sabato 31 ottobre 2009

LEONARDO, LA GIOCONDA E LE ESPRESSIONI DINAMICHE


Un mistero secolare: è quello del sorriso della Gioconda. Svelato ieri da due studiosi spagnoli: i cambi di espressione della figura dipendono dagli occhi di chi guarda. La retina reagisce in modo diverso, cambiando la percezione del dipinto, in base alla distanza da esso. Un caso? Forse no: nei suoi diari, Leonardo aveva scritto di studiare le espressioni dinamiche.

venerdì 30 ottobre 2009

HAPPY HALLOWEEN

IL GARANTISMO ALLE VONGOLE DEL COMMISSARIO DAVANZONI

da Dagospia, er mejo sito che ci sia

IL DOPPIO PESO DEL COMMISSARIO DAVANZONI

Nella necessità di dover dimostrare che il colpevole del caso M'Arrazzo è il Banana, il capo della Buoncostume di Largo Godetti riesce a scrivere che per il governatore del Lazio "non aver denunciato il ricatto è stata una leggerezza". Il commissario Davanzoni si dimette così da poliziotto, derubricando a semplice "leggerezza" l'aspetto più grave di tutta la vicenda (Repubblica, p.1).

Ma tanto garantismo alle vongole dura solo pochi secondi, giusto il tempo di tornare a Papi Silvio. Davanzoni riversa due paginoni (12-13) di illeggibile prosa borbonica per arrivare al punto che gli preme: Alfonso Signorini, Marina e Silvio Berlusconi, Maurizio Costa andrebbero indagati per ricettazione. Dai consigli per gli acquisti ai consigli per gli avvisi. Di garanzia.

sabato 17 ottobre 2009

IL FUMETTO DI MICHEAL JACKSON


Jacko autore di un fumetto
Completò i testi poco prima di morire
Uscirà a giugno «Fated», storia di un divo del pop tra solitudine e superpoteri

Michael Jackson ha scritto un fumetto negli ultimi anni della sua vita. Si intitola Fated e sarà pubblicato il prossimo giugno, a un anno dalla morte del cantante, in contemporanea mondiale. Ad annunciarlo dalla fiera del libro di Francoforte è l'americana Random House, la più grande casa editrice in lingua inglese del mondo, che proprio alla Buchmesse sta trattando la cessione dei diritti internazionali.

GIORNALISMI A CONFRONTO: IL PARERE DI ALDO


Brachino e Capuozzo giornalismi diversi
Un toccante servizio sulla vi­ta dei nostri soldati in Afghanistan, e il pedinamento di Mesiano

Due modi diversi di fare informazione, su Canale 5. Mercoledì sera (ore 23.30) il settimanale del Tg5 «Terra!» a cura di Toni Capuozzo e Sandro Provvi­sionato ha proposto un toccante servizio sulla vi­ta di tutti i giorni dei nostri soldati che si trovano in missione in Afghanistan, a un mese dall’attentato avvenuto il 17 settembre e costato la vita a sei connazionali e a 24 civili.

CAPUOZZO - Da Kabul, Toni Capuozzo (il nostro giornalista preferito) e Anna Migotto hanno raccontato in maniera mirabile, senza retori­ca e sentimentalismi, la vita dei nostri soldati, sempre sospesa tra la tensione delle lunghe ore di missione, scandite dai turni di pattuglia diurni e notturni, e il ca­meratismo dei pochi momenti di tempo libero. Sono state propo­ste interviste ai militari, a gente del posto le cui famiglie sono sta­te straziate dalle bombe dei tale­bani; abbiamo visto le immagini del più scalcagnato golf del mon­do e di un altrettanto malandato zoo. Abbiamo provato soprattut­to commozione nel ripercorrere tante storie che testimoniano la drammaticità della guerra. Ca­puozzo ha così concluso il lungo reportage: «Ciò che conta è aver fatto il tuo dovere e il ricordo di chi non torna, piaccia o meno al Times di Londra».

