano gli X-files relativi alla materia: in questo mese di giugno è stata la volta della Gran Bretagna, ma nel solo 2008 avevano già aperto gli archivi la Francia e l'Ecuador.

L'apertura dei dossier procede per gradi. L'Inghilterra ne ha messi a disposizione otto, per quelli che restano occorre attendere ancora. A occhio e croce, i documenti più interessanti paiono quelli relativi ai rapporti dell'ex Kgb (127 pagine di registrazione di eventi non normali) e una testimonianza che giunge dall'Ecuador. A margine dei 44 casi declassificati, un ufficiale, William Salgago, afferma senza ombra di dubbio «che ci sono velivoli di origine extra terrestre nella nostra atmosfera e che dobbiamo condividere il nostro spazio con esseri di altri mondi». Ma perché adesso i governi aprono i dossier? «Il fenomeno Ufo è diventato di massa: serve una risposta — spiega Enrico Baccarini, dirigente del Cun, il Centro ufologico nazionale —. Decenni di indagini e studi da parte di vari governi hanno prodotto più domande che risposte. Tutto ciò, unito alle incessanti richieste di comuni cittadini e di varie associazioni, ha indotto le autorità a sbloccare parte dei propri archivi». Resta da capire se la scelta si lega, come sostengono al Cun, all'opportunità di preparare la gente oppure alla certezza che si possono togliere i vincoli in quanto non c'è nulla di decisivo e di preoccupante. Quest'ultima tesi, tra l'altro, è stata usata proprio in occasione dell'apertura degli X-files inglesi. «La teoria dell'acclimatazione al fenomeno — commentano al Cun — viene sostenuta a fronte di una consapevolezza che da parte dei vari governi non tutto è stato ancora detto.

Il segreto di Stato unito al pericolo di possibili choc culturali inducono alla cautela nel rendere pubbliche le informazioni». Intanto cresce nel mondo la voglia di Ufo, la voglia di alieni. E l'interesse, secondo Baccarini, non è solo e tanto per le componenti immaginifiche del fenomeno, «quanto perché è sempre più ampia la consapevolezza che la vita non è patrimonio esclusivo della Terra. Il Vaticano stesso ha ammesso tale possibilità («Si può credere in Dio e negli extraterrestri » ha dichiarato l'astronomo-teologo José Gabriele Funes, ndr) e le ultime scoperte delle sonde inviate provano l'evidenza di forme di vita batterica su Marte; infine, la scoperta di pianeti extrasolari simili al nostro avvalora la non unicità del sistema solare in cui siamo collocati». Perché dovremmo essere soli nell'universo?, si chiedono al Cun. «Più di sessant'anni di avvistamenti nei cieli, registrati da piloti militari, uomini di governo, scienziati, comuni cittadini dimostrano— dice Baccarini — la presenza di un fenomeno tangibile. Decine di commissioni governative lo hanno esaminato, non riuscendo mai a classificarlo, nella sua totalità, come di origine naturale o terrestre. La stessa Aeronautica militare possiede un proprio ufficio che si occupa del censimento statistico di questi oggetti.

La realtà è che il fenomeno Ufo esiste e interessa a vari livelli tanto gli establishment governativi quanto coloro che si trovano ad avvistare qualcosa di anomalo». Fermandoci al solo caso dell'Ami e bloccando la ricerca a ritroso al 2001, sono 32 i casi che non hanno trovato una spiegazione attendibile. Nel 2005 si è registrata poi l'uscita dell'ex ministro della Difesa canadese Paul Hellyer in una conferenza a Toronto: ricordando di aver partecipato dal 1963 al 1967 alle riunioni dell'Alleanza Atlantica, dichiarò che dal 1947 (quando il pilota Kenneth Arnold disse di essersi imbattuto in una serie di flying saucers, episodio di poco anteriore al caso Roswell e al presunto ritrovamento di un'astronave schiantatasi al suolo) gli Ufo volano in totale libertà sopra i nostri cieli. Non solo: il desiderio degli Usa di tornare sulla Luna entro il 2020 sarebbe da legare alla necessità di creare una base che permetta di difendere la Terra dagli attacchi intergalattici. Curiosamente, negli anni 70, anche di questo si parlava in una serie di telefilm diventata cult: chi non ricorda Shado, l'organizzazione costituitasi per combattere in assoluto segreto una razza aliena in via d'estinzione che sperava di sopravvivere catturando uomini per usarli come pezzi di ricambio? «L'evidenza che fenomeni sconosciuti sono presenti nei nostri cieli — dice ancora Baccarini — è ormai incontrovertibile.

Già nel IV secolo dopo Cristo, lo scrittore latino Giulio Ossequente ci parlava di "scudi infuocati" che stazionavano nei cieli dell'antico impero romano. Gli Ufo esistono dunque da molto prima di quanto si possa pensare e la storia stessa testimonia questa realtà. Oggi non si discute più sull'evidenza del fenomeno, ma semmai sulla sua natura o sulle sue possibili implicazioni sociali, culturali e tecnologiche».

Flavio Vanetti

ladri tempestivi

MISTERI D’ITALIA
Lucia Esposito per Libero

Il giallo del furto delle intercettazioni. Il mistero delle carte che sarebbero sparite dalla casa del procuratore aggiunto Paolo Mancuso. La notizia si è diffusa poco prima che l’Espresso pubblicasse le conversazioni telefoniche tra l’ex presidente di Rai Fiction Agostino Saccà e il premier Silvio Berlusconi.

Uno dei magistrati titolari dell’inchiesta ha subìto un furto. Qualcuno gli ha rubato le intercettazioni che lui si era portato a casa. L’Arsenio Lupin giudiziario avrebbe colpito senza lasciare traccia. Immediato il collegamento con lo scoop del settimanale del gruppo De Benedetti.

Un topo d’appartamento col senso della notizia e un tempismo sorprendente se si pensa alla legge che impedirà ai giornalisti di pubblicare le conversazioni telefoniche intercettate dalla magistratura. Un giallo nella notizia. Chi ha rubato quelle carte? E come faceva a sapere che erano a casa del procuratore aggiunto? Chi ha commissionato il furto? Le domande si sono rincorse, ma dalla Procura arrivano solo smentite.

FUGA DI NOTIZIE
Di certo c’è che lo scorso inverno il procuratore aggiunto napoletano Paolo Mancuso - titolare dell’inchiesta - presenta una denuncia per tentato furto. Dei ladri cercano di scassinare la cassaforte della sua abitazione di via Posillipo ma, sentiti dai vicini, si danno alla fuga. Non portano via nulla. Tanto meno le conversazioni telefoniche che riguardano il Cavaliere.

«Non c’è stato nessun furto, nessuna fuga di notizie, ma solo una denuncia per tentato furto. È una notizia falsa. Completamente infondata. Quelle carte erano state regolarmente depositate», spiega il capo della Procura di Napoli Giovandomenico Lepore. «A casa del dottor Mancuso erano entrati dei malviventi. Punto. Nessuno ha rubato le intercettazioni», conclude.

Il procuratore aggiunto Paolo Mancuso, il fisico imponente come il suo curriculum, è già stato nominato procuratore capo di Nola ma non si è ancora insediato. Napoletano, cinquantanove anni, da trentatré in magistratura, quasi tutti nella sua città. Sposato, abita a Posillipo e ha la passione della caccia. Un magistrato molto conosciuto in città: modera convegni, tiene conferenze sulla criminalità, parla agli studenti.

