domenica 20 gennaio 2008

EROS NERO


Da "La Stampa"
Simenon, l'eros è nero

Nel «Treno», un amplesso al buio. La visione della sessualità di uno scrittore irresistibilmente attratto dalla ninfomania, dal voyeurismo, da un desiderio macabro e criminale
GEORGES SIMENON
Adelphi manda in libreria dal 23 gennaio «Il treno» di Georges Simenon, scritto nel 1961 (trad. di Massimo Romano, pp. 152, e 16). Pubblichiamo in anteprima il brano dell’incontro tra i due protagonisti, una delle pagine erotiche più esplicite del romanziere.

Alle mie spalle, colui che avevo scambiato per un mercante di cavalli a poco a poco si mise sopra la sua vicina che, allargando le ginocchia, mi sfiorava la schiena. Eravamo tanto vicini gli uni agli altri, la mia attenzione era così desta, che percepii il momento esatto della penetrazione.
Anche Anna, potrei giurarlo. Il suo viso, i suoi capelli, le sue labbra socchiuse sfiorarono la mia guancia, ma non mi baciò, né io tentai di baciarla.
Non eravamo i soli ancora svegli, e sicuramente anche altri se n’erano accorti. Il movimento del treno ci scuoteva tutti; dopo un po’, il frastuono delle ruote sulle rotaie diventava una musica.
Forse mi esprimo in modo crudo, per goffaggine, proprio perché sono stato sempre un uomo pudico, anche nei pensieri.
Non mi ero mai ribellato al mio modo di vivere. L’avevo scelto io. Avevo realizzato con pazienza un ideale che, fino al giorno prima, e lo ripeto in tutta sincerità, mi aveva soddisfatto.
Adesso ero lì, nel buio, con quella musica del treno, bagliori rossi e verdi che passavano, fili del telegrafo, gli altri corpi stesi sulla paglia e vicino a me, a portata di mano, si stava consumando quello che padre Dubois chiamava l’atto carnale.
Contro il mio corpo si strinse un corpo di donna, teso, vibrante, mentre una mano già rialzava il vestito nero e tirava giù le mutandine sino ai piedi, che se ne liberarono con uno strano movimento.
Non ci baciavamo ancora. Anna mi attirò a sé, e mi fece ruotare su me stesso – silenziosi entrambi come due serpenti.
Il respiro di Julie divenne più affannoso. Proprio in quel momento, Anna mi aiutò a penetrarla – e all’improvviso fui dentro di lei.
Non gridai. Ma fui lì lì per farlo. Fui lì lì per pronunciare parole senza senso, per esprimere la mia gratitudine, la mia felicità, o anche per lamentarmi, poiché era una felicità che mi faceva soffrire.
Soffrivo di non poter raggiungere l’impossibile.
Avrei voluto esprimere tutta la mia tenerezza per quella donna che il giorno prima non conoscevo, ma che era un essere umano, che diventava ai miei occhi l’essere umano.
Senza rendermene conto, le facevo male, le mie mani si accanivano nel tentativo di afferrarla tutta intera.
«Anna...».
«Zitto! ».
«Ti amo».
«Zitto! ».
Per la prima volta dicevo «ti amo» in quel modo, dal profondo di me stesso. Ma era poi lei che amavo, o la vita? Non so spiegarmi: io ero nella sua vita; avrei voluto rimanerci per ore, non pensare più a nient’altro, diventare come un albero al sole. Le nostre bocche si incontrarono, umide. Non pensai a chiederle, come al tempo delle mie esperienze giovanili:
«Posso?».
Potevo, dato che lei non se ne preoccupava, dato che non mi respingeva, anzi, mi tratteneva dentro di sé. Le nostre labbra alla fine si staccarono, le nostre membra si distesero.
«Non muoverti» mormorò in un soffio. E, mentre rimanevamo invisibili l’uno all’altro, prese ad accarezzarmi la fronte, dolcemente, seguendo con la mano, come uno scultore, le linee del mio volto.
Sempre sottovoce, mi chiese: «Sei stato bene?».
Mi ero forse sbagliato nel pensare che avevo un appuntamento con il destino?

da «Il treno» trad. di Massimo Romano
© 1961 Georges Simenon Limited (a Chorion Company) All rights reserved
© 2007 Adelphi ed. S.P.A. Milano

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