BRACHINO - Mercoledì verso le 10, nel cor­so di «Mattino cinque», Claudio Brachino aveva lanciato un servi­zio sul giudice civile milanese, Raimondo Mesiano, quello della sentenza a sfavore della Finin­vest. Il filmato di Annalisa Spino­so voleva mostrare le stravagan­ze comportamentali del magistra­to (che poi si risolvono in un camminata davanti a un negozio di barbiere) e si è concluso con un’osservazione sul colore dei calzini. Grande giornalismo d’inchiesta! Intanto, in studio, Claudio Brachino commentava le immagini con alcune capriole dialettiche tra le presunte stra­vaganze del giudice e la sua promozione a opera del Csm.

venerdì 16 ottobre 2009

IL LENTO DECLINO DELL'EMAIL


L'email non è più la regina della rete (almeno per i giovani)
Scritto da: Marco Pratellesi alle 12:45
Tags: email, Facebook, Google, Google Wave, Jessica E. Vascellaro, Nielsen, Twitter, Wall Street Journal

Noi abbiamo i quotidiani della mattina e i tg della sera. Ma non siamo più la stessa società in cui questi formidabili strumenti di informazione si sono imposti. Perfino l’email, fino ad oggi ritenuta la regina incontrastata della rete, e quindi del Nuovo Mondo, potrebbe presto cedere il primato ad altre forme di comunicazione: Twitter, Facebook, Google Wave in primis.

Certo è ancora presto per decretare la morte dell’email. Ma i dati Nielsen di agosto attestano una inversione di tendenza: 276,9 milioni di persone hanno usato la posta elettronica negli Usa, in Europa, Australia e Brasile facendo registrare un incremento del 21% rispetto all’agosto del 2008. Nella stesso periodo il numero di quanti hanno comunicato tramite i social network e i sistemi di microblogging è decollato del 31% raggiungendo la rispettabile quota di 301,5 milioni di utenti.

martedì 13 ottobre 2009

L'ULTIMO MICHAEL


"This is it", Michael Jackson inedito
ma quanti dubbi sull'ultimo brano
di GINO CASTALDO

"This is it", Michael Jackson inedito ma quanti dubbi sull'ultimo brano

Michael Jackson
IL PEZZO inizia con una frase che suona particolarmente beffarda: "This is it, here I stand, I'm the ligh of the world, I feel grand", languido, romantico e dolcemente proiettato verso virtù cosmiche e salvifiche. "Sono la luce del mondo" canta Jackson, e alla luce di quello che è successo negli ultimi mesi sembra un agrodolce testamento. Ma come sempre, quando si parla di Michael Jackson, c'è lo splendore scintillante della fiaba, ma allo stesso tempo manca la più elementare chiarezza.

Invano cercherete notizie su questo pezzo inedito. A che punto era il pezzo quando Jackson è morto? Quando sono state inserite le voci dei fratelli che accompagnano discrete la voce di Michael? E' ovvio che dietro tutta l'operazione c'è il gruppo (avvocati, controllori e famiglia) che sta gestendo la complessa eredità, e non sempre si potrebbe giurare sulle cristalline intenzioni dei congiunti.

Viene da chiedersi, ma nessuno vorrà chiarire, cosa aveva intenzione di farne Michael Jackson e, se fosse dipeso da lui, avrebbe o meno inserito i cori dei fratelli. Il dubbio è sull'operazione postuma, e sulla disinvoltura che la famiglia mostra frequentemente sulle questioni legate all'eredità del povero Michael.

This is it, come è noto, era il titolo dei cinquanta show previsti, e ovviamente esauriti da tempo, che Jackson avrebbe dovuto effettuare alla 02 Arena di Londra a partire dal 13 luglio, uno slogan per segnare un clamoroso ritorno, ora diventato il titolo di un corposo pacchetto previsto in uscita a fine mese: doppio cd, in parte compilation, in parte arricchito da inediti e curiosità, e soprattutto il film realizzato col materiale girato allo Staples center di Los Angeles mentre Jacko provava gli show di luglio.

