venerdì 6 maggio 2011

CINA: VERSO IL CONTROLLO TELEMATICO TOTALE

Istituiti nuovi controlli
su Internet mentre la tv
vieta i film di spionaggio e crimine

ILARIA MARIA SALA
HONG KONG
Istituzione di un nuovo ufficio per coordinare i controlli di Internet, proibizione di teletrasmettere film che includono immaginari viaggi nel tempo, ma anche quelli di spionaggio e di crimine, e l’ex ministro della Pubblica Sicurezza, Zhou Yongkang, membro del Politburo del partito comunista cinese, che propone un database nazionale che assembli tutte le informazioni di ogni individuo, per meglio «amministrare la società». Di questi tempi, in Cina, proibizioni e controlli sembrano andare particolarmente di moda.

Per quanto riguarda Internet, l’annuncio dato mercoledì non è dei più chiari: viene notificato che è stato affidato ad una nuova agenzia centralizzata il compito di regolare in tutta la sua interezza quanto avviene sul Web nel Paese, ma non specifica se questa nuova agenzia, che si chiamerà Ufficio statale per le informazioni su Internet, sostituirà i vasti apparati di controllo della Rete già esistenti. E’ stato però specificato, in un comunicato, che il nuovo Ufficio «dirigerà lo sviluppo delle industrie online di videogiochi, pubblicazione e video», e si occuperà anche della diffusione della propaganda governativa su Internet — nonché avere il compito di «investigare e punire i siti Web che violano le leggi e i regolamenti». Inoltre, sarà incaricato di supervisionare gli Internet provider per «migliorare l’amministrazione della registrazione dei nomi di dominio, la distribuzione di indirizzi IP, la registrazione di siti Web e dell’accesso a Internet». Insomma, controllerà tutto.

Appena tre giorni prima la rivista teorica del Partito comunista cinese, «Qiushi», o «Ricerca della verità», ha pubblicato un articolo scritto da Zhou Yongkang, l’ex-ministro della Pubblica Sicurezza ed attuale membro del Politburo, dove viene avanzata la proposta di costruire una database dove ognuno dei 1,34 miliardi di cinesi siano schedati in modo completo, creando una sorta di supercarta d’identità in cui sarebbero anche registrati i dati riguardanti il livello di istruzione, il curriculum lavorativo e quello fiscale. A queste informazioni andrebbe aggiunto anche il luogo di residenza delle persone, gli eventuali immobili e autoveicoli posseduti, e la storia medica di ognuno. Questo, scrive Zhou, aiuterebbe i comitati di quartiere a imporre la «stabilità sociale», e sarebbe dunque un fattore supplementare alla ricerca di quella che è oggi chiamata «l’amministrazione della società» (per utilizzare il termine favorito dalle autorità, che non amano parlare esplicitamente di «controllo»).

E se in questa atmosfera di controlli, istituiti e auspicati, un cittadino decidesse di staccare per un momento e rilassarsi guardando la televisione, la sua possibilità di scelta tra gli intrattenimenti disponibili è un po’ più ristretta di prima: nelle ultime settimane infatti sono stati tolti dai palinsesti televisivi diverse programmazioni che, pure, godevano di un certo riscontro fra il pubblico.

Dunque, in un comunicato pubblicato dall’Amministrazione statale per la radio, i film e la televisione, viene annunciato che i telefilm non possono presentare: «Temi di fantasia, viaggi nel tempo, storie mitologiche compilate in maniera casuale, trame strane o tecniche assurde, né propagare superstizioni feudali, fatalismo, reincarnazione, lezioni morali ambigue, e una mancanza di pensiero positivo». Gli spettatori cinesi non sono del tutto nuovi a questo tipo di proibizioni, dato che da anni c’è la regola che proibisce la produzione di storie di fantasmi e vampiri in Cina (per quanto ogni tanto qualcuno che riesca ad aggirare la legge si trova), ma l’annuncio copre stavolta un’area molto più ampia.

Come se non bastasse, negli ultimi giorni da qualcuno è stato stabilito che anche così, la televisione avrebbe potuto mostrare più del necessario, ed ecco dunque arrivare nuove proibizioni contro i telefilm, stavolta quelli che hanno per argomenti spionaggio o criminalità. La proibizione sembra essere temporanea ma di effetto immediata: da ora alla fine di luglio, infatti, le televisioni hanno dovuto modificare i palinsesti per eliminare ogni tipo di proiezione che avesse questi temi, considerati non sufficientemente edificanti dalle autorità.
© photo Giovanni Caviezel 4 Dollswhip

mercoledì 4 maggio 2011

ATTENZIONE: VIRUS IN CIRCOLAZIONE


Bin Laden e un nuovo virus che colpisce via Facebook
di Federico Cella
Il video e le immagini dell'uccisione di Bin Laden: al momento sono i contenuti più desiderati dal popolo del Web, e non solo s'intende. Dunque la trappola migliore per chi vuole diffondere nuovi virus informatici e cercare di fare un po' di "clickjacking" finalizzato al furto di dati sensibili. Ecco quindi che le bacheche di Facebook di tutto il mondo 
- anche la vostra, probabilmente - si stanno riempiendo di messaggi di condivisione di un link che recita "Il video dell'esecuzione di Bin Laden" con un sommario che rafforza la voglia di cliccare: "Guarda cosa fanno questi soldati a Osama". Ovviamente, ma lo diciamo chiaramente, il link non è da cliccare perché è un modo assai elaborato per inoculare un virus nel vostro pc.

