lunedì 16 febbraio 2009

ANCHE LUI TIENE FAMIGLIA

TENGO FAMIGLIA! - Il figlio dEL PRESIDENTE Napolitano nominato nell’organo che vigilerà l’accesso alla rete Telecom – SCUSATE, Ma che c’entra un professore di diritto pubblico con le telecomunicazioni? Mistero GAUDIOSO… -


Giulio Napolitano e Marianna Madia

La notizia l'ha data l'altro giorno l'agenzia di stampa Radiocor e l'ha confezionata con dovizia di particolari il "Sole 24 Ore" di sabato: l'Authority per le Comunicazioni di Corrado Calabrò ha nominato i membri dell'Organo di Vigilanza che si occuperà dell'accesso alla rete Telecom. I nomi sono: Gerard Pogorel, professore alla Scuola nazionale Superiore delle Telecomunicazioni in Francia; Claudio Leporelli, professore di ingegneria economico-gestionale alla Sapienza di Roma; Giulio Napolitano, professore di Istituzioni di diritto pubblico all‘università di Roma Tre.

Se per i primi due nominati a prima vista non vengono in mente obiezioni, date le materie che insegnano, sul terzo qualche dubbio sorge: che c'entra un professore di diritto pubblico con la rete Telecom? La sua bibliografia (http://www.scienzepolitiche.uniroma3.it/cgi-bin/WebObjects/politiche.woa/QWDirectAction?pageID=316) presenta la gran parte degli interventi dedicati a diritto amministrativo, costituzione, autorità di controllo in genere, ma non pare ci sia un'un attenzione preponderante al settore tlc, anche se Carmine Fotina sul giornale di Flebuccio De Bortoli non manca di sottolineare che si tratta di un "giurista con vaste competenze nel settore tlc". Eppure nessuno se l'è sentita di eccepire sull'incarico conferito al figlio del presidente della Repubblica.

venerdì 13 febbraio 2009

il malvivente

Perseguitato sì, ma dai reati - La vera storia di Battisti - Furti d’auto, ma anche di macchine per scrivere - La “fuitina” con una tredicenne e poi le rapine - la vita del giovane Cesare prima che diventasse terrorista e assassino…

Giacomo Amadori per Panorama

Via Follette è una strada di campagna, a Sermoneta in provincia di Latina. Qui, in una casa di mattoni rossi con le tapparelle abbassate, vaga inquieto un fantasma. Nei fascicoli giudiziari resta la fotocopia della sua ultima carta d'identità: classe 1954, 168 centimetri, capelli e occhi castani, professione operaio. È lo spirito di Cesare Battisti che qui abitava prima di diventare un terrorista.


Battisti

La famiglia non ha cambiato indirizzo. Gli uomini sudano nell'officina dove preparano cartelli stradali. In questi campi sino agli anni 60 pascolavano le pecore di papà Antonio, originario del Frusinate. Poi il capofamiglia cedette il gregge e i figli cambiarono attività. Senza perdere la voglia di faticare dei Battisti, tutti orgogliosamente comunisti. Ma c'era una pecora nera in questa famiglia di pastori, il più bello e giovane di sei figli.

«Cesare era intelligente e generoso, ma pure ribelle e manesco» ricorda il fratello Vincenzo, 68 anni, pensionato. Preferiva leggere piuttosto che sgobbare e, terminata la terza media, si iscrive a un istituto privato di Latina, senza successo. Nel tempo libero corre con il go-kart dell'amico Pino, «sgasa» con il 48 della Benelli, pesca con la rete nei canali. Va a ballare al Pescheto o al ritrovo di Borgo Carso: liscio e shake.

«Pensavamo solo a divertirci e lui non parlava mai di politica» ricorda oggi Pino, 56 anni. Il primo vero reato lo commettono insieme. È il 13 marzo 1972. I verbali di polizia raccontano che a Ciampino alle 7.20 del mattino quattro persone vengono fermate dai carabinieri mentre scaricano 31 macchine per scrivere e da calcolo Olivetti da una 1.500 e da una 500, entrambe Fiat. Le auto sono rubate, come la merce, che vale circa 6 milioni, una piccola fortuna per l'epoca. Cesare, 17 anni, Pino, 19, e Pier Carlo, 30, la stanno rivendendo per 600 mila lire a un meccanico ventisettenne, il ricettatore.