Tra un dubbio e l'altro i fan potranno consolarsi con quello che, al di là dei discutibili interventi produttivi a posteriori, è comunque il primo vero nuovo pezzo di Michael Jackson da molti anni a questa parte.

sabato 10 ottobre 2009

CROLLA LA PUBBLICITA' SULLA CARTA STAMPATA


da "Dagospia", er mejo sito, ecc.
TEMPI NERI PER LA CARTA – LA PUBBLICITÀ NELLA STAMPA È IN PICCHIATA (-24%) - I DATI DELL'OSSERVATORIO FCP SUGLI INVESTIMENTI NEI PRIMI OTTO MESI DEL 2009: QUOTIDIANI (-20%), FREE PRESS (-28%) – PER I PERIODICI SI REGISTRA UNA FRENATA GENERALE: QUOTIDIANI (-20%), SETTIMANALI (-30%), MENSILI (-32%)…

venerdì 9 ottobre 2009

CHRISTMAS DYLAN


Gino Castaldo per "la Repubblica"

Ci crediate o meno, "Christmas in the heart", l´annunciato disco natalizio di Bob Dylan (e già la notizia aveva creato un certo stupore) è proprio un disco di Natale, a tutti gli effetti. Inizia con un sentore di slitte e campanellini e un annuncio inequivocabile: Here comes Santa Claus. E succede davvero: un Dylan quasi disneyano, con coretti anni cinquanta e chitarrine country. Se non ci fosse la sua voce potrebbe essere un disco di Ray Conniff o di un gruppo di avvinazzati cowboy da balera.

Il sospetto che sotto ci sia un´intenzione ai limiti del comico è inevitabile, soprattutto in un pezzo come "Must be Santa", cavalcata grottesca che potrebbe essere presa da un musical tipo Sette spose per sette fratelli.

Mai sentito un Dylan di questo genere, riscattato di tanto in tanto da pezzi come "The christmas blues", dove sui sempiterni temi del natale si esercita la sovranità delle note blues. Ma ci sono anche "The little drummer boy", "Have yourself a merry little christmas", ovvero i pezzi che troverete in ogni buon album natalizio degno di questo nome, e c´è perfino Adeste fideles, metà in latino metà in inglese.

Una follia, segnata però dall´inequivocabile stile vocale del Maestro, in questo caso particolarmente roco, stracciato, irridente, ironico, a contrasto con il buonismo programmatico del disco che sembra inciso a volte in un saloon, a volte in una piccola chiesa pentecostale di provincia (in "Little town of Betlehem" c´è una preghiera con tanto di Amen finale), o in uno studio di registrazione vintage. Cosa c´è dietro? La sua voglia di stupire alla veneranda età di 68 anni, e nessun interesse economico, visto che i proventi del disco verranno devoluti al Programma Alimentare delle Nazioni Unite.

sabato 3 ottobre 2009

ARRIVANO I TABLET


2010, l'anno dei tablet
fra giganti è già scontro
Microsoft e Apple (ma anche Toshiba) si muovono per conquistare il mercato dei nuovi personal computer. I prototipi hanno tutte le funzionalità di un portatile, con molte novità nell'interazione con l'utente
di ERNESTO ASSANTE

2010, l'anno dei tablet fra giganti è già scontro
IL 2010 sarà l'anno dei "tablet pc". Lo dicono in molti, soprattutto perché a muoversi con grande vivacità in questo campo, fino ad oggi poco esplorato, del personal computing, ci sono due colossi come Microsoft e Apple. La battaglia tra Redmond e Cupertino sul fronte del tablet non è ancora arrivata allo scoperto ma sotto la cenere cova un interessantissimo "fuoco".

A muoversi per prima è stata Microsoft, che ha prodotto un prototipo del nuovo prodotto, chiamato Courier, del quale circolano in rete moltissime immagini. Si tratta di un tablet di nuova concezione, più vicino, nella forma, agli e-reader come quello della Sony o il Kindle di Amazon, con la forma di un libro. Ma a differenza degli e-reader, il Courier ha tutte le funzionalità di un vero pc portatile, con molte novità nell'interazione con l'utente tratte dal sistema di Microsoft Surface.

Ma le novità non finiscono qui, perché Courier offre anche due schermi da circa 7 pollici, che dialogano tra loro, e un'interfaccia che mescola multitouch e gestione con una penna. Sul retro del tablet c'è poi una camera digitale, che dovrebbe avere tre megapixel, zoom e flash. Del resto il concetto di Tablet Pc è nato proprio in casa Microsoft, che anni orsono ha stilato le specifiche che un computer deve rispettare per poter essere chiamato Tablet PC, ed ha anche prodotto prima una versione speciale di Windows XP, detta Tablet PC Edition, e poi offerto il supporto ai tablet in alcune versioni di Vista. Anche Windows 7 integra, con nuove funzionalità, la gestione dei Tablet Pc.

