IL SATELLITE OFFRE LA POSSIBILITÀ DI SPERIMENTARE IL NUOVO IN TV?
INTERVISTA A GIOVANNI CAVIEZEL:
Un grande punto di domanda inscrive idealmente ogni nuova stagione televisiva: vedremo finalmente una tv nuova? Ma di quale nuovo parliamo? Delle forma o delle formule? Delle aree tematiche o dei linguaggi? Del nuovo di superficie o delle modifiche (meno avvertibili, ma non meno innovative, che agiscono a livello dei sottotesti)? Di programmi nuovi o di una nuova televisione? Di una sua diversa funzione? La nostra epoca ha ancora spazio per il nuovo oppure, come ha scritto Alberto Abruzzese, "bisogna rassegnarsi ad essere originali solo nel modo di fare bricolage"?
L’attesa di un cambiamento radicale nei modelli e nella fruizione spinge nella direzione del cambiamento o dell’immobilità? Chi deve pagare i costi del nuovo? Chi deve prendersi la responsabilità del rischio? Chi si assume i costi di lancio? Programmi intramontabili dominano i palinsesti. Ma non sono i classici a fare il catalogo degli editori? (Taggi, 1997:93-94)
Ho voluto iniziare questo paragrafo con un breve passo tratto da un interessante libro di Paolo Taggi, che, nonostante sia stato scritto una decina d’anni fa, trovo ancora di grande attualità. Credo che ognuno di noi almeno una volta si sia posto questa domanda: è veramente possibile vedere ancora qualcosa di nuovo in tv?
Se poi ci fermiamo a pensare all’offerta vastissima della piattaforma Sky un’altra domanda si presenta ancora più insistente alla nostra mente : non "rischiano"
Ogni programma nuovo si misura in primo luogo con il tempo a cui appartiene. Ci sono programmi
Per le fasce orarie strategiche, i palinsesti vengono pensati con molti mesi di anticipo, a volte anche un anno; un tempo televisivamente infinito. "Un programma si costruisce su durate (di ogni singola puntata, del ciclo) rigidissime, che diventano durezza quando entrano in conflitto con improvvisi cambiamenti dello scenario sociale"
Il nuovo televisivo non può prescindere dal rinnovamento dei suoi ingredienti: strutturalmente sono elementi di transizione (fuorvianti rispetto alla formula); simbolicamente sono pezzi forti di una tradizione che si tramanda, annacquando o cancellando ogni elemento di originalità e differenziazione.
L’impossibilità del nuovo non dipende soltanto da ragioni esterne agli autori. È in gioco anche la natura sfuggente delle idee. Per questo ho deciso di intervistare un autore che da anni lavora in tv e che in prima persona ha vissuto l’evoluzione del sistema televisivo italiano degli ultimi quindici anni.
Cosa pensi della pay tv? Ritieni che in un futuro, non troppo lontano, soppianterà definitivamente la tv generalista?
Ho seri dubbi in proposito, per due motivi: il primo è che la tendenza, oggi, è quella di non pagare nulla, almeno per quanto riguarda il target più giovane. Per una cosiddetta televisione di qualità oggi a pagare sono i signori di mezza età, che hanno gusti molto precisi e poco deformabili, mentre i giovani, che sono quelli che dovrebbero creare la tv futura, sono abituati al downloading gratuito allo streaming, al peer to peer, al buffering veloce e non costoso. Si scambiano velocemente le idee su You Tube, non hanno idea dei costi di una produzione, dei tempi di realizzazione e così via. La pay tv è nata vecchia, è una appendice della tv generalista, e rimane confinata a fasce con un potere d’acquisto ben definito. Dal punto di vista delle idee, la pay tv non produce granchè, si limita a canalizzare, a definire per generi. È semplicemente e puramente l’altra faccia della medagli della tv generalista,
Oggi, l'affermazione di Sky nel panorama televisivo nazionale è, anche, dovuta all'enorme sforzo produttivo sostenuto in primo luogo dai canali di cinema, sport e news, ma anche sui progetti editoriali realizzati con partner italiani. La piattaforma trasmette ogni anno oltre 31 mila ore di programmi televisivi autoprodotti, di cui 18 mila dalle reti Sky e 13 mila dai canali terzi. Dati che più di ogni altro danno la misura degli investimenti economici e dell'impegno che sono alla base di Sky. Cosa pensi dell’offerta ? Nonostante gli sforzi economici ritieni che effettivamente soddisfi le aspettative dei telespettatori?