«Battisti non aveva bisogno di quei soldi: i fratelli lo pagavano bene per dare una mano nell'azienda di famiglia» sostiene Pino, passato turbolento e presente senza lavoro. La vita di Battisti è sempre più adrenalinica, le ragazze non gli mancano. Scalda i muscoli nella palestra dell'estremismo politico e ogni tanto va a fare a pugni con i giovani neofascisti di Latina nei bar vicino allo stadio. Ama le auto e viene arrestato per guida senza patente. Acquista una Mini minor rossa K2 con cui sfreccia nelle strade dell'Agro pontino. A Latina frequenta una prostituta di vent'anni, Clara.

Il 1° maggio 1974, insieme con un amico, convince due ragazzine di origine calabrese (una di 16 e l'altra di 13 anni) a seguirli in treno. Arrivano sino in Sicilia. In albergo fanno l'amore. La «fuitina» dura quasi due settimane. Battisti viene denunciato per «sottrazione di minore a fini di libidine violenta su persona incapace». Poche settimane dopo lui, invece di scusarsi, aggredisce lo zio della tredicenne.

Sabato 3 agosto 1974, insieme con Claudio e Luciano, due coetanei, decide di esagerare. Viaggiano su una Giulia 1.600, «trombe potenti e carburatori rumorosissimi» informa un giornale dell'epoca. Sgommano sul lungomare di Sabaudia, si fanno notare dai vigili. Poi si calano tre calzemaglie sul volto: con una pistola calibro 7,65 e una lupara entrano nella villa di Giuseppe Cerquetti, dentista romano.


L'uomo ospita per le ferie un'amica e tre ragazzini. Due di loro sentono dei rumori ed escono in giardino impugnando una pietra e un bastone. Si trovano di fronte Battisti e compagni con le armi spianate. «Sebbene travisati erano facilmente riconoscibili» ricorda 35 anni dopo Cerquetti. «A parlare era solo Battisti e, anche se ci hanno legati e imbavagliati, onestamente non sono stati violenti». Alla fine il bottino è magro e dopo un paio d'ore i tre sono già in manette. Battisti finisce prima nel carcere di Spoleto, poi in quello romano di Rebibbia.

Il 20 febbraio 1976 esce per decorrenza dei termini della custodia preventiva. A maggio parte militare, destinazione Casale Monferrato (Alessandria). Fa di tutto per abbandonare la divisa: lamenta diversi malanni, dalle vertigini alle coliche. Un ufficiale medico lo riconosce «demente» e lo spedisce nell'ospedale pischiatrico di Torino. Alle visite successive risulta «abile e arruolato». Viene mandato al gruppo artiglieri di Udine.

All'inizio del 1977 finisce nella casa circondariale del capoluogo friulano per i suoi precedenti reati da borghese. Qui conosce Arrigo Cavallina, insegnante e aspirante rivoluzionario, futuro fondatore dei Pac, i sanguinari Proletari armati per il comunismo. Il 16 maggio per Battisti arriva la scarcerazione e viene trasferito al distretto militare di Latina.

Qui si rifiuta con altri compagni di partecipare alle esercitazioni per l'ordine pubblico. Battisti invia una lettera al nuovo amico, il terrorista Cavallina: «L'associazione a delinquere cossighiana ha pensato bene di tenere pronto l'esercito (...) il colonnello ha tenuto il suo bravo discorsetto e da qui sono cominciati i casini» scrive.

Il 1° giugno un caporalmaggiore viene picchiato da due giovani mascherati e inizialmente viene incolpato lui. È anche accusato di aver minacciato «di dare una scarpata in testa» allo stesso sottufficiale. Il 9 giugno viene arrestato e incarcerato a Forte Boccea. Alla fine viene condannato per insubordinazione.

Per alcuni mesi entra ed esce dal carcere. In quel periodo frequenta Lucia, una giovanissima studentessa di Latina, e Gianni, ventiduenne scapestrato: «Eravamo entrambi fuori di cervello» ammette oggi l'ex compagno, di professione bidello. Il 3 febbraio i due, insieme con Roberto, ventenne incensurato, prendono d'assalto l'ufficio postale di Montecchio, frazione di Sermoneta.

«Entrarono armati e mi piantarono la pistola contro la nuca» ricorda l'allora direttore Guido Mancini. «Se non sono crollato a terra per la paura è solo perché avevo le ginocchia appoggiate al muro». Il furgone portavalori non è ancora arrivato e l'assalto è un fallimento: nelle casse ci sono 297 mila lire e altre 300 mila di marche per patenti. Gianni e Roberto vengono arrestati poco dopo. Battisti riesce a fuggire. «È il più pericoloso, con sé ha la pistola e i soldi» scrive il Messaggero.

