L'analisi di Lodovico Festa
Ora forse si può cominciare a governare, e mandare avanti Bossi
Per Veltroni spazi di dialogo sul federalismo
Il risultato che la congiura mediatico-giudiziaria di luglio sembra avere prodotto è la squallida manifestazione dei pagliacci-forcaioli di piazza Navona. Dunque, ora, si può ricominciare a governare. Naturalmente senza scordarsi che la questione giudiziaria va definitivamente chiusa con una riforma di alto profilo ( improbabile senza un appello di tipo gollista al popolo) e senza sottovalutare non tanto i pagliacci-forcaioli – difficili da prendere sul serio – ma l’ampio rancore sociale da loro rappresentato.
La situazione economico-sociale italiana e il quadro globale dei mercati restano difficili. Non saranno tempi semplicissimi quelli del governo. Servono riforme di sistema e queste senza dialogo con l’opposizione appaiono complicate. Ma non si intravede nel medio periodo una direzione del Partito democratico sufficientemente salda e quindi in grado di offrire una base, per iniziative impegnative. Dell’incapacità caratteriale di Walter Veltroni di affrontare a viso aperto le grandi questioni della politica, si è detto. Alla fine, magari, arriva a posizioni ragionevoli, ma sempre col suo stile vigliacchetto, con la copertura di mitologie che gli devono essere offerte da “tutta la stampa” nazionale, con l’eliminazione di ogni serio contrasto. Contrasti che non riesce a “reggere”: vedi le primarie e l’invito a Pierluigi Bersani a ritirarsi. Oggi non solo si ritrova nel Pd i prodiani impazziti, Arturo Parisi (grande distruttore di politica ma dall’eccezionale inventiva) che arriva a partecipare alla manifestazione dei pagliacci-forcaioli.
E Romano Prodi, con la sua solita arietta ipocrita, che fa lo spettro di Banco. Non solo deve fare i conti con i giustizialisti allevati a lungo (anche da Veltroni stesso) nel suo partito e ora aizzati da Antonio Di Pietro. Non solo ha tra i piedi Massimo D’Alema (il cui esibizionismo parapolitico ricorda sempre di più quello di Francesco Cossiga ma con tanta nobiltà, tanti vent’anni e anche tante cicatrici di meno) che continua a fare giochetti per dimostrare di essere il più “bravo del mondo” o comunque più bravo di Veltroni. Non solo ha questo scompisciato contesto nel “partito”. Ma soprattutto è stato colpito alle spalle dalla Repubblica e non ha ancora capito perché. Se perché si è legato troppo al Corriere della Sera. Perché non ha più, persa Roma, una base di potere reale e a Carlo De Benedetti i profeti non piacciono troppo armati (tipo D’Alema o anche Prodi) ma neanche ormai disarmati (tipo il Veltroni di oggi). Non capisce se c’è stata qualche partita di potere in cui gli veniva richiesta qualcosa (contro Cesare Geronzi?) e lui non l’ha fatta.
Sia quel che sia, non ha più l’appoggio di Largo Fochetti (e quindi anche dell’Unità) e questo lo fa impazzire. E rende più difficile il percorso per stabilizzare le istituzioni italiane. Adesso il presidente del Pd per non finire nel o sotto il carro delle sabineguzzanti, si è inventato il ruolo centrale della Lega: lei sì che avrebbe una vera vocazione (nazionale?). L’incapacità di fare i conti con il sistema politico per quello che si è definito, può provocare guasti. La Lega è un movimento che esprime obiettivi nella maggioranza dei casi non disprezzabili, ma per come si è formata la sua cultura politica e il suo gruppo dirigente ha spesso bisogno di semplificazioni talvolta rudi. E in questo senso, in più d’un caso, avrebbe bisogno di una interlocuzione dialettica da parte delle forze che le si considerano alternative.
E’ una sciocchezza dire che la Lega è forza di estrema destra (vedi l’esagitata Unità), di fatto ha un programma federalista compiutamente democratico: ma non rifugge da un certo estremismo che le rende più difficile esercitare sempre un ruolo centrale. E quando si assume questo compito, proprio per surrogare ad alcuni limiti, talvota eccede nelle mediazioni.
Una matura forza politica di sinistra cercherebbe gli accordi quadro con la controparte maggioritaria, senza naturalmente escludere altri interlocutori.Ma Veltroni forse non è in condizioni di assumersi questa responsabilità: anzi, atterrito dai beppegrillo si mette anche a insultare gratuitamente Gianfranco Fini.
Ben venga, dunque, un ruolo “ponte” di Umberto Bossi, una trattativa sul federalismo fiscale che fa assumere un ruolo di protagonisti ai leghisti, cui tra l’altro spetta la responsabilità ministeriale fondamentale e gestita proprio dal leader del movimento.
Nel dare il via alle danze, propiziate dalla sconfitta della congiura mediatico-giudiziaria e dal buon lavoro preparatorio di Giulio Tremonti, si devono tenere presenti alcuni elementi. Veltroni fa un po’ il ganassa – l’arrogante come si dice a Milano – e si dichiara a favore del federalismo alla lombarda, poi delega ai vari piemontesi, da Sergio Chiamparino a Mercedes Bresso, che fanno aperture differenti da quelle lombarde ma che non dispiacciono ai leghisti. Ma il centrodestra che cerca un accordo quadro deve sapere che le basi dell’accordo vanno fatte con Emilia e Toscana, ancora forzieri di voti, iscritti e soldi per il Pd, ben bene foraggiate da contributi statali che consentono pingui sistemi di welfare.
Pur affidando, poi, questa fondamentale trattativa alle mani di Bossi, quelli del Pdl non devono dimenticarsi di che cosa rappresentano sul territorio e devono prevedere incontri con alcuni dei personaggi chiave della partita: da Roberto Formigoni a Giancarlo Galan, da Gianni Alemanno a Raffaele Fitto. Per non parlare di quell’interlocutore essenziale che è l’“autonomo e popolare” Raffaele Lombardo. Certamente il tutto fatto con lo spirito sincero di aiutare il lavoro di Bossi.
Nessun commento:
Posta un commento