Come spiega bene il blog di Catepol - che cita come fonte Mashable, ottimo condensato di tutto quanto fa malware legato all'esecuzione del ricercato n. 1 -, bisogna invece segnalare il messaggio come spam. Perché se invece si entra nella pagina in questione - non  cliccate, ho messo il link per completezza - ci si trova di fronte a un codice da incollare nella barra del proprio browser. Azione anche questa da non compiere, altrimenti il link viene inviato a tutti i propri contatti e si diventa fan di quella pagina. E il malware diventa ancora più virale.

AUDITEL REGISTRERA' ANCHE GLI ASCOLTI "DIFFERITI"

Piccola rivoluzione in tv e grande cambiamento per Sky: d’ora in poi Auditel pubblicherà gli ascolti ‘differiti’ (“Time Shifted Viewing” ), quelli che consentono di calcolare chi vede, non in diretta, un programma registrato. Crescono  tutti: Rai, Mediaset, La7 ma gli effetti più immediati si vedono già per chi guarda il piccolo schermo attraverso il decoder ‘MySky’.
Il risultato pratico – stando ai numeri indicativi diffusi in workshop a Milano dalla televisione in abbonamento – è che i canali Sky cinema e dei serial si vedranno riconosciuti un aumento di visione in un range tra il 16 e il 20%.
In particolare – sempre precisando che questi sono solo i primi test e riscontri – prendendo a riferimento l’intero universo dei telespettatori della tv a pagamento si calcola che c’è un aumento del 3,5% medio nella rilevazione degli ascolti e fra il 16 e il 20%, appunto, fra chi usa ‘MysKy’: un milione e mezzo di famiglie per un totale di circa 4,5 milioni di persone.
Si è quindi scoperto – hanno sottolineato i manager Sky Andrea Scrosati vice presidente cinema e intrattenimento  e Andrea Mezzasalma responsabile ascolti – che in alcuni casi il numero dei telespettatori in differita ha raggiunto punte del 60% o addirittura del 100% in più (ad esempio la serie di SkyUno ‘Spartacus’). Altro aspetto definito interessante è che non sembra che – nonostante si possa passare oltre con il telecomando – la pubblicità perda significativamente numero di persone che la vedono. Il che vuol dire “che c’è una fetta di fruitori della pubblicità in tv che fino a oggi non era stata misurata”.

LA MANIA TUTTA ITALIANA DEL COMPLOTTISMO DI DEFAULT

L'INGUARIBILE MALATTIA DEL COMPLOTTO
di MARIO CALABRESI
da "La stampa"


In Italia la notizia dell’uccisione di Osama bin Laden è stata accolta da molti con scetticismo o con il pregiudizio che la notizia sia falsa, oscura o perlomeno manipolata.

Nelle lettere che riceviamo qui al giornale, nelle mail, come nelle chiacchiere che attraversano il nostro Paese emerge un vizio tutto italiano, che ci accompagna da decenni.

Ognuno di noi credo abbia avuto anche ieri la stessa esperienza: incontrare qualcuno che scuote la testa e, mentre sorride cercando complicità, dice: «Ma non è certo Osama bin Laden».

Un concetto declinato con mille variabili: ma perché dovremmo crederci? A chi fa comodo? Perché proprio adesso? Perché tutta questa fretta di gettarlo in mare? Perché non ce l’hanno fatto vedere? Il tutto poi racchiuso nella rassicurante frasetta magica: è un «giallo».

Se si prova a rispondere che quelle foto scatenerebbero la furia degli estremisti, che nessun Paese era disponibile ad accettare la salma e che si voleva evitare di creare un luogo di pellegrinaggio per fanatici e terroristi, allora si è guardati quasi con compassione. Sono così belle le teorie cospirative che ogni tentativo di spiegazione semplice e razionale viene subito respinto con disgusto.

Intendiamoci, in tutto il mondo ci sono i teorici delle cospirazioni, quelli che sostengono che l’uomo non è mai andato sulla Luna (lo sbarco sarebbe solo una sceneggiata costruita negli studios di Hollywood), che Elvis Presley è ancora vivo o che nessun aereo ha mai colpito il Pentagono l’11 settembre del 2001. Ma queste idee appartengono a minoranze antisistema, non fanno breccia in ogni strato e in ogni ambiente della società.