Il fuggitivo trova ospitalità a casa del compagno Cavallina, a Verona. «Se non fosse dovuto scappare, non avrebbe mai intrapreso la lotta armata» si rammarica il fratello, Vincenzo Battisti, con la sigaretta tra le dita.
Così, quasi per caso, un piccolo malvivente si fece terrorista. E ora fa il perseguitato politico.

giovedì 12 febbraio 2009

TRE MODI DI TITOLARE LA STESSA NOTIZIA

AVVISI AI NAVIGATI
Meravigliose le sfumature delle quali sono capaci i titolisti di Paolino Mieli. Ecco il sommario del pezzo sulla telefonata Abbronzato-Rialzato (p.9): "Intenso lavoro diplomatico nel preparare l'appuntamento per via dell'immagine "filo-Bush" del Cavaliere". Immagine, capito? Mica sostanza.

E invece nella vita bisogna essere pragmatici, come c'insegna anche oggi Augusto Minzolini sulla Stampa (p.5). Titolo del "retroscena": "Obama chiama il Cavaliere. Il premier: colloquio positivo, ha la stessa cultura del fare che ho sempre avuto io". Poi giù nel pezzo, ecco la doppia disponibilità italiana a prendersi un po' di ex detenuti di Guantanamo e a mandare più soldati in Afghanistan: "due biglietti da visita che faranno sicuramente piacere al Presidente Usa che sul piano del pragmatismo non è certo secondo al premier italiano".

Molto più sobrio e stringato il resoconto della telefonata sul Giornale del Piccolo Fratello: 26 righe sotto il titolo soporifero "Obama telefona al premier: Insieme per le sfide globali" (p.5, in basso a sinistra).

intolleranza

dal corriere online

La tolleranza sospesa


di Pireluigi Battista

Il deputato olandese Geert Wilders non è un personaggio da ammirare. Il suo film «Fitna» offende il Corano e ferisce i musulmani. Ma se la libertà di esprimersi, girare film, viaggiare fosse riservata solo alle persone ammirevoli vivremmo in un mondo da incubo. Le autorità britanniche, come racconta oggi sul nostro giornale Luigi Offeddu, non vogliono che l’olandese Wilders metta piede in Gran Bretagna perché le «sue dichiarazioni contro i musulmani minacciano l’armonia della comunità e dunque la sicurezza pubblica nel Regno Unito». Per evitare le manifestazioni di protesta degli islamici si comprime il diritto di circolare liberamente nell’Europa tollerante, inclusiva, rispettosa di ogni «diversità ». Il diritto di diffondere le proprie idee, anche se detestabili. La paura cancella diritti di cui dovremmo andare orgogliosi: ma la circostanza passa inosservata, complice l’impresentabilità intellettuale di chi ne viene privato. Il «caso Wilders» potrebbe trasferirsi dalla Gran Bretagna all’Italia, perché è previsto (ma ancora non è sicuro) che il deputato olandese verrà nel nostro Paese per ritirare un premio, tra l’altro con l’accoglienza di alcuni parlamentari.

E’ difficile non essere d’accordo con Ian Buruma, l’intellettuale olandese che considera Wilders «non certo un artista, neppure un buon politico, solo un provocatore che cerca lo scontro e deliberatamente vuole aizzare le frange islamiche più estremiste». Ma sulla questione del «buon artista» dobbiamo necessariamente fidarci di Buruma, perché nessuno può vedere un film di cui è stata interdetta la trasmissione pubblica. Del resto, sono ormai clandestine anche le opere dei vignettisti danesi che anni fa con i loro disegni anti-Islam suscitarono cruente proteste nelle principali capitali musulmane, esposero la Danimarca alla ritorsione delle «frange islamiche più estremiste», consegnarono i loro autori e i responsabili dei giornali che ne consentirono la pubblicazione ai rigori di una vita blindata, superprotetta e taciturna. Nessuno ha potuto vedere «Submission », il film sull’Islam del regista Theo Van Gogh assassinato in Olanda secondo il rituale riservato ai nemici della religione.