Che anche la Apple sia in movimento su questo fronte lo si dice da tempo, ma che l'accelerazione sia notevole in queste settimane è diventato evidente giusto ieri, quando l'azienda di Steve Jobs ha annunciato il ritorno in casa Apple, di Michael Tchao, che è stato uno degli sviluppatori di Newton, il primo Pda della storia. Tchao torna alla Apple dopo aver lavorato per il TechLab di Nike, disegnando prodotti integrati con iPod. Secondo il New York Times, il nuovo ruolo di Tchao sarebbe di responsabile marketing per un tablet touchscreen da 10" con tecnologia 3G integrata che Apple starebbe preparando e che dovrebbe arrivare entro il 2010.
Click here to find out more!

Nel grande scontro si inserisce, nel frattempo, anche la Toshiba, che si appresta a introdurre un tablet multimediale chiamato JournE Touch, con uno schermo touch screen da 7 pollici.

venerdì 2 ottobre 2009

MICA SEMPRE TUTTA COLPA DI SILVIO


ROSSO RAI, AZZURRO MEDIASET - LA TV PUBBLICA PERDERÀ 600 MLN DA QUI AL 2012, IL BISCIONE INVECE CRESCE – TUTTA COLPA DI SILVIO? A V.LE MAZZINI 8 MILA DIPENDENTI IN PIÙ - E QUANTO PESANO LE INFORNATE DI DIRETTORI E VICE DI NOMINA POLITICA (CHE RESTANO TALI ANCHE AD INCARICO SCADUTO)?...

Sergio Rizzo per il "Corriere della Sera"

Masi profetizza, con un buco di 210 milioni di euro nel prossimo anno e una voragine di 600 milioni da qui al 2012, bisogna tornare indietro di quindici anni. Silvio Berlusconi aveva già vinto le sue prime elezioni quando, nella primavera del 1994, la Rai «dei professori», allora presieduta da Claudio Demattè, archiviò il bilancio 1994 con una perdita di 479 miliardi di lire. Dopo un decennio di follie, durante il quale la tivù di Stato si era dissanguata nella concorrenza alle reti televisive del premier in pectore, era stato toccato il fondo.
CARLO FRECCERO - copyright Pizzi

Da quel punto, insomma, si poteva soltanto risalire. A differenza di quello che sta accadendo ora. Perché all'inizio degli anni Novanta la situazione disastrosa dei conti aziendali era la conseguenza di un indebitamento allucinante, che costringeva la Rai a pagare centinaia di miliardi di lire di interessi. Ora, invece, la tivù di Stato ha 956 milioni di euro di debiti: ma in gran parte, come tutte le imprese soprattutto pubbliche, nei riguardi dei fornitori. L'esposizione con le banche è pressoché inesistente. Mentre, fatto ben più preoccupante, non c'è altra azienda pubblica, a parte forse la Tirrenia di navigazione, che debba fare i conti con problemi strutturali tanto pesanti.
Silvio Berlusconi - copyright Pizzi

Il calo della pubblicità, per esempio. Quest'anno la flessione netta degli introiti dovrebbe aggirarsi intorno ai 140 milioni, dopo i 40 già perduti nel 2008. Si dirà che con i tempi che corrono soffre tutto il settore. Anche il principale concorrente: Mediaset. Intanto però, se è vero che gli incassi pubblicitari del gruppo che fa capo al presidente del Consiglio sono rimasti nel 2008 pressoché stabili (a un livello quasi triplo rispetto a quelli della Rai, 2.881 milioni contro 1.187), il fatturato ha continuato a crescere. I ricavi consolidati di Mediaset hanno toccato 4.251,8 milioni, con un aumento del 4,2%, raggiungendo un livello superiore del 32% a quello della Rai: un miliardo tondo in più.
MARINA BERLUSCONI

Va detto che questa cifra comprende le attività non indifferenti della controllata spagnola Telecinco. Ma anche limitandosi al perimetro italiano, tuttavia, Mediaset ha sorpassato la Rai: 3.271 milioni contro 3.210.

