sabato 22 dicembre 2007

il garantismo di sinistra è sempre a singhiozzo

Nicola Latorre: garantisti anche con Silvio

Il vicepresidente dei senatori del Pd: situazione ormai fuori controllo, conseguenze letali per il sistema

E' giusto indagare sul malaffare, ma sarebbe altrettanto saggio se l'intero centrosinistra condannasse le intercettazioni à la carte, che segnano la rottura del ssistema. Anche se nel tritacarne finisce «l'odiato» Cavaliere.

Sarebbe insomma l'ora di un «non ci sto» bipartisan, auspicato ieri da Fausto Bertinotti, secondo il quale andrebbe «bandito l'uso politico delle intercettazioni». Ma nell'Unione sono in pochi ad avere il coraggio di seguirlo su quel sentiero. Il tic dell'antiberlusconismo continua a far velo sul rispetto delle regole, sulla denuncia del malcostume politico nell'uso strumentale delle inchieste, sul malfunzionamento degli apparati dello Stato chiamati a vigilare, sulla tutela di quei valori scritti nella Costituzione che viene nuovamente calpestata come uno zerbino. E dunque ci vuole del coraggio a rompere lo schema, ma nell'Unione c'è chi — come Nicola Latorre — si riconosce nelle parole del presidente della Camera, «che ha interpretato in maniera efficace il pensiero di quanti in Parlamento si ribellano alle ripetute e clamorose violazioni dei più elementari diritti».

Il vice capogruppo democratico al Senato già in precedenza prese posizione, senza curarsi delle critiche di amici e compagni di partito: «La situazione — dice — è ormai fuori controllo, e c'è il rischio di conseguenze letali per il sistema ». Immagina i brusii alle spalle per aver deciso di esporsi un'altra volta, e per di più a favore del Cavaliere, e forse a qualcuno spiegherà che solo chi c'è passato può capire. Nel tritacarne, lui, ci finì ai tempi del caso Unipol. Ma non è per via di quella vicenda che adesso si domanda se «a fronte dell'inchiesta sulla Rai, ci sia un modo per denunciare il quadro inquietante dei rapporti tra potere politico e dirigenti della tv di Stato, e al contempo salvaguardare i meccanismi di garanzia». Perché questo è il tema.

Non si era mai visto, meglio, non si era mai sentita finora un'intercettazione, lanciata sui siti web e riproposta nei tiggì, oltre che pubblicata sui giornali. Non si era mai arrivati a questo punto. Il dirigente del Pd precisa che «nessuna critica si può fare ai media, sebbene i giornalisti dovrebbero fare attenzione a non diventare una buca delle lettere»: «Il problema è un altro. Non siamo più solo dinnanzi alla violazione del segreto istruttorio, ma anche alla violazione del segreto d'ufficio».

Il messaggio è rivolto «ai magistrati e alle forze di polizia» che indagano, e che «sono vincolati al rispetto delle regole»: «In questo senso, il capo dello Stato, quando ha posto il tema dell'equilibrio nei rapporti tra istituzioni, ha chiaramente richiamato tutti al senso di responsabilità ». È «il senso del limite» che si è perso, perfino l'Anm arriva a riconoscerlo stavolta. Il centrosinistra no, almeno non tutto. L'immagine della preda stordisce gran parte dei suoi dirigenti.

«Berlusconi fu invece più corretto ai tempi della scalata alla Bnl», ammette il senatore democratico Antonio Polito: «Quando furono Piero Fassino e Massimo D'Alema a finire nel tritacarne, da vero garantista tenne il punto con Forza Italia, anche nelle votazioni in Parlamento. Peraltro nelle intercettazioni stavolta finisce dentro gente che non ha nulla a che vedere con l'indagine. Vite stravolte, carriere finite. Ma non fu Walter Veltroni a ripetere per tre volte "basta odio"? Dov'è il gesto di discontinuità promesso? Però se si dicono simili cose arriva subito la fatwa dell'Unità».

Sarebbe l'ora del «non ci sto» bipartisan, ma persino l'idea del Guardasigilli di varare un decreto per arginare il fenomeno s'infrange davanti a palazzo Chigi, dove prevale la tesi che non si debba dar vita a provvedimenti «decisi d'impulso». «Ma quale "impulso"», s'infervora Polito: «Da quindici anni è un continuo, e l'escalation non conosce freno. L'unica differenza rispetto al '92 è che allora cadevano le teste di ministri, ora saltano quelle di manager. Eppoi non sappiamo se ci sono altre intercettazioni, magari che riguardano politici di diverso colore. Né sappiamo se e come verranno usate. È una cosa terribile immaginare come questo strumento formidabile possa essere usato per altri fini».

In questo clima di sospetti nel Palazzo dovrebbe aprirsi la stagione del dialogo. Un processo non facile, a meno che — come sostiene un altro parlamentare democratico, Peppino Caldarola — «non ci sia un salto morale, dove la moralità non sta nel giudicare un'intercettazione, dove il discrimine è tra chi la usa e chi neppure l'ascolta, in attesa che la giustizia faccia il suo corso »: «La verità è che in un Paese normale, il capo della procura di Roma sarebbe già salito al Quirinale per annunciare al capo dello Stato l'apertura di un'inchiesta sulla procura di Napoli, da dove sono filtrati i documenti ».

Ma stavolta c'è «l'odiato» Berlusconi nel tritacarne. «Dov'è finito il garantismo di sinistra?», si chiede Caldarola: «Dove sono gli intellettuali? Dove sono gli Umberto Eco, i Beppe Vacca, i Biagio De Giovanni, le Rita Levi Montalcini, che hanno a cuore le regole democratiche? Perché non stilano un manifesto? Basterebbe scriverci: il Cavaliere ci sta sulle palle, però alla barbarie non ci stiamo».

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