Nessuno immagina il tipo di vita di Robert Redeker, l’insegnante francese che, dopo aver scritto su Le Monde un articolo molto veemente contro il fondamentalismo islamista, ha perso il suo lavoro e vive rintanato nella clandestinità. A vent’anni esatti dalla fatwa scagliata contro Salman Rushdie, e quando ancora la «rinnegata» Ayaan Hirsi Ali patisce in Olanda la sua vita braccata e sotto perenne scorta, la fine della sindrome dell’ 11 settembre, la percezione di uno sbiadirsi dello scenario di guerra che quell’evento epocale aveva prodotto, ha lasciato un manipolo di fantasmi in balia della furia vendicatrice delle «frange estremiste ». Anche Wilders è forse un estremista del fanatismo anti-islamico, ma l’ostracismo europeo, britannico (e italiano?) decretato nei suoi confronti è la sconfitta di uno «stile di vita» liberale e tollerante che è esattamente il bersaglio dell’odio di matrice totalitaria e integralista. Il ricordo dell’11 settembre non è più così cocente, per fortuna. Ma la dimenticanza comporta dei prezzi. L’autocensura compresa.

no comment

Fratellini di Basiglio: assistente sociale
e psicologi indagati per lesioni colpose

La perizia del pm: bambino traumatizzato dalle modalità dell'allontanamento dalla famiglia

Una delle manifestazioni per i bambini di Basiglio
Una delle manifestazioni per i bambini di Basiglio
MILANO - Al centro di un'inchiesta della Procura ora non c'è più solo l'origine della dolorosa vicenda dei due fratellini di Basiglio, e cioè l'allontanamento dalla famiglia operato dal Tribunale dei Minorenni sulla base dell'erroneo presupposto (in ipotesi accusatoria alimentato anche da insegnanti e preside indagate per false dichiarazioni al pm) che alcuni disegni scolastici tradissero giochi erotici. Adesso al vaglio del pm Marco Ghezzi c'è la conseguenza psicologica che sul bimbo più grande avrebbero avuto le modalità materiali dell'allontanamento.

Fino a indurre la Procura a formulare una inusuale ipotesi di reato («lesioni colpose» ai danni del bambino) e per essa indagare due psicologi e una assistente sociale. L'indicazione «colposa » del reato suggerisce la convinzione dell'accusa che le condotte ipotizzate non siano state intenzionali, ma abbiano involontariamente arrecato sofferenza al bambino. Alla base della contestazione di «lesioni», infatti, c'è una perizia che ravvisa nel bambino un «disturbo post traumatico da stress» collegato, come nesso di causa-effetto, alle modalità di separazione dalla famiglia allorché fu eseguito il provvedimento d'urgenza del Tribunale dei Minorenni.

In quella fase, secondo l'accusa, lo psicologo (che avrebbe dovuto facilitare un passaggio per forza di cose doloroso per i bambini) avrebbe invece finito per peggiorare la situazione. Perché? Perché avrebbe detto al bambino che gli sarebbero stati cambiati i genitori; perché lo avrebbe strattonato per un braccio; e perché gli avrebbe impedito di salutare bene la sorella (leggi l'intervista al padre). Circostanze che lo psicologo, difeso dall'avvocato Laura De Rui, ha seccamente negato nell'interrogatorio: né strattonamenti né veti a un commiato soft alla sorella, e per il resto l'accusa stravolgerebbe frasi decontestualizzate da un discorso volto invece a prospettare al bambino le varie possibilità teoriche dopo l'allontanamento.

L'accusa estende poi l'ipotesi di «lesioni colpose» a un'altra psicologa e a un'assistente sociale, accusate d'aver pressato il bambino (tolto ai genitori) affinché confermasse i sospetti nati dai disegni. Le due donne, sinora senza accesso agli atti, si sono avvalse della facoltà di non rispondere. Ma l'avvocato Lucia Lucentini anticipa che sono certe di potersi dimostrare estranee a un'accusa errata, peraltro fondata allo stato sulla sola percezione del bimbo.