Esponente di spicco di Magistratura democratica, è accusato dal centro-destra di essere una “toga rossa”. Nel 2006 il suo nome è stato trovato nell’archivio segreto di via Nazionale del Sismi, insieme a quello del fratello Libero (ex presidente della corte d’assise di Bologna in pensione e ora assessore della giunta Cofferati) tra i magistrati “militanti” da sottoporre a osservazione.

domenica 29 giugno 2008

il mistero Orlandi 5

Caso Emanuela Orlandi: dai vecchi identikit
spunta il complice di Renatino

di Valentina Errante
ROMA (29 giugno) - “Renatino”, ma non solo, c’è un altro nome nella “nuova” inchiesta sul caso Orlandi. Perché dopo le rivelazioni dell’ex compagna del boss dei “Testaccini”, gli investigatori sono tornati indietro. Fino al 22 giugno del 1983. Fino alle ultime ore di Emanuela e alle uniche vaghe testimonianze sulla sua scomparsa, quelle che nei giorni successivi al sequestro hanno consentito di tracciare gli identikit. Con un vantaggio: adesso i tratti abbozzati dalla matita dei carabinieri di via In Selci sono stati cercati nei volti schedati degli uomini della Magliana. E qualcosa dall’archivio è saltato fuori: la somiglianza tra uno dei tre iedentikit dell’epoca e l’immagine di uno dei tanti “gregari” della Magliana. Allora un ragazzo. Oggi un cinquantenne, sopravvissuto alla guerra tra bande. Senza condanne “pesanti” sulle spalle.

La procura smentisce. Le indagini sono a 360, ripetono il procuratore aggiunto Italo Ormanni e i pm Simona Maisto e Andrea De Gasperis, si sta ancora verificando l’attendibilità di Sabrina Minardi. Ma gli investigatori hanno già controllato: quell’uomo, all’epoca del sequestro, non era in carcere. E la sua abitazione, alcune settimane fa, prima che le dichiarazioni di Sabrina Minardi venissero rese pubbliche, è stata perquisita. Anche l’età coincide. Un giovane sui 23-27 anni, si leggeva nella descrizione fornita nel luglio ’83 da un’amica di Emanuela ai carabinieri, alto circa un metro e 75, corporatura normale, capelli neri corti con una leggera frangetta sulla fronte, occhi scuri, naso e bocca regolari, colorito olivastro. Potrebbe essere sudamericano o arabo.

Secondo le testimonianze, quel ragazzo si aggirava tra piazza Navona e piazza Sant’Apollinare. E la compagna del corso di musica di Emanuela lo aveva visto. Con un altra persona aveva tentato di “abbordare” la sua amica. Emanuela, con garbo e fermezza, aveva respinto le avances. Gli identikit tracciati per il sequestro Orlandi erano poi erano stati riconosciuti anche dalla mamma di Mirella Gregori, la ragazza scomparsa 45 giorni prima di Emanuela. E i volti abbozzati erano diventati anche quelli dei ”sospettati” per il rapimento di Mirella. I disegni, però, per venticinque anni, non sono stati associati a un nome.

Gli accertamenti sono ancora in corso. Gli investigatori non si aspettano di ottenere conferme interrogando l’ex “testaccino”. Cercano riscontri oggettivi. E la voce di quell’uomo verrà comparata con i vecchi nastri. Quelli di archivio, riscoltati centinaia di volte in questi venticinque anni. La voce di “Mario”, l’unico dei tanti a chiamare casa Orlandi in quei giorni per rivendicare il sequestro ad essere ritenuto attendibile, per i riscontri offerti alla famiglia. Due anni fa, quella stessa telefonata era stata ascoltata con attenzione. Il pentito Antonio Mancini, davanti alle telecamere, aveva sostenuto che quella fosse la voce della “Magliana”, indicando il nomignolo dell’autore della chiamata. Ma gli accertamenti della procura hanno dato esito negativo.

Adesso sarà eseguito lo stesso esame, la voce dell’uomo che qualcuno degli investigatori riconosce nell’identikit, sarà comparata a quella di chi, nel 1983, rivendicava al telefono il rapimento.

Eppure, alcuni uomini della banda della Magliana, già a pochi mesi dal sequestro, erano stati convocati e sentiti dagli investigatori. I carabinieri, all’epoca, avevano anche ipotizzato che a eseguire il sequestro potessero essere i componenti di un’organizzazione. Una possibilità alla quale la squadra mobile non aveva creduto. L’apparato “scenografico”, fatto di telefonate, messaggi anonimi e rivendicazioni, non rientrava nel modus operandi della banda. E così la pista era stata abbandonata, per privilegiare quella politica, con un ruolo centrale dei “Lupi grigi” e il tentativo di liberazione di Alì Agca, l’uomo che aveva sparato al Papa. La direzione presa allora dalle indagini è stata definita più di dieci anni fa il frutto di un depistaggio. Nel ’97, il giudice Adele Rando, a quattordici anni dal sequestro di Emanuela, ha archiviato la pista internazionale. Il giudice, su sollecitazione del procuratore generale Vittorio Malerba, aveva però mandato in procura gli atti, sostenendo che la chiave del mistero fosse all’interno delle mura leonine e ipotizzando un ruolo del vicecapo della sicurezza Vaticana nei pesanti depistaggi messi in atto per quattrdici anni.
I mitomani all’epoca erano tanti. Così, nell’84, quando gli investigatori seguirono Sabrina Minardi per arrestare Enrico De Pedis, nessuno pensò a una lettera anonima diffusa dall’Ansa a pochi mesi dal sequestro. Si metteva in relazione la scomparsa di Emanuela Orlandi con la moglie di un calciatore della Lazio. Il documento non nominava Bruno Giordano, marito di Sabrina Minardi, ma il difensore Arcadio Spinozzi, risultato assolutamente estraneo alla vicenda. Nessuno però pensò di fare chiarezza su quello strano messaggio.

la deriva dell'Italia

Sette giorni al mare costano 3.100 euro
a famiglia. Lo certifica Federconsumatori

ROMA (28 giugno) - Lo sapevamo benissimo, ma adesso c'è la certificazione. Una famiglia di 4 persone che viaggia in macchina dovrà sborsare quest'anno il 6% in più, pari a 3.104,40 euro per una settimana di vacanza. Le cifre sono fornite da Federconsumatori che come ogni anno, attraverso il proprio osservatorio nazionale, ha stimato i costi di una settimana di ferie al mare per una famiglia che viaggia in auto. Rispetto allo scorso anno - spiega l'associazione - vi è stato un rincaro del 6%, causato soprattuttodall'aumento costante e clamoroso della benzina e dei prodotti alimentari. Anche il settore ricreativo ha registrato quest'anno particolari rincari.

«Tutto ciò - spiega Federconsumatori - non aiuta un settore che deve fare i conti, da un lato con una competitività maggiore nell'intercettare la domanda turistica straniera e dall'altro con le famiglie italiane, che, a causa del loro potere di acquisto, hanno ridotto il loro consumo turistico».

AMY



«Non ho nulla per cui vivere» - A Londra ha fatto il suo ritorno sul palcoscenico per festeggiare i 90 anni di Nelson Mandela, ma Amy Winehouse è sempre lontana dal risolvere i suoi problemi. In una intervista al magazine 'Rolling Stone', infatti, la soul singer confessa una volta di più il suo stato di depressione acuta, iniziata, spiega, dal momento dell'arresto del marito Blake Fielder Civil. «Ad essere sinceri - spiega Amy - mio marito non c'è e io sono troppo giovane e troppo annoiata. Mi sento come se non avessi nulla per cui vivere». Infine la Winehouse confessa che per quanto riguarda il periodo di riabilitazione trascorso in clinica «è come se non l'avessi mai fatto, o meglio: non ha funzionato. Sono giovane e innamorata... e a volte vado fuori di testa» (Foto Reuters).