Soddisfa l’enorme bisogno di sport, ma linguisticamente, sul piano televisivo, non fa altro che enfatizzare uno degli aspetti della tv generalista, ovvero l’ossessione per la ripetizione ritualistica dello sport. Cosa sacrosanta, ovviamente, ma vecchissima da ogni punto di vista. In fondo, lo sport era uno specifico della nostra arcaica televisione pubblica, o no?
In televisione non c’è nessun rapporto preventivabile tra le risorse investite e il risultato. Scrive Paolo Taggi che un programma televisivo non esiste fuori dal palinsesto che lo ospita. Il palinsesto è un tessuto di relazioni multiple, frutto di strategie e tattiche di Rete. La cornice televisiva non è mai neutrale perché la Rete è anche una marca. Ci sono Reti diventate griffe di qualità; selezionano in partenza il loro target; ce ne sono altre che scelgono di non essere marca secondo la logica dell’hard discount. Sei d’accordo con queste affermazioni? Ritieni che si tratti di un modello applicabile alla televisione neosatellitare?
Tutte le reti creano dei brand, creano delle aspettative, e marchiano i loro prodotti. Più una rete è forte, più tende a cannibalizzare il prodotto, a renderlo comunque suo, al di là dell’adesione alla linea editoriale che esprimono. Le reti, i network, le syndacation selezionano sempre meglio il loro target, e a volte arrivano al punto di crearlo, il target. È l’oggetto del mio prossimo lavoro: la Rete come piattaforma di lancio di un nuovo prodotto televisivo: il proprio target. È quello che in parte è riuscita a fare Ialia Uno.
Ci sono differenze tra i format della tv generalista e quelli della tv satellitare? Guardando all’intera offerta Sky quali programmi ti piacciono?Perché?
La tv satellitare di solito affina il proprio rapporto col pubblico, quindi tende a focalizzare tutto ciò che compiace il suo pubblico, che in genere è di settore. La distanza col target, prossemicamente parlando, è intima: quindi le linee guida di un format satellitare sono meno grossolane, in genere meno urlate, meno sbandierate. Sono format di tonalità pastello, e hanno il pregio di mettere a nudo pregi e difetti dei “grandi” format generalisti. Passando a format specifici, devo dire che in generale i reality satellitari mi piacciono molto di più di quelli generalisti perché sono più sinceri, più reality. Assolvono meglio il loro compito, che è quello di raccontare. In fondo, la gente aspetta dalla tv la solita cosa: una bella storia, raccontata bene.
Nell’ipermercato dell’offerta televisiva si può ancora parlare di programmi? Per quanto riguarda la tv generalista il flusso è il programma, ritieni che la tv satellitare abbia, invece, riscoperto il gusto del genere? Il telespettatore riconosce ancora un singolo programma? vuole che abbia un senso compiuto? Attribuisce alla sua compiutezza un valore e un significato? Ritieni che ci sia chi si metta davanti al vdeo in un orario preciso per assistere ad un programma dall’inizio? nell’ipotetico patto comunicativo che lega telespetatori e programmi la puntualità dell’appuntamento quanto conta? Esiste ancora?ritieni che la tv satellitare favorisca il rapporto tra telespettatori e programmi?