Luigi Ferrarella

lunedì 9 febbraio 2009

Eluana: il punto di vista di Panebianco

dal corriere online

Quel silenzioso terzo partito


di Angelo Panebianco

Proviamo a riprendere fiato. Il conflitto fra i difensori del «diritto alla libertà di scelta» e i difensori della «sacralità della vita» è degenerato nel modo in cui sappiamo. La violenza dello scontro ha coinvolto le istituzioni al massimo livello e ha spaccato il Paese. Due partiti nemici (si badi: ho detto nemici, non avversari) si fronteggiano e nessuno sa come andrà a finire. Come sempre in questi casi, è scattato, nei due campi, l'ordine di mobilitazione generale, la militarizzazione delle coscienze è in corso, e la consegna, per le opposte schiere, è di non fare prigionieri. Eppure, nonostante la violenza del conflitto, e la polarizzazione che l'accompagna, non è così facile (come vorrebbe farci credere la propaganda dei due contrapposti partiti) spazzare via i dubbi che le persone di buon senso, quali che siano le loro convinzioni morali, devono per forza nutrire di fronte a una vicenda come quella di Eluana. Anche se non è detto che i protagonisti ne abbiano piena contezza, l'intrattabilità politica del tema trova una eco nei «trasversalismi » e in certe contorsioni che si manifestano in queste ore nell'arena pubblica.

Se il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, sceglie di non seguire il leader dello schieramento cui appartiene, aprendo così una frattura difficilmente ricomponibile, ecco che Antonio Di Pietro, l'arcinemico di Berlusconi, dichiara di dare libertà di coscienza ai suoi parlamentari sul provvedimento del governo, ammettendo così implicitamente il proprio accordo con la scelta del premier di tenere in vita Eluana. E si noti che anche alcuni settori del Pd sono orientati a votare a favore. Ormai le cose si sono spinte troppo in là, è troppo tardi per fermare il processo che si è messo in moto ma è giusto per lo meno dare testimonianza del fatto che, oltre ai due partiti che si scontrano, ne esiste anche un terzo, per lo più silenzioso, e che, comunque vada la vicenda, è già stato sconfitto. È il partito di chi pensa che la Politica, la Democrazia, il Diritto, e tutte le altre più o meno utili astrazioni che siamo soliti invocare per imporre faticosamente un minimo di ordine nella vita associata dovrebbero essere tenute fuori dalla porta al di là della quale sono in gioco, come in questo caso, le questioni ultime dell'esistenza. È il partito di chi pensa che occorrerebbe coltivare, nella riservatezza e nella discrezione, una zona grigia, protetta da una necessaria ipocrisia, nella quale le decisioni sul caso singolo (sempre diverso, almeno per qualche aspetto, da qualunque altro caso singolo) restano affidate alla sensibilità e alla pietas del medico che ha in cura il malato e ai sentimenti delle persone che lo amano. Che è quanto si è sempre fatto, checché ne dicano certi sepolcri imbiancati. È il partito di chi pensa che quelle situazioni debbano essere sottratte al clamore delle «battaglie di principio». Condivido quanto ha detto Emanuele Severino (sul Corriere di ieri): a scontrarsi sono due forme di violenza. I due partiti millantano certezze assolute che, su questa terra almeno, a nessuno è dato di possedere.

Fa francamente effetto (e non è un bell'effetto) vedere, nei telegiornali, le opposte fazioni mobilitate e schierate, a Udine e in altri luoghi, l'una a difesa della vita di Eluana e l'altra a difesa del suo diritto a morire. Credo che, in queste ore, nessuno incarni lo spirito dei due partiti contrapposti meglio di Marco Pannella e di Giuliano Ferrara, due uomini stimabilissimi per il coraggio, la passione e l'onestà intellettuale con cui difendono le cose in cui credono. Schierati sugli opposti lati della barricata Pannella e Ferrara hanno tuttavia una cosa in comune: credono entrambi che tocchi alla legge, e alla democrazia che fa le leggi, il compito di imporre la soluzione. Per il diritto del singolo a scegliere, sempre e comunque (Pannella). Per l'intangibilità della vita, sempre e comunque (Ferrara). Anche se la differenza è che, per Ferrara, l'intervento del Parlamento dovrebbe essere la risposta di emergenza a una sentenza emessa in assenza di legge. Spiacente ma sono in disaccordo con entrambi. Deploro fortemente la giuridicizzazione (e l'inevitabile politicizzazione che l'accompagna) di questioni come questa. La legge è uno strumento che gli uomini hanno inventato per ridurre l'arbitrio, per trattare in modo il più possibile simile casi simili. Le «buone» leggi (non sempre le leggi sono buone) rappresentano effettivamente un utile strumento, ancorché imperfetto, per favorire uguali trattamenti e affermare principi universalistici in molte situazioni.