LA PATOLOGIA GIUDIZIARIA ITALIANA


IL CAVALIERE, LA GIUSTIZIA E IL PD

La patologia italiana


di Ernesto Galli Della Loggia

Chi legge un po' di giornali e ha qualche conoscenza della scena pubblica del Paese sa benissimo che anche l'attuale opposizione di sinistra così come l'opinione pubblica che in essa si riconosce sono in stragrande maggioranza d'accordo su almeno tre punti decisivi della patologia che affligge la giustizia italiana. Questi: 1) l'obbligatorietà dell'azione penale da parte del pubblico ministero, astrattamente prescritta dalla Costituzione, ha dato luogo nella pratica, a causa della sua assoluta impraticabilità tecnica, al più totale arbitrio d'iniziativa del pm stesso. Da guardiano autonomo e imparziale della legge il pubblico ministero si è trasformato per forza di cose in padrone discrezionale e incontrollabile della stessa; 2) il procedimento giudiziario italiano manca in misura rilevantissima del necessario criterio di terzietà. Nonostante qualche piccola modifica apportata, magistratura inquirente e giudicante sono virtualmente una cosa sola: ogni imputato italiano si trova così a essere sempre giudicato da un magistrato che è un amico e/o collega di colui che lo ha messo sotto accusa; 3) il protagonismo mediatico- politico dell'apparato giudiziario in genere e in modo tutto speciale dei pubblici ministeri è ormai diventato un male gravissimo, oggettivamente esaltato e protetto da un Consiglio superiore della magistratura al quale una malfatta legge istitutiva, e ancora di più un infame sistema elettorale, consentono di esercitare abusivamente i poteri di una virtuale terza Camera del sistema costituzionale. Come dicevo all'inizio, anche una buona parte della sinistra e del suo elettorato è convinta nel proprio intimo che le cose stiano così.

Si tratta, infatti, di fenomeni troppo clamorosamente evidenti, che tra l'altro non esistono in alcun altro Paese dell'Occidente, e di cui fanno quotidianamente le spese migliaia di cittadini, com'è ovvio senza distinzione di destra e di sinistra. La domanda che a questo punto è (o dovrebbe essere) naturale porsi è la seguente: è ragionevole o no pensare che gli aspetti patologici della giustizia italiana sopra descritti abbiano qualcosa a che fare, c'entrino qualcosa, con le vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi? E' ragionevole o no immaginare, sospettare, che l'immane mole di procedimenti giudiziari collezionati da costui (in una quantità, credo, superiore a chiunque altro nella storia d'Italia, ma aspetto precisazioni da Marco Travaglio) abbiano qualcosa a che fare con l'arbitrio dell'azione penale, con la mancanza di terzietà, con la ricerca di visibilità mediatico-politica da parte dei pm? E' ragionevole pensare una cosa simile, che esista un nesso di qualche tipo tra questi due universi di fatti, o invece è una pura assurdità, un'insinuazione senza fondamento, un volere dare corpo ai fantasmi? La sinistra riformista (cioè più o meno l'intero Partito democratico), pur essendo convinta che Berlusconi in qualche problema con la giustizia sia effettivamente incorso (e personalmente mi unisco a questa convinzione), pensa però che un nesso ci sia.

Pensa cioè che nelle vicende giudiziarie dell'attuale Presidente del Consiglio si manifestino anche, e in misura spesso decisiva, tutti i parossismi patologici della giustizia italiana. Ma non riesce a dirlo. La sua classe dirigente tace o tutt'al più farfuglia, sospira a mezza bocca, perché non sa che pesci pigliare, ricattata com'è dal suo passato recente, dal suo legame con la corporazione dei magistrati e dalla paura di apparire complice con il nemico. Un'altra parte del Paese, invece, diciamo una metà abbondante degli Italiani, anch'essa pensa che sì, che è ragionevole credere che un nesso ci sia. E poiché non ha le remore storiche della sinistra le basta questo, le basta vedere le patologie presenti nelle vicende giudiziarie di Berlusconi, per considerare queste comunque superiori alle sue eventuali colpe, e continuare a votarlo. Non già perché sia una parte del Paese formata da uomini e donne dediti al malaffare o moralmente ottusi, come invece pensa qualche moralista esagitato. Ma se le cose stanno così, allora vuol dire che proprio i caratteri patologici della giustizia italiana stanno rivelandosi i migliori alleati dell'eterno inquisito Silvio Berlusconi. Che proprio questi caratteri gli hanno consentito e gli consentono tuttora di apparire ragionevolmente una vittima, di nascondere dietro di essi i problemi veri che ha: insomma di volgere a proprio favore le sue disgrazie giudiziarie. Ma se le cose stanno così ciò vuol dire anche, per concludere, e non è conclusione di poco conto, che il principale interesse della Sinistra italiana dovrebbe essere, anzi è, uno solo: togliere ogni alibi al proprio rivale. E cioè mettere fine una buona volta, lei per prima, alla devastante patologia che affligge da decenni il nostro sistema giudiziario. Che poi, in tutta questa faccenda, è anche il vero interesse del Paese.

29 giugno 2008

sabato 28 giugno 2008

IMAGE FULGURATOR

The Image Fulgurator projected a fire on one of the Reichstag windows.
The manipulation on the picture creates a link back in time to the year 1933 - the year of the "Reichstagsbrand" (Reichstag fire).

Occhio alla foto, c'è Fulgurator

(28 giugno 2008)

Turisti fotografano un cartello, un palazzo o un monumento, ma sulla fotografia appare qualcosa che nella realtà non c'è...

Non è un fenomeno paranormale ma un singolare apparecchio costruito dal tedesco Julius Von Bismarck: si chiama Image Fulgurator, somiglia ad una normale macchina fotografica Reflex ma in realtà proietta, in maniera invisibile all'occhio umano, una qualsiasi immagine o scritta sugli oggetti.

Nel video, il primo test, avvenuto al celebre Check Point Charlie di Berlino: i turisti che fotografavano il famoso cartello che segnava il confine fra le zone Est e Ovest hanno trovato sulle loro foto una scritta riferita al confine Usa/Messico, a simboleggiare il dramma ancora attuale dell'immigrazione clandestina e la facilità con la quale il turisti possono varcare i confini di tutto il mondo. Lo stesso è avvenuto sul Reichstag, dove Von Bismarck ha proiettato l'immagine di un incendio, ricreando l'effetto del rogo del 1933

Per approfondire: LEGGI SU WIRED.COM

imagefulgurator online



Cacciari appoggia Maroni

A Otto e mezzo

E Cacciari in tv spiazza tutti:
sono d'accordo con Maroni

Il sindaco di Venezia: «I campi devono essere regolari, sorvegliati »

MILANO — Ultima puntata della stagione di Otto e mezzo. Ieri sera. La7. Faccia a faccia tra il ministrojazzista (in studio) e il sindacofilosofo (in collegamento). Si parla di emergenza rom e integrazione. Il ministro Roberto Maroni illustra la sua proposta: «Un censimento per tutelare in primo luogo i bambini ». Si difende dall'accusa di fare ricorso a leggi razziali: «Stupidaggini di chi accetta che oggi ci siano in Italia 2030 mila minori, non si sa quanti, sfruttati, costretti a vivere in miseria e a condividere le proprie abitazioni con i topi». Il sindaco Massimo Cacciari ascolta. Fa visibilmente su e giù col capo. «Annuisce clamorosamente» come sottolineano i conduttori. Quindi spiazza: «Sono totalmente d'accordo».

La domanda-provocazione di Lanfranco Pace («Ma quindi si smarca da quella sinistra...») cade sotto il peso del Cacciari-pensiero. Il ministro ha fornito l'assist. Il sindaco attacca, portando la palla su un terreno di gioco a lui caro: il campo sinti che sta realizzando a Mestre ma che la Lega contesta. Tira dritto Cacciari: «Onde appunto risolvere una questione esattamente del tipo di quella descritta dal ministro (anche se non così drammatica) dal '98 abbiamo stabilito di realizzare un nuovo campo sinti». Non nomadi: «sinti», «stanziali», «tutti con la carta d'identità italiana», «con i bambini che vanno a scuola». Ecco: «Sono totalmente d'accordo con il ministro: i campi devono essere regolari, sorvegliati ».

Quindi affonda: «Visto che noi stiamo facendo proprio quello che il ministro ha detto, sono certo che mi aiuterà a realizzare questo campo, a differenza dei governi precedenti di centrosinistra che mi avevano promesso dei soldi e invece dopo non me li hanno dati». Il faccia a faccia continua. Mai nessun riferimento alla proposta di prendere le impronte anche ai bambini. Il sindaco pd accetta suo malgrado l'etichetta di «sindaco sceriffo»: «Nessun sindaco vuole fare lo sceriffo». Parla d'immigrazione come di un «processo epocale», concorda sul fatto che «il fenomeno dei clandestini va controllato e represso», ripete e ripete la parola «integrazione».

