lunedì 3 ottobre 2011
venerdì 13 febbraio 2009
il malvivente
Perseguitato sì, ma dai reati - La vera storia di Battisti - Furti d’auto, ma anche di macchine per scrivere - La “fuitina” con una tredicenne e poi le rapine - la vita del giovane Cesare prima che diventasse terrorista e assassino…
Giacomo Amadori per Panorama
Via Follette è una strada di campagna, a Sermoneta in provincia di Latina. Qui, in una casa di mattoni rossi con le tapparelle abbassate, vaga inquieto un fantasma. Nei fascicoli giudiziari resta la fotocopia della sua ultima carta d'identità: classe 1954, 168 centimetri, capelli e occhi castani, professione operaio. È lo spirito di Cesare Battisti che qui abitava prima di diventare un terrorista.

Battisti
La famiglia non ha cambiato indirizzo. Gli uomini sudano nell'officina dove preparano cartelli stradali. In questi campi sino agli anni 60 pascolavano le pecore di papà Antonio, originario del Frusinate. Poi il capofamiglia cedette il gregge e i figli cambiarono attività. Senza perdere la voglia di faticare dei Battisti, tutti orgogliosamente comunisti. Ma c'era una pecora nera in questa famiglia di pastori, il più bello e giovane di sei figli.
«Cesare era intelligente e generoso, ma pure ribelle e manesco» ricorda il fratello Vincenzo, 68 anni, pensionato. Preferiva leggere piuttosto che sgobbare e, terminata la terza media, si iscrive a un istituto privato di Latina, senza successo. Nel tempo libero corre con il go-kart dell'amico Pino, «sgasa» con il 48 della Benelli, pesca con la rete nei canali. Va a ballare al Pescheto o al ritrovo di Borgo Carso: liscio e shake.
«Pensavamo solo a divertirci e lui non parlava mai di politica» ricorda oggi Pino, 56 anni. Il primo vero reato lo commettono insieme. È il 13 marzo 1972. I verbali di polizia raccontano che a Ciampino alle 7.20 del mattino quattro persone vengono fermate dai carabinieri mentre scaricano 31 macchine per scrivere e da calcolo Olivetti da una 1.500 e da una 500, entrambe Fiat. Le auto sono rubate, come la merce, che vale circa 6 milioni, una piccola fortuna per l'epoca. Cesare, 17 anni, Pino, 19, e Pier Carlo, 30, la stanno rivendendo per 600 mila lire a un meccanico ventisettenne, il ricettatore.

«Battisti non aveva bisogno di quei soldi: i fratelli lo pagavano bene per dare una mano nell'azienda di famiglia» sostiene Pino, passato turbolento e presente senza lavoro. La vita di Battisti è sempre più adrenalinica, le ragazze non gli mancano. Scalda i muscoli nella palestra dell'estremismo politico e ogni tanto va a fare a pugni con i giovani neofascisti di Latina nei bar vicino allo stadio. Ama le auto e viene arrestato per guida senza patente. Acquista una Mini minor rossa K2 con cui sfreccia nelle strade dell'Agro pontino. A Latina frequenta una prostituta di vent'anni, Clara.
Il 1° maggio 1974, insieme con un amico, convince due ragazzine di origine calabrese (una di 16 e l'altra di 13 anni) a seguirli in treno. Arrivano sino in Sicilia. In albergo fanno l'amore. La «fuitina» dura quasi due settimane. Battisti viene denunciato per «sottrazione di minore a fini di libidine violenta su persona incapace». Poche settimane dopo lui, invece di scusarsi, aggredisce lo zio della tredicenne.
Sabato 3 agosto 1974, insieme con Claudio e Luciano, due coetanei, decide di esagerare. Viaggiano su una Giulia 1.600, «trombe potenti e carburatori rumorosissimi» informa un giornale dell'epoca. Sgommano sul lungomare di Sabaudia, si fanno notare dai vigili. Poi si calano tre calzemaglie sul volto: con una pistola calibro 7,65 e una lupara entrano nella villa di Giuseppe Cerquetti, dentista romano.