Ma non credo affatto che una legge possa davvero regolare le questioni-limite di cui qui parliamo. Data l'estrema variabilità dei casi, e le profonde, irriducibili, differenze fra le persone, una legge che offre una buona soluzione per un caso può risolversi in una intollerabile forma di violenza in un altro caso. D'altra parte, dire leggi significa dire tribunali. Proprio il caso di Eluana mostra quanta fragilità, quante incongruenze, quante contorsioni, siano contenute nelle sentenze dei tribunali su vicende come la sua. Lo stesso discorso vale per la democrazia. Con tutte le sue brutture e volgarità, è pur sempre la migliore forma di governo, dal momento che consente di risolvere le controversie senza spargimenti di sangue, con il voto anziché con le armi. Da qui però ad affidarle le decisioni sulla vita e sulla morte ce ne corre, o ce ne dovrebbe correre assai. Parlamenti e tribunali, insomma, dovrebbero essere tenuti lontani da queste cose, a conveniente distanza di sicurezza. Certo, i progressi della medicina modificano continuamente le situazioni e la politica subisce un'inevitabile pressione a intervenire. E può anche accadere, in qualche caso, che un Parlamento riesca a sfornare una legge (ci credo poco, ma l'eventualità non può essere scartata a priori) che rappresenti un buon punto di equilibrio fra opposte, e forse ugualmente rispettabili, esigenze. Se non c'è verso di tenere le grinfie dello Stato, ancorché democratico, lontano dalle questioni estreme, che almeno si evitino gli eccessi. La politicizzazione della morte è il misfatto più grave che una democrazia possa commettere.

09 febbraio 2009

venerdì 6 febbraio 2009

per Eluana: parla Jannacci

Caso Eluana, parla l'ateo Jannacci: allucinante fermare le cure

«La vita è importante anche quando è inerme e indifesa. Fosse mio figlio mi basterebbe un battito di ciglio»

Enzo Jannacci (Foto Rai)
Enzo Jannacci (Foto Rai)
MILANO - Ci vorrebbe una carezza del Nazareno» dice a un certo punto, e non è per niente una frase buttata lì, nella sua voce non c'è nemmeno un filo dell'ironia che da cinquant'anni rende inconfondibili le sue canzoni. Di fronte a Eluana e a chi è nelle sue condizioni — «persone vive solo in apparenza, ma vive » — Enzo Jannacci, «ateo laico molto imprudente», invoca il Cristo perché lui, come medico, si sente soltanto di alzare le braccia: «Non staccherei mai una spina e mai sospenderei l'alimentazione a un paziente: interrompere una vita è allucinante e bestiale».

È un discorso che vale anche nei confronti di chi ha trascorso diciassette anni in stato vegetativo?
«Sono tanti, lo so, ma valgono per noi, e non sappiamo nulla di come sono vissuti da una persona in coma vigile. Nessuno può entrare nel loro sonno misterioso e dirci cosa sia davvero, perciò non è giusto misurarlo con il tempo dei nostri orologi. Ecco perché vale sempre la pena di aspettare: quando e se sarà il momento, le cellule del paziente moriranno da sole. E poi non dobbiamo dimenticarci che la medicina è una cosa meravigliosa, in grado di fare progressi straordinari e inattesi».

Ma una volta che il cervello non reagisce più, l'attesa non rischia di essere inutile?
«Piano, piano... inutile? Cervello morto? Si usano queste espressioni troppo alla leggera. Se si trattasse di mio figlio basterebbe un solo battito delle ciglia a farmelo sentire vivo. Non sopporterei l'idea di non potergli più stare accanto».

Sono considerazioni di un genitore o di un medico?
«Io da medico ragiono esattamente così: la vita è sempre importante, non soltanto quando è attraente ed emozionante, ma anche se si presenta inerme e indifesa. L'esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e comunque. Decidere di interromperla in un ospedale non è come fare una tracheotomia...».

Cosa si sentirebbe di dire a Beppino Englaro?
«Bisogna stare molto vicini a questo padre».

Non pensa che ci possano essere delle situazioni in cui una persona abbia il diritto di anticipare la propria morte?
«Sì, quando il paziente soffre terribilmente e la medicina non riesce più ad alleviare il dolore. Ma anche in quel caso non vorrei mai essere io a dover "staccare una spina": sono un vigliacco e confido nel fatto che ci siano medici più coraggiosi di me».