Quindi conclude: «Credo che sui principi generali che Maroni ha espresso questa sera ci possa essere una fattiva collaborazione, a partire dalle azioni che svolgono le città. È lì il fronte, il fronte tra la marea dell'immigrazione e gli indigeni, non intorno a Palazzo Chigi».

Alessandra Mangiarotti

venerdì 27 giugno 2008

una notizia che non troverete mai su "l'Unità"

da Il Messaggero

Roma: bambini costretti a mendicare
sotto gli occhi del padre padrone

di Elena Panarella
ROMA (27 giugno) - Il bimbo rimane immobile per ore, mentre sua madre chiede l’elemosina in via del Teatro Marcello tra le auto che sfrecciano e il viavai di turisti. Un fagottino, la testa appoggiata sul seno della mamma che se ne dovrebbe prendere cura, i piedini che dondolano, lui fermo, non un pianto, un lamento, tra i clacson, le auto che sfrecciano, il caldo. Le giovani donne escono dai campi rom la mattina alle otto, e tornano dopo nove, dieci ore di strada, l’importante è raccimolare un po' di soldi da portare a casa. Non sono mai sole, a pochi metri c’è sempre un uomo, che le ha fatte scendere da un furgone poche ore prima e le riporterà a casa, e che conterà quanti soldi hanno incassato per tutta la giornata. Se poi l’importo raggiunto non è quello stabilito le ore di “lavoro” si allungano.

Storie che si ripetono ogni giorno. Scene di vita quotidiana. Bambini che chiedono l’elemosina per strada, ragazzi che si trascinano gambe malformate, cartoncini con “aiuto ho fame”: quello dell’accattonaggio dei minori, o per meglio dire dello sfruttamento minorile, è un fenomeno sempre più diffuso e complesso. Sono davvero tanti i mendicanti che ogni giorno chiedono l’elemosina ai semafori, nelle piazze, alle uscite della metropolitana o sulle scale delle chiese del centro. Piccoli che vengono scaricati nei punti più strategici e che, nella migliore delle ipotesi, vengono costretti dai genitori appostati vicino. Nella peggiore, affidati a vere e proprie organizzazioni che li sfruttano senza pietà. Un vero e proprio business, con adulti che in gruppo occupano a turno le postazioni migliori, calcolando i tempi del giallo, del rosso e del verde. Una vera e propria spartizione del territorio. Quanto può rendere tutto ciò? Dipende dall’esperienza e dalla capacità di intenerire le persone.

Corso Francia, per esempio, il rosso dura 18 secondi. Tradotto in soldi, da 1 a 2 euro ogni rosso. La tecnica? «Passare in mezzo alle due file di auto - racconta Alex, 11 anni, bosniaco, da qualche giorno fisso a quell’incrocio - riesco a bussare a una decina di macchine a ogni semaforo rosso». Adrian, 13 anni, “proprietario” di uno dei semafori di Corso Vittorio Emanuele, aggiunge: «Dalla mattina alla sera, se mi impegno, riesco a recuperare un centinaio di euro». Facce giovani, facce già rassegnate.

Insomma quanto bisogna lasciarsi prendere dall’emotività, ben sapendo che c’è chi sfrutta proprio l’emotività? Questo continua a chiedersi la gente al decimo semaforo, tentando di non farsi lavare il vetro per la ventesima volta consecutiva. «E’ una tristezza - racconta un commerciante di piazza Fiume - vedere questi bambini sotto il sole costretti a mendicare, con i grandi che li guardano da lontano all’ombra. Una sensazione di impotenza».

Il giro d’affari annuo, che ruota intorno all’accattonaggio imposto ai moderni schiavi, è di circa 200 milioni di euro, e coinvolge in Italia circa 50 mila bambini tra i 2 e i 12 anni. Solo nel Lazio, sarebbero almeno 8 mila i bambini che chiedono l’elemosina per strada con un guadagno giornaliero che a Roma si aggira tra 70 e 100 euro. La catena dell’accattonaggio coinvolge prevalentemente minori rom, insieme alle loro mamme (spesso bambine, che diventano mamme tra gli 11 e i 16 anni). «Non si tratta mai di una libera scelta: baby mamme e bimbi sono costretti a chiedere l’elemosina per sopravvivere, obbligati a raccogliere una precisa quota giornaliera», dicono gli operatori dell’Associazione Aurora che si occupano di mendicità infantile. «Questo è un fenomeno che si allarga a macchia d’olio, la verità è che bisogna intervenire a monte. Nei loro villaggi di provenienza, cercare di far capire alle famiglie che i loro figli devono andare a scuola, non a mendicare.

Basta andare in Romania per rendersi conto che accanto alle autostrade nuove ci sono sempre gli stessi villaggi di disperati». Il ministro dell’Interno Maroni chiede di «prendere le impronte digitali anche ai minori rom, e di levare a quei genitori la patria potestà, proprio per evitare fenomeni come quello dell’accattonaggio». Un provvedimento che per il momento Roma non sarebbe pronta ad affrontare tecnicamente, questo sostiene l’assessore capitolino ai servizi sociali, Sveva Belviso. Perché? «Perché ci sono 50 case famiglie tra prima e seconda accoglienza, già tutte piene - afferma l’assessore - Servono finanziamenti appropriati, serve personale per levare i bambini dalla strada. Dovremmo puntare tutto sulla scolarizzazione, coinvolgendo questi bambini a fare una vita normale, gioco, scuola, compiti, da bambini, insomma».

il mistero Orlandi 4


Orlandi, trovati nei sotterranei
una stanza e un bagno

Sono stati perquisiti gli scantinati della palazzina di via Pignatelli 11, indicati dalla superteste Sabrina Minardi come prigione di Emanuela Orlandi. E nei cunicoli la polizia ha scoperto una camera segreta e una vecchia branda arrugginita


una notizia che non troverete mai su "l'Unità"

Unipol-Bnl, Csm assolve il gip Forleo
"Nessun illecito", non sarà trasferita

Il magistrato era accusata per i contenuti di un'ordinanza: nel luglio 2007, chiese alle Camere l'autorizzazione all'uso di intercettazioni relative ad alcuni parlamentari

Il Csm assolve la Forleo
E lei: «La giustizia trionfa»

Il procedimento riguardava la richiesta di autorizzazione all'uso delle intercettazioni di Fassino e D'Alema

Clementina Forleo (Ansa)
Clementina Forleo (Ansa)
ROMA - Il gip di Milano Clementina Forleo è stata assolta dalla sezione disciplinare del Csm dall'accusa di aver violato i suoi doveri per i contenuti dell'ordinanza con la quale, nel luglio del 2007, chiese alle Camere l'autorizzazione all'uso di intercettazioni che riguardavano alcuni parlamentari nell'ambito della vicenda Unipol.

FORLEO - «Avere fiducia nella giustizia prima o poi paga»: così la Forleo ha commentato al sua assoluzione. «La giustizia trionfa»- ha aggiunto il gip di Milano. Poi ha rivolto un pensiero al collega Luigi De Magistris: «Siccome il tempo è galantuomo - ha detto - spero che anche De Magistris abbia giustizia».

CSM - Assoluzione perché il fatto non costituisce illecito disciplinare. Così la sezione disciplinare del Csm, presieduta da Nicola Mancino, ha assolto il gip di Milano Clementina Forleo dalle accuse che le erano state mosse dalla Procura generale della Cassazione in relazione all'ordinanza con cui, il 20 luglio dello scorso anno, il giudice aveva richiesto alle Camere l'autorizzazione per utilizzare le intercettazioni, disposte nell'ambito delle inchieste sulle scalate bancarie, nelle quali comparivano anche alcuni parlamentari, tra cui gli esponenti del Pd Massimo D'Alema e Piero Fassino.