È la prima volta che accade. Ma non poteva essere diversamente in un anno, il 2008, nel quale il fatturato Rai è sceso dello 0,7% e quello di Mediaset Italia è al contrario lievitato del 9%. Merito degli incassi della pay tv, opzione strategica alla quale la Rai ha sostanzialmente rinunciato. Mettendosi così nelle assurde condizioni di una tivù commerciale, con azionista pubblico, che ha scelto di stare fuori del mercato.

Né va meglio con il canone, che rappresenta più del 50% dei ricavi Rai. Tanto più che ora alcuni giornali vicini al centrodestra e strutture dell'attuale maggioranza di governo (i Circoli della libertà) che controlla due canali su tre e il consiglio di amministrazione hanno lanciato una singolare campagna di boicottaggio.
Gabanelli

Pagano 15.939.000 famiglie, più o meno le stesse del 1993, quando i contribuenti erano 15.700.000. Non pagano, pur essendo stati già messi a ruolo, 737 mila. Ma il tasso di evasione presunto è ben superiore: 28%. Resta il fatto che con l'attuale struttura aziendale il canone non riesce nemmeno a fornire le risorse necessarie alle attività di «servizio pubblico». Il bilancio 2007 di queste attività ha chiuso in perdita per 260 milioni di euro.

Se poi si aggiunge la decisione voluta fortemente da Masi, di recedere dal contratto che legava Sky a Raisat, la società presieduta da Carlo Freccero (nella quale ha una partecipazione del 5% anche Rcs MediaGroup, editrice del Corriere ), il quadro si fa ancora più complesso.
MAURO MASI SUSANNA SMITH

Secondo Masi la decisione di abbandonare la piattaforma satellitare di Rupert Murdoch eviterà una emorragia ulteriore di ricavi pubblicitari. Nel frattempo, però, la Rai rinuncia da fine luglio agli oltre 50 milioni annui che Sky le versava come corrispettivo: cifra tra l'altro destinata a crescere, per una clausola contrattuale, con l'aumento degli abbonati alla tivù satellitare del magnate australiano.

Nel 2008 l'introito è stato di 55,2 milioni, contro i 53,3 del 2007. Ed è difficile sostenere che ciò non abbia una conseguenza immediata sui conti del 2009, che chiuderanno, ha detto Masi, con una perdita di 50 milioni. Per quanto riguarda il futuro, si vedrà. Si vedrà soprattutto se e come funzionerà la nuova piattaforma nata nell'estate del 2008, e battezzata Tivù, nella quale non a caso la Rai è in società con Mediaset, e di cui Telecom Italia ha una quota minoritaria.

Tutto questo mentre la televisione pubblica è costretta a coprire i grandi eventi sportivi, dal costo sempre più insostenibile: l'anno scorso Europei di calcio e Olimpiadi hanno fatto schizzare all'insù di 145,6 milioni i costi operativi. Una mazzata, non compensata dalla pubblicità. Per non dire degli stipendi.

La differenza fra Rai e Mediaset è tutta qui. Con fatturati italiani e audience paragonabili, le due aziende hanno una differenza enorme: il numero di buste paga. Compresi i lavoratori a tempo determinato, la Rai paga 13.236 dipendenti, spendendo un miliardo e 9 milioni di euro. Mediaset «Italia», invece, nel 2008 ne ha retribuiti mediamente 5.122. Ossia 8.114 in meno.

Il peso economico di questo macigno si sente, eccome. Il costo del lavoro in Rai supera di 580 milioni quello di Mediaset Italia. In larga misura una tassa che l'azienda paga ai partiti: i suoi veri azionisti. E non soltanto, come si potrebbe pensare, con riguardo alla categoria più esposta alla politica, cioè i giornalisti. Vero è che sono più di 2.000, se si calcolano anche i 347 precari. Sono 347, più o meno quanti sono tutti i giornalisti di Mediaset Italia, 378.

Oppure, quanti sono tutti i giornalisti Rai con qualifica di dirigente: 330 fra direttori, vicedirettori e capiredattori. Ogni cinque cronisti assunti in pianta stabile (1.659) c'è un generale. Naturalmente, non si può non sottolineare che fra l'offerta informativa della Rai e quella di Mediaset c'è un abisso, e che la tivù di Stato mantiene affollatissime redazioni regionali. Ma 2.006 giornalisti non sono uno scherzo. Come non lo sono 8.134 impiegati, due volte e mezzo quelli del concorrente privato.