Come affronterebbe un paziente infermo che non ritiene più dignitosa la sua esistenza?
«Cercherei di convincerlo che la dignità non dipende dal proprio stato di salute ma sta nel coraggio con cui si affronta il destino. E poi direi alla sua famiglia e ai suoi amici che chi percepisce solitudine intorno a sé si arrende prima. Parlo per esperienza: conosco decide di ragazzi meravigliosi che riescono a vivere, ad amare e a farsi amare anche se devono invecchiare su un letto o una carrozzina».

Quarant'anni fa la pensava allo stesso modo?
«Alla fine degli anni Sessanta andai a specializzarmi in cardiochirurgia negli Stati Uniti. In reparto mi rimproveravano: "Lei si innamora dei pazienti, li va a trovare troppo di frequente e si interessa di cose che non c'entrano con la terapia: i dottori sono tecnici, per tutto il resto ci sono gli psicologi e i preti". Decisero di mandarmi a lavorare in rianimazione, "così può attaccarsi a loro finché vuole"... ecco, stare dove la vita è ridotta a un filo sottile è traumatico ma può insegnare parecchie cose a un dottore. C'è anche dell'altro, però».

Che cosa?
«In questi ultimi anni la figura del Cristo è diventata per me fondamentale: è il pensiero della sua fine in croce a rendermi impossibile anche solo l'idea di aiutare qualcuno a morire. Se il Nazareno tornasse ci prenderebbe a sberle tutti quanti. Ce lo meritiamo, eccome, però avremmo così tanto bisogno di una sua carezza».

Fabio Cutri
06 febbraio 2009

martedì 3 febbraio 2009

EMERGENZA PIRATI DELLA STRADA

dal corriere online

Emergenza pirati della strada
In un anno sono raddoppiati

di VINCENZO BORGOMEO


Ogni tre giorni in Italia viene ammazzato qualcuno da un pirata della strada. E uno al giorno rimane gravemente ferito. Per la pirateria ormai è totale emergenza: nel 2007 sono stati registrati 161 casi, mentre nel 2008 ben 323, con una crescita record del 100,6 per cento. Tradotto in vittime questo incredibile aumento significa 93 morti con un incremento del 36,8% rispetto ai 68 del 2007 mentre il numero dei feriti lo scorso anno ha avuto un balzo del 120,7% con 331 vittime rispetto alle 150 del 2007.

Tutti i casi di pirateria del 2008 (Pdf)

Questi gli incredibili dati che siamo in grado di anticipare e che saranno pubblicati sul prossimo numero de Il Centauro, rivista dell'Asaps, amici polizia stradale.

Triste constatare come poi da tutta questa mole di dati emerga il fatto che - ancora una volta - sono proprio le categorie deboli della strada, in modo particolare anziani e bambini, a pagare un prezzo altissimo: 54 sono gli anziani coinvolti, 41 i bambini, rispettivamente il 12,7% ed il 9,7%. Tra i minori, quelli di età inferiore ai 14 anni rimasti vittima di questo atto di vigliaccheria stradale sono stati in tutto 14 (3,3%), 2 dei quali rimasti uccisi e 12 feriti. I pedoni sono la categoria più tartassata, con 134 eventi: 42 morti (9,9%) e 92 feriti (21,7%). Infine i ciclisti: 42 gli episodi (9,9%), 16 lenzuola bianche (3,8%) e 26 ricoveri (6,1%).

Chiara anche la cosiddetta "geografia" degli episodi di pirateria stradale: al primo posto c'è la Campania con 39 casi (12,1%), seguono la Toscana e l'Emilia Romagna, con rispettivamente 37 e 36 episodi (11,5% e 11,1%). Le regioni più virtuose? Umbria e Valle d'Aosta (0,6%) con due casi, e Basilicata (0,3%) che ha fatto registrare un solo caso.

L'identikit del pirata? "Nella maggior parte dei casi - spiega Giordano Biserni, presidente dell'Asaps - si tratta di uomini di età compresa tra i 18 ed i 44 anni, spesso sotto l'effetto di sostanze alcoliche o stupefacenti e per questo decidono di fuggire, sottraendosi alle proprie responsabilità. Hanno rilievo consistente anche i casi di veicoli con assicurazioni scadute o addirittura false. Spesso è determinante anche il timore di perdere la patente. Le pene, peraltro, non sono particolarmente dissuasive: da tre mesi a tre anni A queste si aggiungono però quelle per le lesioni o l'omicidio".