LA RICHIESTA - Per il pg di Cassazione, che aveva chiesto la condanna della Forleo alla censura e, come pena accessoria, aveva indicato il trasferimento in un altro ufficio, il gip di Milano aveva usato in quell'ordinanza «accenti suggestivi e denigratori» in un «abnorme e non richiesto giudizio anticipato». In tale modo, secondo l'accusa, la Forleo, che nel suo provvedimento aveva definito i politici in questione «consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata», aveva violato «l'obbligo di imparzialità, correttezza ed equilibrio». La Forleo aveva definito «consapevoli complici di un disegno criminoso» D'Alema e il senatore Nicola La Torre, ipotizzando per loro il possibile concorso nel reato di aggiotaggio. E li aveva descritti come «pronti e disponibili a fornire i loro apporti istituzionali in totale spregio dello stato di diritto». Di tutt'altro avviso, invece, è stato il Tribunale delle toghe, che ha pronunciato il verdetto dopo circa due ore di camera di consiglio.

INCOMBE IL TRASFERIMENTO - L'eventualità di un trasferimento dalla sede giudiziaria di Milano grava però ancora sulla Forleo: il plenum del Csm, infatti, nelle prossime settimane sarà chiamato a decidere se dare il via libera al trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale del gip di Milano proposto dalla prima commissione del Csm e relativo alle dichiarazioni che la Forleo aveva rilasciato su presunte «pressioni» ricevute da «ambienti istituzionali». Inoltre, nei confronti della Forleo, pende anche un'altra azione disciplinare promossa dal Pg di Cassazione e inerente la gestione di un procedimento a carico di Farida Bentiwaa, accusata di terrorismo internazionale, processo sul quale il gip aveva avuto contrasti con il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro.

il mistero di Tunguska

Le ricerche continuano, anche da parte degli italiani

Cento anni fa sui cieli della Siberia
un'esplosione da mille bombe atomiche

Tra le ipotesi la disintegrazione di un asteroide, ma anche lo «scontro» con un blocco di antimateria cosmica

Un'immagine della foresta carbonizzata (da www.americandigest.org)
Un'immagine della foresta carbonizzata (da www.americandigest.org)
Che un secolo fa, in piena Siberia, si sia verificata un’esplosione equivalente a mille bombe nucleari di tipo Hiroshima, e che quel remoto fenomeno rimanga ancora un problema insoluto, malgrado decine di esplorazioni e ricerche, è uno smacco per la moderna ricerca scientifica. Ma proprio questa è la storia della misteriosa esplosione di Tunguska, che il 30 giugno 2008 compie esattamente 100 anni: tante supposizioni, tanti tenui indizi, e ancora nessuna ipotesi definitivamente provata. Caduta di una cometa o di un asteroide? Esplosione di una bolla naturale di gas metano? Oppure, per scivolare sul fantascientifico, collisione fra il nostro pianeta e un grumo di antimateria? O lo schianto di un’astronave aliena? Sul caso Tunguska, negli ultimi anni, se ne sono lette di tutti i colori, da credibili ipotesi pubblicate su qualificate riviste scientifiche, ad articoli e libri di fiction privi di qualunque fondamento. Il centennale del mistero della Tunguska, ancora oggi irrisolto, merita un’attenta ricostruzione dei fatti.

ACCECANTE COME UN SOLE - Il 30 giugno 1908 alle 7,14 del mattino, quando sull'altopiano siberiano è giorno affermato, appare un oggetto simile a un disco solare, con una luminosità ancora più accecante del Sole. Sfreccia da Sud-Est a Nord-Ovest, riempiendo il cielo di bagliori intermittenti blu e bianchi e lasciandosi dietro una scia di fuoco e fumo. Fende l'aria con un sibilo, poi piega verso il suolo e inonda l'orizzonte di un rosso cupo, prima di scomparire con un sordo boato. Alcuni riferiscono di aver visto distintamente il disco luminoso, contornato da tutti i suoi fenomeni accessori; altri lo percepiscono soltanto indirettamente, come un lampo, una colonna di fumo, un tremendo tuono che fa vibrare l'aria e il terreno. L’oggetto sembra cadere in una zona disabitata, immediatamente a Nord di un corso d'acqua riportato in tutte le carte geografiche, Tunguska, uno di quei grandi fiumi che dalle alture orientali si tuffano nel bassopiano siberiano a ingrossare le acque dello Jenisej. Il paesaggio è quello tipico dell'altopiano siberiano: catene montuose e vallate che si succedono monotone, ricoperte dalla taiga, la fitta foresta di conifere secolari. Tutto attorno, una complessa rete fluviale, punteggiata da paludi malsane. La zona, d’inverno, è il regno delle nevi e dei ghiacci, con temperature che scendono oltre i 50°C sotto lo zero. In quella regione, che ai primi del secolo era in gran parte inaccessibile e in parte abitata da popolazioni di cacciatori nomadi, l'oggetto non identificato sceglie una depressione naturale per scatenare tutta la forza del suo impatto: una conca circondata da colline e montagne e ricoperta da alte conifere. Le esatte coordinate geografiche, determinate 19 anni dopo il fatto, sono 60° 53’ 09” di latitudine Nord; 101° 53’ 40” di longitudine Est.

LA FORESTA CARBONIZZATA - Il disastro è di vastissime proporzioni: circa 2mila km quadrati di foresta bruciata e devastata, migliaia di animali abbattuti e, stando alle testimonianze locali, molti cacciatori e abitanti di povere capanne feriti e ustionati; ma, a quanto sembra, nessun morto. Ancora oggi, a testimonianza di quel cataclisma, resistono centinaia di tronchi di alberi abbattuti e carbonizzati, a indicare con il loro orientamento gli effetti dell’onda d’urto. I fenomeni luminosi sono avvertiti entro un raggio di 600-700 km; quelli acustici uditi fino a mille km di distanza. Per dare un'idea della portata del fenomeno, se fosse accaduto a Roma, sarebbe stato visto da un capo all'altro della penisola e udito da Francoforte a Tripoli, da Barcellona a Belgrado. Il mondo è e rimarrà per parecchio tempo inconsapevole dell'evento, ma i sensibili pennini dei sismografi e dei barografi dell'Europa intera registrano l'accaduto che è interpretato come uno dei tanti terremoti lontani. Molti anni più tardi, saranno gli studi comparativi delle registrazioni sismiche e barometriche, a permettere di calcolare la potenza scatenata dall'esplosione della Tunguska che fu di circa 13 mila kilotoni, equivalente cioè a un migliaio di bombe come quella sganciata su Hiroshima. Le notti successive un altro e più appariscente fenomeno s’impone alle popolazioni europee e asiatiche delle alte latitudini: molte ore dopo il tramonto del Sole persiste una luminosità crepuscolare di straordinaria intensità. I giornali parlano di «fantasmagorici bagliori notturni» e gli astronomi spiegano che, probabilmente, si tratta di aurore boreali connesse all'attività del Sole.

IL CRATERE CHE NON C’E’ - Trascorso il turbine della prima guerra mondiale e della rivoluzione bolscevica, bisognerà aspettare il 1921 perché un ricercatore del Museo di Mineralogia di Petrograd, Leonid A. Kulik, incuriosito dai ritagli ormai ingialliti dei giornali del 1908, decida di compiere il primo sopralluogo nella zona del disastro. Si reca, innanzitutto, nei centri più popolosi ai margini dell'area colpita, alla ricerca di testimoni oculari, e raccoglie una grande quantità di prove. Riesce a ricostruire la traiettoria del corpo, pensa che si tratti di un grosso meteorite che cadendo a terra ha scavato un cratere e ritiene di poterlo scoprire, recuperando anche i frammenti del presunto corpo celeste. Per aver successo nell'impresa occorre una spedizione ben organizzata, in grado di penetrare tra le foreste e le montagne che circondano il luogo dell'impatto. Kulik impiegherà sei anni per convincere i membri dell'Accademia Sovietica delle Scienze a finanziare l'impresa. Ma la ricognizione non dà i risultati sperati: dopo mille fatiche e difficoltà, lo studioso non trova ne’ il cratere, ne’ i frammenti del meteorite.