L'uomo ospita per le ferie un'amica e tre ragazzini. Due di loro sentono dei rumori ed escono in giardino impugnando una pietra e un bastone. Si trovano di fronte Battisti e compagni con le armi spianate. «Sebbene travisati erano facilmente riconoscibili» ricorda 35 anni dopo Cerquetti. «A parlare era solo Battisti e, anche se ci hanno legati e imbavagliati, onestamente non sono stati violenti». Alla fine il bottino è magro e dopo un paio d'ore i tre sono già in manette. Battisti finisce prima nel carcere di Spoleto, poi in quello romano di Rebibbia.
Il 20 febbraio 1976 esce per decorrenza dei termini della custodia preventiva. A maggio parte militare, destinazione Casale Monferrato (Alessandria). Fa di tutto per abbandonare la divisa: lamenta diversi malanni, dalle vertigini alle coliche. Un ufficiale medico lo riconosce «demente» e lo spedisce nell'ospedale pischiatrico di Torino. Alle visite successive risulta «abile e arruolato». Viene mandato al gruppo artiglieri di Udine.
All'inizio del 1977 finisce nella casa circondariale del capoluogo friulano per i suoi precedenti reati da borghese. Qui conosce Arrigo Cavallina, insegnante e aspirante rivoluzionario, futuro fondatore dei Pac, i sanguinari Proletari armati per il comunismo. Il 16 maggio per Battisti arriva la scarcerazione e viene trasferito al distretto militare di Latina.
Qui si rifiuta con altri compagni di partecipare alle esercitazioni per l'ordine pubblico. Battisti invia una lettera al nuovo amico, il terrorista Cavallina: «L'associazione a delinquere cossighiana ha pensato bene di tenere pronto l'esercito (...) il colonnello ha tenuto il suo bravo discorsetto e da qui sono cominciati i casini» scrive.
Il 1° giugno un caporalmaggiore viene picchiato da due giovani mascherati e inizialmente viene incolpato lui. È anche accusato di aver minacciato «di dare una scarpata in testa» allo stesso sottufficiale. Il 9 giugno viene arrestato e incarcerato a Forte Boccea. Alla fine viene condannato per insubordinazione.
Per alcuni mesi entra ed esce dal carcere. In quel periodo frequenta Lucia, una giovanissima studentessa di Latina, e Gianni, ventiduenne scapestrato: «Eravamo entrambi fuori di cervello» ammette oggi l'ex compagno, di professione bidello. Il 3 febbraio i due, insieme con Roberto, ventenne incensurato, prendono d'assalto l'ufficio postale di Montecchio, frazione di Sermoneta.
«Entrarono armati e mi piantarono la pistola contro la nuca» ricorda l'allora direttore Guido Mancini. «Se non sono crollato a terra per la paura è solo perché avevo le ginocchia appoggiate al muro». Il furgone portavalori non è ancora arrivato e l'assalto è un fallimento: nelle casse ci sono 297 mila lire e altre 300 mila di marche per patenti. Gianni e Roberto vengono arrestati poco dopo. Battisti riesce a fuggire. «È il più pericoloso, con sé ha la pistola e i soldi» scrive il Messaggero.
Il fuggitivo trova ospitalità a casa del compagno Cavallina, a Verona. «Se non fosse dovuto scappare, non avrebbe mai intrapreso la lotta armata» si rammarica il fratello, Vincenzo Battisti, con la sigaretta tra le dita.
Così, quasi per caso, un piccolo malvivente si fece terrorista. E ora fa il perseguitato politico.
giovedì 12 febbraio 2009
no comment
Fratellini di Basiglio: assistente sociale
e psicologi indagati per lesioni colpose
La perizia del pm: bambino traumatizzato dalle modalità dell'allontanamento dalla famiglia
MILANO - Al centro di un'inchiesta della Procura ora non c'è più solo l'origine della dolorosa vicenda dei due fratellini di Basiglio, e cioè l'allontanamento dalla famiglia operato dal Tribunale dei Minorenni sulla base dell'erroneo presupposto (in ipotesi accusatoria alimentato anche da insegnanti e preside indagate per false dichiarazioni al pm) che alcuni disegni scolastici tradissero giochi erotici. Adesso al vaglio del pm Marco Ghezzi c'è la conseguenza psicologica che sul bimbo più grande avrebbero avuto le modalità materiali dell'allontanamento. Una delle manifestazioni per i bambini di Basiglio
Fino a indurre la Procura a formulare una inusuale ipotesi di reato («lesioni colpose» ai danni del bambino) e per essa indagare due psicologi e una assistente sociale. L'indicazione «colposa » del reato suggerisce la convinzione dell'accusa che le condotte ipotizzate non siano state intenzionali, ma abbiano involontariamente arrecato sofferenza al bambino. Alla base della contestazione di «lesioni», infatti, c'è una perizia che ravvisa nel bambino un «disturbo post traumatico da stress» collegato, come nesso di causa-effetto, alle modalità di separazione dalla famiglia allorché fu eseguito il provvedimento d'urgenza del Tribunale dei Minorenni.
In quella fase, secondo l'accusa, lo psicologo (che avrebbe dovuto facilitare un passaggio per forza di cose doloroso per i bambini) avrebbe invece finito per peggiorare la situazione. Perché? Perché avrebbe detto al bambino che gli sarebbero stati cambiati i genitori; perché lo avrebbe strattonato per un braccio; e perché gli avrebbe impedito di salutare bene la sorella (leggi l'intervista al padre). Circostanze che lo psicologo, difeso dall'avvocato Laura De Rui, ha seccamente negato nell'interrogatorio: né strattonamenti né veti a un commiato soft alla sorella, e per il resto l'accusa stravolgerebbe frasi decontestualizzate da un discorso volto invece a prospettare al bambino le varie possibilità teoriche dopo l'allontanamento.
L'accusa estende poi l'ipotesi di «lesioni colpose» a un'altra psicologa e a un'assistente sociale, accusate d'aver pressato il bambino (tolto ai genitori) affinché confermasse i sospetti nati dai disegni. Le due donne, sinora senza accesso agli atti, si sono avvalse della facoltà di non rispondere. Ma l'avvocato Lucia Lucentini anticipa che sono certe di potersi dimostrare estranee a un'accusa errata, peraltro fondata allo stato sulla sola percezione del bimbo.
Luigi Ferrarella