martedì 21 aprile 2009

impareggiabile parise

l'elegante Parise fa coriandoli della revoluciòn:
perla colta su DAGOSPIA, er mejo sito che ci sia
(gc)

A CUBA! CON FELTRINELLI E PARISE nell'anno 1967 - quando molti pensavano che Castro, Guevara e il Vietnam fossero la storia, quando invece non erano altro che cronaca - QUEL CASTRO SIMILE A UN FRATONE BAROCCO. Qualcosa tra Fellini e Mussolini...

Tratto da "Lontano" di Goffredo Parise (Adelphi) (apparso sul "Corriere della Sera il 4 marzo 1983)

Trascinato, ma consenziente, da Giangiacomo Feltrinelli e Valerio Riva, partii per Cuba nell'anno 1967, «ano de la revolución». Ci accolse, all'aeroporto, uno ma forse più, Daiquiri ghiacciati, verdognoli per quella fogliolina di menta confusa nel gelo e dappertutto la scritta enorme, quanto molto cretina, bisogna dirlo: «El revolucionario debe hacer la revolución».
FELTRINELLI e FIDEL CASTRO

Fummo alloggiati al National, molto bene, e lì e da lì cominciò la festa. C'era con noi una sorta di wagon-lit di letterati francesi, va sans dire, rivoluzionari, capeggiati da Maurice Nadeau e anche un poco da un vecchietto con una dentiera sproporzionata, alla Jerry Lewis, che solo più tardi seppi essere Michel Leiris; Rossana Rossanda immancabile e altri bei tipi di rivoluzionari.

Noi, io e Riva, si sarebbe dovuto organizzare e girare un documentario su Castro e compagnia, salvo Che Guevara che, si sapeva e non si sapeva, si aggirava in Bolivia. L'Avana era bellissima, con quel mare, e non ci si poteva esimere dal visitare la villa di Hemingway, sulla collina, abbandonata, diventata museo, con piscina vuota. La cosa che mi colpì furono le scarpe dello scrittore, poggiate su una mensola accanto ai libri ma inamovibili come i libri. Tutto era stato ricoperto di una colla trasparente che rendeva scarpe e volumi di cristallo, attaccati per sempre alle mensole come blocchi di ghiaccio.
GIANGIACOMO feltrinelli

Mi ammalai anche, con febbre altissima, per due giorni. La nutrizione in questi giorni si affidava a Feltrinelli che alla sera, tornando a casa, gettava dalla mia parte, senza guardarmi, una anguria, come si fa ai porci. Ma era già molto e ancora oggi gliene sono grato: su di essa mi gettavo nella mia sete inestinguibile, proprio come un maiale e vi grufolavo sopra fino all'ultimo pezzetto di scorza. La febbre passò e si continuò il nostro viaggio e le nostre riprese che mi nauseavano con la sola idea.

Molto più di profitto Valerio Riva che finì per girare lui il documentario per la RAI, documentario che del resto mai apparve sul televisore. Peccato, c'era un Castro che parlava, straordinario. Di lui conservo il ricordo di un fratone barocco che riuscì a tenermi sotto il giogo della sua loquela pubblica per tre ore e mezzo. Su cosa si basava il suo fascino? Niente altro che sul commento di notizie di agenzie di stampa da cui traeva i suoi intelligenti discorsi, pieni anche di humour.
Goffredo Parisi

Qualcosa tra Fellini e Mussolini. In un pranzo all'Habana Libre, ex Hilton, fu fatta girare una carta tra gli intellettuali che incitava gli stessi a prendere subito le armi, contro chi non si sa. Il più accanito era il dentuto Michel Leiris che però era anche traballante. Si trattava di firmare, cosa che tutti fecero immediatamente, Maurice Nadeau in testa, ma io mi rifiutai denunciando il tutto come una suprema connerie. Non fui redarguito.

Ma lo spettacolo indimenticabile a L'Avana mi fu offerto in una specie di officina, dove vecchi quasi centenari suonavano e anche ballavano al ritmo di afro-cubans, eseguiti da loro stessi con incredibili strumenti che potevano essere anche vecchie casseruole oltre a un pianoforte regolamentare, un contrabasso e un violino. Incredibili vecchi dall'aria molto simile a quella che ancora oggi si può trovare a New Orleans, ma chissà perché più stravaganti e più pregiati.
VALERIO RIVA conferenza

Più pregiate le musiche e le danze. O forse l'aria, quella tiepida aria serale del Caribe, color indaco, su cui cominciava lentamente a depositarsi l'umidità notturna che avrebbe bagnato le strade come una pioggia che non cadeva mai.
Il bar del porto, quello del famoso racconto The Killers di Hemingway, era tale e quale, con gli stessi specchi e le stesse bottiglie che nel racconto vanno in frantumi.

Qué más? Niente altro, un lembo di vita di parecchi anni fa quando molti pensavano, moltissimi, che Castro, Guevara con la sua povera asma bronchiale e il Vietnam fossero cose serie, fossero la storia, quando invece non erano altro che cronaca e non attendibile al cento per cento. Ma del resto quale storia raggiunge mai un tale tasso di credibilità?

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