domenica 6 luglio 2008

crisi dei consumi

Così tramonta il mito
delle ferie "inviolabili"
L'abbigliamento non dà segni di ripresa: i commercianti sperano ancora nei sald
Una famiglia su due rinuncia alla cena di fine settimana in pizzeria
KLAUS DAVI
Anche dai tagli di spesa della famiglia media italiana si può ricavare un ritratto realistico della società. La nuova identità degli italiani si evince anche da come decurtano i consumi, soprattutto in un periodo come questo - quello della primavera estate - in cui di solito ogni nostra azione conchiude uno slancio d'ottimismo difficilmente riscontrabile in qualsiasi altra parte dell'anno.

Ma non c'è nulla di roseo nei dati snocciolati da Confcommercio & Co. La crisi picchia duro perché colpisce soprattutto i cosiddetti beni del tempo libero. Per esemplificare: le sacre cene al ristorante, le sane spese per lo sport, le rinfrescanti fughe cinematografiche. La mannaia inibisce soprattutto gli sfoghi dell'immaginario collettivo. Per Silvio Berlusconi, che è principalmente uomo di marketing, i dati sono preoccupanti perché colpiscono un settore - l'intrattenimento - che è stato l'ambito in cui lui aveva messo a segno la sua prima grande vittoria. Un vero e proprio Kulturkampf, partendo dal quale ha annichilito la vecchia cultura di sinistra.

Ora, dal Kampf siamo passati alla Lotta per tirare la fine del mese. L'estate dei ricchi e cafoni è al suo sbocciare, e se una volta si parlava con sgomento di autunno "caldo" ora il popolo del Belpaese guarda con timore alle (una volta) inviolabili ferie con un senso d'angoscia e d'abbandono.

I dati fanno capire che il ceto medio si avvicina pericolosamente allo stile di vita di quello che una volta si definiva "proletariato". In fondo i consumi del tempo libero (come insegnava Marcuse) sono quelli che tracciano le linee di demarcazione simbolica tra le classi sociali. Dalle statistiche capiamo dunque che i consumi hanno colpito la mobilità (quindi lo status symbol dell'auto), i libri (un classico settore anticiclico… ma questa crisi smentisce anche le teorie degli economisti). Il tessile e l'abbigliamento non danno segni di ripresa (ma questa non è certamente una novità).

Anche il rito della cena in pizzeria, conviviale coronamento dei fine settimana della middle class, è messo a dura prova, visto che una famiglia su due confessa di avervi definitivamente rinunciato.

Insomma i luoghi dell'esibizione sociale, si sono ristretti. Con conseguenze esplicite: anche chi ha un orgoglio di classe ormai non ha più paura di dichiararsi povero…

Questa crisi scardina anche il luogo comune dell'Italia tarallucci e vino, quella che sino a poco fa risolveva tutto con una "bella magnata". Tuttavia non è stato ridimensionato solo lo svago outdoor, la crisi (dati Conferenza Italiana agricoltura) si è fatta sentire soprattutto all'interno delle quattro mura. Ebbene sì, anche i sacri investimenti nel cibo sono precipitati. Per rendersi conto, solo otto anni fa l'incidenza degli acquisti alimentari sulla spesa complessiva delle famiglie italiane era più o meno del 20 per cento. Ora è scesa al 18, mentre durante i vituperati anni '70 delle crisi petrolifere era del 34!

Ricordate le filippiche di Beppe Grillo contro l'inutilità delle modaiole acque minerali? Be' i dati dicono che oggi il taglio dell'acquisto d'acque da tavola è arrivato al 22 per cento… la mancanza di grana stravince sull'ideologia del consumerismo più radicale.

La crisi colpisce trasversalmente l'intera famiglia e riguarda anche i bambini. Il dogma del mammismo vacilla di fronte ai costi proibitivi dei giochi della next generation digitale visto che il crollo dei regali per i pupi sfiora, negli ultimi anni, il 20 per cento secondo le associazioni dei produttori di giocattoli.

Anche il pater familias italico, che un tempo non si faceva mancare niente né fuori né dentro casa, deve avere proprio cambiato il suo dna se anche le associazioni delle lucciole e dei viados lamentano un crollo di clienti stimabile nel 30 per cento. Motivo che ha tristemente determinato il successo delle nigeriane e delle albanesi che si svendono anche per soli 15 euro… Un dato questo che conferma come l'allarmismo, questa volta, non sia di maniera. Eppure di fronte a tanta scontentezza non sembra che in Italia sia cambiato qualcosa nella politica dei prezzi, nelle dinamiche di servizio. Anzi, non si capisce perché, alle lamentele espresse nelle sedi istituzionali, non seguano poi politiche più competitive e aggressive come accade nel resto d'Europa.

Il turismo di massa (che dopo l'11 settembre era dato per morto) fu rilanciato dall'esplosione dei voli low cost. E chi non ricorda come, nel 2002, gli albergatori extra lusso americani decisero di abbattere tutti i prezzi per invogliare gli europei a tornare negli USA?

Ci si lamenta perché gli italiani si rifiutano di pagare 40 euro a testa per una cena in trattoria. Tuttavia lo si fa senza che nessuno faccia qualcosa per favorire i nuovi target, i nuovi poveri, come se avessero smesso di consumare, come se per il mercato non dovessero esistere: ingoiati dal gorgo del carovita

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