COMETA O ASTEROIDE? - Per superare queste contraddizioni, comincia a farsi strada un'idea, avanzata nel 1930 dall'inglese J. W. Whipple, che identifica l'oggetto con il nucleo di una piccola cometa avente circa 40 m di diametro, una stima che sarà poi rivalutata da alcuni astronomi favorevoli a questa ipotesi. Un nucleo cometario, ragiona Whipple, penetrando ad alta velocità nell'atmosfera, può dare luogo a un'onda d'urto e a un'esplosione distruttive e, nello stesso tempo, a causa della sua bassa densità e della sua struttura a conglomerato di ghiacci e polveri, può disintegrarsi completamente, disperdendo una grande quantità di piccoli grani solidi. Si spiegherebbero in questo modo il fenomeno delle notti lucenti, il mancato ritrovamento di grossi frammenti meteoritici e l'assenza di crateri da impatto. Questa, ancora oggi, è l’ipotesi sostenuta da molti scienziati russi. Quelli occidentali, invece, propendono per un piccolo asteroide, anche questo esploso e vaporizzato in aria, tra 5 e 10 km d’altezza, che avrebbe lasciato al suolo soltanto tracce microscopiche.

IL MISTERO IN FONDO AL LAGO - La Tunguska ha attratto l’attenzione anche di un gruppo di studiosi italiani coordinato dal professor Giuseppe Longo, un fisico dell’Università di Bologna. Essi, dopo sopralluoghi e analisi, pensano di avere individuato in un piccolo laghetto denominato Cheko, il cratere scavato da uno dei frammenti del presunto asteroide. L’ipotesi, avanzata in un articolo sulla rivista scientifica Terra Nova (agosto 2007), non è condivisa da altri esperti e richiederà ulteriori esplorazioni sul fondo del lago, alla ricerca di eventuali frammenti del corpo celeste, per essere provata. Fra le ipotesi più stravaganti ne esistono due che tuttavia si basano su studi scientifici qualificati. La prima, elaborata da Willard Libby, lo scopritore della tecnica di datazione col carbonio 14, si basa proprio sull’abbondanza di questo isotopo riscontrata negli anelli di accrescimento degli alberi subito dopo il fenomeno: fatto che viene attribuito alle conseguenze di una possibile annichilazione fra la materia terrestre un blocco di antimateria spaziale venuto a contatto con l’alta atmosfera. La seconda ipotesi esotica, avanzata da un gruppo di fisici dell’Università del Texas, riconduce i fenomeni descritti in Siberia nel 1908 allo scontro fra il nostro pianeta e un mini buco nero, come quelli la cui esistenza è stata postulata dall’astrofisico Stephen Hawking. Il centenario della Tunguska sarà celebrato anche su internet, il 28 giugno 2008 alle ore 22, con una diretta web interattiva tenuta dall’astronomo Gianluca Masi sul sito www.coelum.com

Franco Foresta Martin

il mistero Orlandi 3

Caso Orlandi: un bagno nascosto nei sotterranei
dove la ragazza potrebbe essere stata prigioniera

ROMA (26 giugno) - Si nasconde una vera e propria città sotto la palazzina di via Pignatelli a Roma, dove in un appartamento, secondo la teste Sabrina Minardi sarebbe stata tenuta prigioniera Emanuela Orlandi. In questo dedalo di scantinati, gallerie e cunicoli sotterranei nel quartiere Monteverde Nuovo, si è svolta per 8 ore l'ispezione dei poliziotti della Squadra Mobile. Gli agenti hanno trovato «un camminamento sotterraneo che arriverebbe fino all'ospedale San Camillo». E' stato anche trovato un vano, celato da un muro, dove sono presenti servizi igienici. I poliziotti si sono accorti che il pavimento della cantina continuava aldisotto del muro e, dopo averlo abbattuto, hanno avuto accesso al vano bagno. L'ispezione continuerà anche domani.

Anche questo elemento conferma le parole dell'ex compagna di Enrico De Pedis che, nelle sue dichiarazioni aveva indicato agli inquirenti la presenza di questi «ampi sotterranei». Sempre secondo i poliziotti della questura di Roma questi scantinati negli anni avrebbero subito alcune modifiche, con alcune zone rese inaccessibili dalla costruzione di mura. Fra gli abitanti della zona c'è chi li ha utilizzati in passato come cantine. All'ispezione erano presenti anche i pm titolari dell'inchiesta, il procuratore aggiunto Italo Ormanni e i sostituti Andrea De Gasperis e Simona Maisto. Dopo il sopralluogo gli agenti hanno apposto i sigilli all'ingresso del sotterraneo.

Georadar per la ricerca di tracce. La squadra del nucleo ert specializzato in ricerca tracce della polizia scientifica, ha utlizzato anche un georadar. Le verifiche sono state affettuate anche in via Giovanni De Romanis, strada che fa angolo con via Pignatelli. Il macchinario è stato utilizzato anche nel giardino di una scuola materna che dista circa venti metri dalla palazzina dove, secondo Sabrina Mainardi, sarebbe stata tenuta prigioniera Emanuela Orlandi.

Allagamento dieci anni fa. I sotterranei dieci anni fa sono rimasti completamente allagati a causa della rottura delle fognature. A raccontarlo è stato Claudio Maurizi, un abitante della zona. «Io quei sotterranei li conoscono bene, ci sono stato più volte - ha detto l'uomo che abita nel quartiere da oltre trent'anni - l'ultima proprio l'anno scorso. Nessuno qui sa dove finiscono i cunicoli perché ormai sono intasati di fango e bloccati da mura». L'uomo conosce bene anche il palazzo in via Pignatelli. «L'unico appartamento presente nel sotterraneo - ha detto Maurizi - è ora abitato da una canadese che lo ha acquistato due anni fa. La casa ha una finestra che dà su via De Romanis». Il cunicolo è composto da numerose arcate: locali molto umidi buoni «solo da utilizzare come cantine», ha aggiunto Maurizi.

Una conferma per la superteste. Ieri è stata interrogata la presunta carceriera che ha smentito le dichiarazioni di Sabrina Mainardi. Le dichiarazioni della superteste, però, sono state confermate oggi da una sua parente acquisita la quale ha raccontato che la Mainardi, in passato, le aveva confidato tutto quello che poi ha raccontato agli investigatori, compresa la consegna di Emanuela Orlandi al distributore di benzina del Vaticano. La donna avrebbe anche spiegato ai pm di aver badato ai bambini di Daniela Mobili (la prestunta carceriera, secondo la Mainardi) durante il periodo di carcerazione.

tattoo you

giovedì 26 giugno 2008

CENSURE ROSSE


LA CENSURA è BUONA SOLO SE VIENE DA SINISTRA?
Cancellata la giornata di apertura della festa nazionale dell'associazione Libera
«Il paese del maiale» non s'ha da fare
Quando la censura arriva da sinistra
«No» del primo cittadino di Castelnuovo (Audio) alla proiezione del film sulla mafia nei macelli (Video)

dal sito internet www.nuovocaporalato.it
dal sito internet www.nuovocaporalato.it
CASTELNUOVO - Roberto Alperoli, sindaco di Castelnuovo Rangone in provincia di Modena (ascolta l'audio) chiede all'associazione contro le mafie di don Luigi Ciotti «Libera» di cambiare il programma della sua festa nazionale dedicata alla lotta contro tutte le mafie. E così il documentario non gradito al sindaco non sarà proiettato. Anzi, salta tutta la prima serata, dibattito compreso. Non male per un territorio amministrato dalla sinistra. La proiezione del film «Il paese del maiale» era prevista per il 30 giugno, come si può vedere dal programma inserito in rete fino alle ore 12.00 del 20 giugno (Guarda). La Giunta di «Terre di Castelli» (Castelnuovo Rangone Castelvetro di Modena Savignano sul Panaro Spilamberto Vignola) si riunisce, però, il giorno prima e decide di «chiedere» l'eliminazione della proiezione. Risultato? Salta la programmazione dell'iniziativa come si può notare dal programma ora in rete (Guarda). Per fortuna che nel programma del comune, il primo luglio c'è previsto un dibattito sul tema: «Quale informazione per parlare di mafia?». Anzi c'è di più. Il 4 luglio, Marco Travaglio (c'è da aspettarsi il suo punto di vista su questo cambio di programma) presenterà il libro «Se li conosci li eviti». Ma come, si fanno dibattiti per combattere la mafia e poi si censura un film che la denuncia?