La tv satellitare è un grande outlet pieno di dvd da scaricare, leggere e copiare. Niente di male in questo, ma nemmeno niente di nuovo. Il nuovo che verrà non sarà certo trasmesso sul satellitare. Sarà una nuova esplosione generalista flessibile, una specie di You Tube mirato, selezionato. Sarà la tv portabile, il broadcasting sul cellulare o sull’ iPod.
Rispetto al nuovo il telespettatore italiano preferisce il "territorio della difesa"
Il telespettatore italiano è molto peculiare: confonde il contenuto con la forma, cioè crede di essere “avanti” nel momento in cui si dota di alta tecnologia. Il problema è che si ferma lì, sui contenuti in genere sorvola. È quello che succede nel campo della telefonia: abbiamo l’obsolescenza tecnologica programmata dei telefonini, che cambiamo ossessivamente alla ricerca del modello sempre più elaborato, ma le cose da dire sono sempre meno. Stessa cosa per la televisione: sempre più canali, sempre meno da dire. Quindi direi: aprirsi (tecnologicamente) per chiudersi (dal punto di vista del contenuto).
Quando scrivi un programma persegui una drammaturgia perfetta o l’assolutizzazione della scorrevolezza?
Ritieni che una delle due strade si addica di più ad un format su una rete satellitare?
Come scorrono i programmi migliori? perché scorrono? quali artifici li rendono scorrevoli?
Pensi che un programma perfettamente costruito sulla carta non scorra se non c’è armonia perfetta nell’apparato che lo realizza?
Premettendo che il programma perfetto non esiste, e tantomeno esiste la ricetta per farlo, direi che la scorrevolezza si sposa alla drammaturgia, ma la precede sempre. La scorrevolezza è una faccenda intuitiva, che arriva sottopelle, che un autore persegue senza saper troppo dove andare a parare. Ci vogliono alcune puntate dopo il numero zero per scoprire se un programma sarà capace di camminare con le sue gambe, e non ci sono regole per giungere a questo risultato. È come scrivere musica: non sai mai quando un brano si pianterà nella testa della gente e ci rimarrà per sempre. Lo scopri dopo.
I programmi migliori sono quelli che procedono col ritmo del corpo, ovvero col ritmo delle persone che “raccontano” il programma. Non dimentichiamo che la televisione è ancora, fino a prova contraria, una grande esibizione di corpi, di voci, di volti. Anche il Gabibbo è un fantastico corpaccione narrante e saltellante. Stessa cosa dicasi dell’”apparato”, ovvero della crew che sta dietro le quinte. Anche il gruppo che sta dietro un programma usa la propria corporeità narrante nelle riunioni, nei rapporti con i cameraman, con il pubblico, con i presentatori o con il prodotto stesso che va in onda, e se non fa dono di sé, il programma abortisce spontaneamente dopo qualche puntata. La tv satellitare ha un grande bisogno di “verità”, in quantità decisamente superiore rispetto a quella generalista. E questa “verità”, che è quel fattore che incanta in un programma, lo si raggiunge quasi medianicamente, in uno stato simile al sonnambulismo, e dopo diversi tentativi.
Da cosa si capisce che un’idea ha superato la prima fase di analisi e si può impostare il vero e proprio lavoro di costruzione della puntata tipo?
Quanti modelli di racconto sono applicabili alla tv di intrattenimento?
Un programma che funziona, diverte. E dunque deve divertire anche chi lo realizza e chi lo pensa, prima di tutto. Se un’idea appassiona, diverte, produce nel corso delle riunioni altre idee, allora siamo sulla buona strada. Dal momento che, lo ripeto, non esistono ricette, un buon autore deve, come un buon romanziere, attingere al proprio mondo creativo, alla propria memoria, al proprio desiderio. La tv è desiderio in moto, in movimento.