In questo inferno va detto che ormai pochi pirati riescono a farla franca: il 77,1% degli autori viene smascherato, mentre "solo" il 22,9% resta ignoto. Merito certo delle tecniche investigative (su 323 inchieste, 249 hanno condotto all'identificazione del responsabile, arrestato in 125 occasioni e denunciato a piede libero in altre 124) ma deve far riflettere una cosa: in ben 109 casi (43,8%) nel 2008 il pirata della strada era ubriaco o drogato. Ed è un calcolo per difetto perché spesso quando le forze di polizia identificano l'autore dopo qualche giorno dall'incidente non ha più senso sottoporre il sospetto a controllo alcolemico o narcotest.

Ma quando si ha a che fare con un ubriaco o con un drogato è chiaro che qualsiasi regola venga ignorata sistematicamente. La soluzione del problema è quindi a monte: nel tentativo di non dare la possibilità a un drogato o a un ubriaco di mettersi impunemente al volante.
(3 febbraio 2009)

domenica 1 febbraio 2009

google bug

dal corriere online

Google in tilt per 40 minuti
ricerche e news fuori uso

Il motore più usato dava ogni risultato come potenzialmente dannoso. Allarme in tutta la rete. Mountain View: "Un errore umano" di MAURO MUNAFO'


Google in tilt per 40 minuti ricerche e news fuori uso
ROMA - Google, il motore più utilizzato al mondo, è rimasto fuori uso per circa 40 minuti, mettendo in allarme la rete. Tentando di eseguire una qualunque ricerca sul sito di Mountain View, sia in Italia che negli altri paesi, ogni risultato veniva indicato come potenzialmente dannoso e, se si decideva di proseguire comunque, l'utente veniva indirizzato a una pagina che lo invitava a riprovare più tardi perché il sito poteva presentare del malware, cioè dei software dannosi per il computer. Problemi ci sono stati anche per il sito delle news.

L'errore. Per impedire l'accesso a siti "sospetti", Google adotta da anni un sistema di diagnostica che avverte gli utenti sui possibili rischi che corrono navigando in questi spazi web. Oltre ad avvertire il navigatore, il motore di ricerca blocca l'accesso diretto al sito, costringendo chi sia proprio convinto della sua scelta a scrivere direttamente sulla barra di navigazione del browser l'Url del sito in questione. Nei 40 minuti di problemi, che verranno ricordati come i peggiori nella pur breve storia del motore di Mountain View, ogni pagina web è stata erroneamente considerata infetta, rendendola di fatto irraggiungibile da Google.

Di più, le spiegazioni offerte dal motore di ricerca sulla pagina di diagnostica (http://www.stopbadware.org/), a causa della contemporanea richiesta di milioni di utenti da tutto il mondo, sono andate fuori uso, lasciando nel dubbio sul da farsi tutti coloro che hanno eseguito una query.

Le cause. Dopo alcune ore di silenzio, il motore di ricerca ha spiegato, con un post sul blog ufficiale firmato dalla vice presidente Marissa Mayer (http://googleblog.blogspot.com/2009/01/this-site-may-harm-your-computer-on.html), le cause del bug. Nessun problema con gli algoritmi, bensì un semplice errore umano. Il motore di ricerca lavora infatti insieme a un ente no-profit, il già citato stopbadware, i cui dipendenti compilano delle lunghe liste di siti pericolosi, in base alle segnalazioni di varie fonti. L'ultimo aggiornamento di questa lista, ricevuto in mattinata (nel pomeriggio in Italia), non è stato correttamente processato e ha portato il motore a considerare tutti i siti come potenzialmente pericolosi, invece di limitarsi a quelli segnalati da stopbadware. Il momentaneo "guasto" che ha investito il motore di ricerca non ha interessato i tanti altri servizi del sito come Gmail o i Gruppi. Le News erano invece già state al centro di alcune segnalazioni da parte di utenti americani nei giorni scorsi, che lamentavano difficoltà nell'accesso, e prontamente sistemate.

La rete. In pochi secondi la notizia ha fatto il giro del mondo e sul servizio di microblogging Twitter, (http://search.twitter.com/search?q=google) centinaia di utenti hanno segnalato lo stesso problema da ogni parte del pianeta. Adesso che il problema è stato risolto si attendono le spiegazioni ufficiali dal Googleplex e già iniziano i processi a "Big G", per la prima volta mostratasi debole nel suo core business.