IL DOCUMENTARIO - Il documentario «Il paese del maiale» fu trasmesso da Rai 3,durante una notte della calda estate del 2006 (per pochi sonnanbuli) e racconta storie di contraffazione alimentare, attraverso il cambio dei marchi di cosce suine e dell'omicidio di un socio lavoratore di una falsa cooperativa di facchinaggio, che, avendo scoperto la truffa, chiedeva denaro in cambio del suo silenzio. Tutte vicende che hanno come sfondo la rossa Emilia. Il sindaco di Castelnuovo di Rangone, Roberto Alperoli ha sostenuto che il filmato «riporta di Castelnuovo un'immagine univoca e lesiva del comune, che sembra un paesino dove vivono solo mafiosi». Ha tuonato: «Con questa scelta difendo i miei concittadini». E poi ha aggiunto: «Conosco i problemi di Castelnuovo ma bisogna parlarne in altro modo, non nei tre minuti d'intervento che mi concede quel film. Mi fa sembrare un povero idiota». Alla contestazione che anche i film con tesi scomode vanno visti, e semmai criticati (come ad esempio «Il Caimano») la risposta del sindaco è stata: «Premesso che anch'io ho applaudito "Il Caimano", che vuole che le dica... affermate pure che io ho avuto un comportamento inammissibile. Ma questo film resta un orrore». E così il buon nome di Castelnuovo è salvo e con esso quello del sindaco e della libertà d'informazione.

peer to peer

Copyright, editori e Siae vogliono che l'Italia adotti il pugno di ferro: e voi?

Un vero peccato. Non ho potuto andare all'appuntamento dell'Associazione italiana editori (Aie) su "Creatività e cultura nel Web: opportunità o minaccia?" di oggi a Roma che ho anticipato qui, ma secondo i resoconti d'agenzia non c'erano voci fuori dal coro: a quanto pare se la sono cantata e se la sono suonata.

Al convegno, dove Denis Olivennes (direttore del Nouvel Observateur, ex capo della Fnac) ha presentato il suo libro e proposto il modello adottato dalla Francia di Sarkozy che, pioniera in Europa (anzi, nonostante le indicazioni contrarie arrivate dal Consiglio di Stato), ha di recente approvato un disegno di legge severissimo in materia, la risposta alla domanda del convegno a quanto pare è "minaccia". Un vero peccato.

Si sono detti d'accordo con Olivennes, ovvio, sia Mauro Masi, segretario Generale per la presidenza del Consiglio, che Giorgio Assumma, presidente della Siae, e il presidente dell’Aie Federico Motta, per i quali lo sviluppo di Internet rende necessaria una "riflessione" (sic) sulla difesa dei contenuti culturali diffusi dalla stessa rete, riconoscendo ad ogni componente del sistema "il giusto compenso" (ma va?) per la propria attività.

E in cosa consisterebbe questa "riflessione"?

«Un accordo e, se occorre, una legge che lo sancisca, per combattere il problema dello scambio illegale di file sul web è necessario, anzi è il futuro», non ha dubbio Olivennes, ispiratore dell’intesa tra il mondo dei contenuti e dei provider che ha portato in Francia al disegno di legge. «Serviva un provvedimento che combattesse il peer to peer costringendo tutti gli attori coinvolti a raggiungere un’intesa - ha aggiunto - la Francia ora ha un progetto di legge e approfitterà del semestre di presidenza Ue per continuare a percorrere questa strada».

«Il diritto d’autore e la sua tutela sono strumenti imprescindibili per lo sviluppo culturale, sociale ed economico della nostra società - ha detto Masi - l’Italia saprà sicuramente trovare una soluzione in grado di garantire il giusto equilibrio fra tutti gli interessi in gioco. Con la legge 43 del 2005 è stata imboccata la strada della promozione della definizione di codici di deontologia e di buona condotta tra gli operatori coinvolti. Proseguiremo in questa direzione».

L'Aie lamenta che la pirateria fisica incide sul 20% del mercato di libri, contenuti, musica e cinema. Più difficile la quantificazione di quella online, ma "stime condivise" - sostiene - attesterebbero il dato attuale intorno al miliardo di file illegali disponibili in rete a livello mondiale.

«Il futuro della produzione culturale non è quindi solo in un momento di cambiamento, è in pericolo - ha sottolineato Motta (Aie) -. Per questo il futuro passa dalla ricerca di una soluzione».

«Propongo di fare un’edizione speciale del testo di Olivennes destinata ai Parlamenti - dice provocatoriamente Assumma, ripetendo quello che ha scritto nella prefazione del libro - sperando di avere dei guadagni non in denaro ma in considerazione».

Insomma, se i resoconti d'agenzia sono completi, non c'erano voci fuori dal coro al convegno dell'Aie: se la sono cantata e se la sono suonata. Un vero peccato - perchè era una grande occasione di incontro e scambio di idee - che non emerga la voce dei loro clienti, i consumatori di cultura, che non vedono il Web come una minaccia, ma come un'opportunità. Perchè non si è mai vista fiorire un'industria che fa la guerra ai propri clienti... questa è la riflessione che andrebbe approfondita.

mercoledì 25 giugno 2008

il mistero Orlandi 2

l mistero della tomba del boss della Magliana nella chiesa si Sant'Apolilinare
Nel 1990 le sue spoglie arrivarono dal cimitero del Verano con procedura eccezionale

La salma di Renatino nella basilica
l'ultimo colpo del boss benefattore

di FILIPPO CECCARELLI


La salma di Renatino nella basilica l'ultimo colpo del boss benefattore

La chiesa di Sant'Apollinare

"Quelli morti che sò de mezza tacca,/ fra tanta gente che se va a fà fotte,/ vanno de giorno, cantanno a la stracca/ verso la bùscia che se l'ha da ignotte"... Ora, secondo le classificazioni mortuarie di Giuseppe Gioachino Belli, Renatino De Pedis non era esattamente un morto di mezza tacca, lasciava ristoranti, locali notturni, boutique, negozi, società immobiliari e imprese edili, ma la buca ("bùscia") che ha finito per inghiottirselo in via definitiva appare da più di dieci anni del tutto incongrua alla sua storia di bandito - per quanto a Roma di banditi sepolti in chiesa ce ne stiano a iosa.

Il fatto - pare - è che quando si sposò, proprio lì a la "Pulinara", che sarebbe Sant'Apollinare, tra il serio e il faceto, come chi non vorrebbe disturbare un giorno di felicità, Enrico (così si chiamava veramente) disse alla sposa: "Sai, il giorno che mi tocca - si noti il pudore - mi piacerebbe essere portato qui". E così è stato, anche velocemente: dal Campo Verano, con un salto improvviso nella primavera del 1990 le spoglie del bandito passarono dal loculo del suocero all'ipogeo della basilica, con procedura eccezionale, senza investire cioè né il comune, né l'avvocatura di stato, né nessun altro al di fuori della Chiesa, che su certe cose, su certi luoghi, su certe scelte, non prende in considerazione l'idea di spiegarle, tantomeno si abbassa proprio a discuterle, e da secoli.