Scrive Paolo Taggi che oggi i programmi hanno incorporato lo zapping, che si chiama ritmo. Prima che il telespettatore ne avverta il desiderio, il ritmo cambia non solo inquadratura, ma il programma stesso. I programmi contenitore nascono anche dalla necessità di offrire in ogni singolo programma un intero palinsesto? Sei d’accordo con questa definizione? Il contenitore è un genere che funziona sul satellite?
Certo, il ritmo: lo chiamerei fattore sorpresa, come nei film di Hitchcock. Non lasciamo mai troppo tempo allo spettatore per abituarsi o peggio a prevedere quello che succede, anche se il format è collaudatissimo e basato sulla ripetizione. Lasciamo sempre che sia il fattore umano o il fato a scompigliare l’ordine. Arriverei a dire che in un format troppo ripetitivo dovrebbero essere messe in atto delle azioni di disturbo programmate. Il contenitore è la televisione – radio spalmata su ore e ore di palinsesto: permettono un ascolto distratto, intermittente. Sono lì al posto delle sagre paesane, dove si gironzola storditi captando una voce qui, una merce là. Per conto mio è un genere che non funziona più da nessuna parte.
Come ti viene l’idea per un programma? Come ne scrivi i testi?
Quali programmi hai scritto per il satellite?
Pensi che lavorare sul satellite permetta agli autori di avere maggiore libertà nelle scelte operate?
C’è un programma che ti piacerebbe scrivere e uno o più Canali satelliatri per i quali ti piacerebbe lavorare?
Le idee per un programma vengono dal desiderio: voler vedere una situazione materializzarsi davanti a te. Ma attenzione: il 90% dei programmi in circolazione viene dalle esigenze della Rete, quindi sono quasi tutti programmi su commissione. Per la scrittura, occorre evidentemente ricondurre tutto al tipo di programma che si sta seguendo: in alcuni casi scrivo tutto, come se fosse un copione teatrale, altre volte bastano delle parti di testo che poi viene sviluppato in fase di registrazione. È chiaro che anche qui ci vuole uno stile, un ritmo, ma è il materiale umano che hai a disposizione che fa il resto.
Indubbiamente sul satellite hai meno pressioni dall’alto, come ne hai meno in radio. C’è un rapporto più stretto fra dirigenti, autori e crew, e il prodotto ne risente positivamente. Ma la libertà di un autore è sempre relativa: come una massaia, deve far quadrare sempre i bilanci e portare a casa abbastanza spesa per tutti.
Il programma che più mi ha divertito fare è stato un programma comico per Happy Channel con Marco Milano e Maddalena Corvaglia: ci siamo divertiti molto a scriverlo insieme e a girarlo, anche se era molto cheap e fatto in tutta velocità.
Un programma che mi piacerebbe realizzare ora, subito, adesso? Una casalinga finta che finge di essere vera e che offre in diretta consigli di vita, di amore e di morte mentre svolge lavori di casa veri. Su TUTTI i canali satellitari, contemporaneamente.
Mitico! Una supercolf con la C sul grembiule!!
RispondiEliminaGià me la vedo che sorvola pentole e padelle, perennemente in lotta con Spiderman per via delle ragnatele...
Ciao G
...seguendo il trend dei programmi e tutte le rivoluzioni mediatiche mi vien da ridere pensando che il povero Spiderman è stato ormai rimpiazzato da Spiderpork...non c'è niente da fare...è contagioso :-)
RispondiEliminasarà un bel format: la businesswoman entra in un camerino di Prada e ne esce come Supercasalinga! Momento clou: la Supercasalinga camminerà sul soffitto, come Spiderpork. Alla fine della puntata entrerà nello sgabuzzino delle scope e ne riuscirà come businesswoman.
RispondiEliminaAttendo proposte & commenti:-))
ad esempio lo sgabuzzino delle scope potrebbe comunicare attraverso una porta segreta con il camerino di prada e lì la businesswoman che si è stufata di fare la businesswoman potrebbe darsi il cambio con la supercasalinga che si è stufata di fare la supercasalinga...:-))
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