Alla Rai ci sono perfino 12 medici ambulatoriali dipendenti dell'azienda. Il numero dei dirigenti, invece, è identico: 347. E questo potrebbe spiegare perché il costo pro capite del lavoro sia più alto a Mediaset: 83.795 euro contro 76.276 euro.

Se non ci fosse il fardello supplementare di qualche migliaio di dipendenti, non c'è dubbio che la musica del conto economico Rai sarebbe un'altra. Basta un'occhiata alle cifre. In un anno di difficoltà come il 2008 il bilancio Mediaset Italia ha chiuso in utile per 378 milioni (459 milioni i profitti di tutto il gruppo), mentre i conti della Rai erano in perdita per 7 milioni. La differenza aritmetica non corrisponde ai 580 milioni di maggior costo del lavoro anche perché Mediaset, a differenza della Rai, paga non trascurabili interessi alle banche: fra i creditori c'è pure, per 310 milioni, Mediobanca, partecipata da Fininvest e nel cui consiglio siede il consigliere di Mediaset Marina Berlusconi.

Secondo una stima della stessa Mediobanca il principale gruppo televisivo privato archivierà il 2009 in Italia con 259 milioni di utili, che saliranno a 299 nel 2010, quando anche la ripresa del titolo si dovrebbe essere consolidata. Mentre i conti dalla Rai sarebbero in rosso profondo.

Come arginare questa situazione? Sforbiciando qua e là. Ma talvolta con interventi che lasciano decisamente perplessi sulle motivazioni economiche. Come nel caso della tutela legale alla trasmissione «Report» di Milena Gabanelli, indicata da qualcuno nel centrodestra (il presidente della commissione Trasporti e Comunicazioni della Camera Mario Valducci) fra quelle «ostili» alla maggioranza di governo.

Masi ha insistito fino all'ultimo per eliminarla, portando come giustificazione i costi delle cause di risarcimento a cui l'azienda sarebbe esposta. Sapete quanto è accantonato a fondo rischi per tutte le cause legali intentate nei confronti di viale Mazzini, compreso anche il contenzioso civile a carico di «Report» diventato ormai la pietra dello scandalo, e comprese anche le controversie contrattuali? Settanta milioni. Contro i 62,7 milioni messi da parte nel bilancio di Mediaset: che a questa somma doveva però aggiungere 76,8 milioni proprio per i rischi contrattuali.

Cifre sicuramente importanti, anche se va precisato che l'accantonamento non equivale affatto a un costo. Spesso, anzi, è addirittura un risparmio. Quanto costeranno invece le inutili infornate di direttori e vicedirettori di reti e testate decise solo per motivi di lottizzazione politica?

giovedì 1 ottobre 2009

LONDRA CENSURA ARAKI 4 BISAZZA



Lo spot suggerirebbe una violenza sessuale. E Londra «censura» la nuova campagna pubblicitaria dei mosaici Bisazza, firmata da Nobuyoshi Araki. Secondo l’authority britannica, che ha imposto il bando in tutto il Regno Unito, mostrando l’immagine di una geisha legata da una corda, lo spot dell'azienda vicentina suggerisce che un qualche tipo di violenza sessuale «è avvenuta o sta per accadere».

Lo spot Bisazza, realizzato dal noto fotografo giapponese Nobuyoshi Araki, era stato pubblicato su svariate riviste britanniche di arredamento ed aveva attratto sei lamentele ufficiali. L’Advertising Standards Authority si è schierata
Un'altra foto della campagna
Un'altra foto della campagna
dalla parte del pubblico ed ha concluso che la geisha, legata seguendo una disciplina del bondage giapponese chiamata kinbaku, «veniva mostrata in una posa sottomessa, era visibilmente turbata e veniva mostrata con il kimono alzato per rivelare la coscia». Bisazza si è difesa dicendo che le immagini della geisha erano «artistiche» e che non contenevano «nudità, allusioni, ferite o scene di perversione eccessiva», ma non potrà ripubblicare lo spot nel territorio di Sua Maestà britannica.