E così Renatino è ancora qui sotto, nella silenziosa frescura della cripta, sarcofago di marmo bianco, iscrizioni in oro e zaffiro, l'ovale della foto, e uno dei più straordinari misteri che sia dato immaginare nella città eterna, con l'aggravante del macabro, il cortocircuito della ragazza scomparsa e la quasi certezza che non si saprà mai cosa diavolo è accaduto in quella chiesa.

Il rettore di Sant'Apollinare spedì infatti la vedova dal Vicario di Roma, il cardinal Ugo Poletti, che non era esattamente uno sprovveduto, con una dichiarazione piuttosto impegnativa: "Si attesta che il signor Enrico De Pedis è stato un grande benefattore dei poveri che frequentano la Basilica e ha aiutato concretamente tante iniziative di bene che sono state patrocinate in questi ultimi tempi, sia di carattere religioso che sociale. Ha dato particolari contributi per aiutare i giovani, interessandosi in particolare per la loro formazione cristiana e umana".

E su questo aureo certificato di benemerenza ha reso una parola definitiva, nella sua sublime ambiguità, il più romano, il più ecclesiale e anche il più disinvolto tra i politici: "Ecco, magari non era proprio un benefattore per tutti - scolpì Giulio Andreotti - Ma per Sant'Apollinare sì".

Come ogni buon sacerdote avveduto, Don Pietro Vergari, l'allora rettore amico dei De Pedis, volle rinforzare la soluzione con una ulteriore scrittura ( a suo tempo divulgata da Gianni Barbacetto sul Diario) che mostrava, insieme al decoro, anche la convenienza dell'operazione: "Il lavoro di sepoltura sarà fatta da artigiani e operai specializzati in questo settore che già hanno lavorato per la tumulazione degli ultimi Sommi Pontefici in Vaticano. Sarà questa anche l'occasione per risanare uno degli ambienti dei sotterranei, già luogo di sepoltura dei parrocchiani, da moltissimi anni lasciati in completo abbandono".

E di nuovo: "Il defunto è stato generoso nell'aiutare i poveri che frequentano la basilica, i sacerdoti e i seminaristi, e in suo suffragio la famiglia continuerà a esercitare opere di bene, soprattutto contribuendo nella realizzazione di opere diocesane".
L'incongrua sepoltura si riseppe nel luglio del 1997, grazie al sindacato di Polizia. E poi dice che vengono a Roma da tutto il mondo: per vedere, per sognare, per illudersi di capire.

martedì 24 giugno 2008

per un giudice mettere le mani nei bagagli dei passeggeri non basta per essere licenziati dalla SEA

Furti a Malpensa, il giudice:«Riassumetelo»
Il tribunale ha dato ragione all'operaio addetto allo smistamento bagagli, così è tornato a essere dipendente della Sea

MILANO - Furto aggravato ai danni dei passeggeri dell'aereoporto di Malpensa. E' questa l'accusa per cui F.D.A., un lavoratore dello scalo varesino, è stato rinviato a giudizio. E, di conseguenza, licenziato da Sea handling nell'agosto 2003. Oggi il tribunale lo reintegra. Il giudice del Lavoro, Francesca La Russa, ha dato ragione all'operaio addetto allo smistamento bagagli: il licenziamento è illegittimo. I fatti risalgono al 2000. Con l'operazione «open bag» la polizia individuò 31 addetti allo smistamento bagagli dello scalo di Malpensa intenti a frugare nelle valigie dei viaggiatori. Il tutto filmato dalle telecamere dell'aereoporto.
Alla fine si arrivò a 18 rinvii a giudizio per furto aggravato. E ad altrettanti licenziamenti. Solo tre lavoratori hanno impugnato il provvedimento. Uno di questi è appunto F.D.A. che dall'aprile scorso è tornato a essere un dipendente Sea. La polizia di frontiera della scalo di Malpensa, però, ha ritenuto che, nonostante la causa vinta, il lavoratore «non possieda i necessari requisiti di affidabilità ai fini della sicurezza aeroportuale per il rilascio del permesso di accesso alle aree sterili dell'aereoporto ». Non può quindi smistare i bagagli dei passeggeri. Perciò resta sì in carico dell'azienda, ma senza stipendio perché non può lavorare.
Interpellata, Sea preferisce non fare commenti. Puntualizza soltanto che il licenziamento per giusta causa è avvenuto non perché il signor F.D.A. in questione sia un ladro («Questo non lo sappiamo, lo deciderà il giudice nel processo per furto aggravato tutt'ora in corso») ma perché si è rotto un «rapporto di fiducia». In sostanza, secondo Sea «un dipendente che viene filmato mentre mette le mani nei bagagli di un passeggero non è più degno di fiducia. E non importa se ha rubato o no o se l'ha fatto solo per curiosità: semplicemente le valigie non si aprono. Mai». Queste motivazioni non sono però bastate al giudice. «Sea non ha indicato gli oggetti del furto contestato e le eventuali denunce dei passeggeri riferite al giorno di cui alla contestazione», recitano, tra l'altro, le motivazioni della sentenza. Ma la faccenda non finisce qui: Sea ricorrerà in appello.

rivoluzione web

Via alla rivoluzione dei nomi web:

vanno bene tutte le parole,

in ogni lingua


Via alla rivoluzione dei nomi web bene tutte le parole, in ogni lingua
PARIGI - Un indirizzo internet che dopo il punto finisce con una qualsiasi parola. Qualcosa che ci piace, per esempio (.amoremio, .il miogatto, .lasagne e via di questo passo) e in qualsiasi lingua, anche in russo, arabo o in cinese. La liberalizzazione dei dominii e adesso potrebbe diventare realtà. Giovedì l'Icann, la società che assegna nomi e numeri identificativi sulla rete, potrebbe allentare le regole finora ferree che permettono solo domini legati ai nomi dei paesi (.it, .uk), al commercio (.com) o alle organizzazioni (.org,.net). L'annuncio è stato dato oggi nella capitale francese, nel corso della 32esima riunione dell'organizzazione.

Messa così, potrebbe trattarsi di una delle più grandi trasformazioni della rete negli ultimi anni. A partire dal 2009 - un incubo o un sogno a seconda dei punti di vista - 1,3 miliardi di internauti potrebbero essere liberi di dare il nome che più li aggrada all'estensione del loro sito. Le grandi città e i grandi gruppi economici avranno una loro sigla, ce ne sarà una per Roma, Milano, Londra o New York.

L'apertura dell'Icann ha sorpreso gli operatori del settore, vista la rigidità dell'organismo. Ma solo fino a un certo punto, visto che nelle casse dell'Icann, che incassa una percentuale su ogni registrazione, entreranno molti più soldi. Attualmente sono 162 milioni i nomi recensiti, di cui più della metà in .net e .com, per un totale di circa 250 estensioni. Limitazioni che qualcuno ha già aggirato: l'isola di Tuvalu, per esempio, ha affittato la denominazione .tv a molte televisioni.


"L'impatto sarà diverso da paese a paese, ma consentirà a comunità e soggetti commerciali di esprimere le proprie identità online", ha spiegato l'amministratore delegato della compagnia Paul Twomwey. Un passo che per alcuni permetterà la massima libertà di espressione, ma secondo altri rischia di dare vita a una grande confusione. Basti pensare ad esempio cosa può significare avere più dominii che indicano settori di servizi, ad esempio quello bancario, o la possibilità di taroccare i marchi online.

Si va verso una liberalizzazione anche per quanto riguarda le lingue e i caratteri. La diversificazione sarà attuata con l'entrata in vigore della nuova generazione di indirizzi (Ipv6), che permetterà un numero staordinariamente più grande di indirizzi. Lo stock attuale, che utilizza il protocollo Ipv4, dovrebbe esaurirsi tra il 2010 e il 2011.

Insomma, la rete che verrà sarà poliglotta e personalizzata fino all'inverosimile. I dettagli saranno resi noti solo domani. Molti si chiedono come farà la società a impedire un accapparamento di "false estensioni", come già era successo con il vecchio sistema. Di sicuro sarà un momento festeggiato dall'industria del porno, che attende da anni l'assegnazione dell'estensione .xxx.

(23 giugno 2008)