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama annuncia ufficialmente al mondo che i suoi militari, dopo una caccia durata quasi quindici anni, hanno individuato e ucciso Bin Laden, ma dalle nostre parti invece di discutere e dividersi se ciò sia giusto o sbagliato ci si chiede se sia vero e si pretendono le prove. Molti, a mio parere troppi, a sinistra come a destra, partono dal presupposto che il Presidente non dica la verità, o perlomeno nasconda qualcosa. Coltivare il dubbio non è un difetto, anzi una ricchezza delle democrazie, ma vivere con lo scetticismo come regola di vita rischia di essere una grande fregatura.

E stiamo parlando di Barack Obama, pensate se l’annuncio l’avesse dato George W. Bush. Si potrebbe immediatamente obiettare che proprio dalla Casa Bianca venne diffusa nel mondo la bufala delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein e ricordare come Colin Powell lo sostenne all’Onu mostrando la famosa fialetta. Dovremmo però ricordare anche il discredito che colpì Bush, Cheney e Powell quando si scoprì che non era vero, e come oggi la reputazione dei tre sia a pezzi, tanto che l’ex Presidente è forse l’unico a non essere invitato da nessuna parte a tenere lezioni e discorsi. Quei discorsi che a Bill Clinton fruttano milioni di dollari l’anno. L’America non ha mai perdonato ai suoi Presidenti il falso, basti l’esempio di Nixon e del Watergate. Negli Stati Uniti come nel resto d’Europa, ce lo hanno ricordato la Germania e la Gran Bretagna negli ultimi mesi, l’onorabilità e la reputazione sono tutto per un politico. La credibilità è l’unico patrimonio che possiede e si parte dal presupposto che sia tenuto a dire la verità, pena il licenziamento.

Da noi invece ci si contenta di non credere, di alzare le spalle o di deridere senza però presentare il conto a chi pure viene colto sul fatto. Questo accade perché la menzogna del potere è considerata una regola e il nostro rapporto con le istituzioni e con chi ci governa è totalmente rotto. In Italia è normale pensare che il capo del governo menta o manipoli le informazioni, per cui partiamo dal presupposto che tutto possa essere falso. E questo talmente ha fatto breccia dentro di noi che chi dubita di qualunque fatto lo fa a prescindere, non sente la responsabilità di cercare prove a sostegno della sua tesi, il controllo delle evidenze non lo riguarda. In questo modo però il dubbio inquina ogni cosa, mina ogni ragionamento e sfarina ogni certezza, impedendoci spesso di apprezzare e valutare serenamente gli avvenimenti.

Il tarlo italiano ha radici e motivazioni storiche, siamo il Paese di Ustica, delle bombe sui treni, del terrorismo rosso e nero, dei misteri e delle molte verità negate, e nasce certamente perché abbiamo avuto di fronte un potere opaco e sfuggente. Ma questo ha lasciato nella nostra società un modo di pensare, un vero e proprio abito mentale, che è diventato comodo e funzionale. Comodo perché divide tutto in bianco e nero e non dovendosi confrontare con le sfumature rassicura e semplifica.

Così accade di sentire, molto spesso e ad ogni livello, che non sappiamo nulla delle stragi o del terrorismo, che tutto è oscuro e coperto. Quante persone, per fare l’esempio più lampante, sostengono che non conosciamo la verità su Piazza Fontana? Sbagliano: non è così. Per la strage alla Banca dell’Agricoltura è corretto dire che non è stata fatta giustizia ma la verità storica è assodata: furono i neofascisti di Ordine Nuovo a mettere la bomba e poterono contare sulla complicità di una parte deviata degli apparati dello Stato. Ma per molti lo stereotipo e la frase fatta finiscono per essere più forti della storia e delle sue conquiste. Non vedere quello che si è ottenuto significa fare un torto a chi per anni si è battuto per ottenere la verità e lasciarsi invadere da quello scetticismo significa rinunciare a ogni partita e a ogni sfida.

Per tornare a Obama e Osama, negando a priori (ripeto: il dubbio è sano ma non il pregiudizio cieco) che questo fatto sia davvero successo ci neghiamo la possibilità di discutere e capire. Se una cosa non è accaduta perché dovremmo allora porci l’interrogativo se sia giusta o sbagliata e poi cercare di immaginarne le possibili conseguenze?

La Storia passerà avanti veloce, cambieranno gli scenari mondiali, forse ci toccherà registrare la potenza delle vendette e delle rappresaglie, ma noi non saremo stati in grado di capirle perché saremo rimasti fermi alle rassicuranti chiacchiere del bar, al sorrisetto, all’alzata di spalle.