sabato 5 gennaio 2008

LENNON


Lennon, viaggio nella mente del killer

In arrivo negli Usa il finto documentario destinato a fare scandalo

WASHINGTON — È accesa polemica su The killing of John Lennon (L’uccisione di John Lennon), un agghiacciante film verità che esce a Manhattan a un mese dall’anniversario dell’assassinio del Beatle l’8 dicembre 1980. Girato come un documentario da Andrew Paddington, il film si svolge in parte nella mente del killer, Mark David Chapman, in parte davanti al Dakota, il palazzo di fronte al Central park di New York, dove avvenne l’omicidio. Lennon vi appare di sfuggita, come un fantasma, tra squarci di concerti dei Beatles, mentre Chapman racconta la sua folle impresa.

Nella mente alterata del killer, immagini di violenza, tratte dai film Taxi driver e Toro scatenato con De Niro, si accavallano. «Non ero nessuno—dice Chapman — finché non uccisi il più grande qualcuno del mondo». Basato sulla confessione dell’assassino, le perizie psichiatriche e gli atti processuali, il film suscita profondo disagio. Non è dalla parte di Chapman, tuttora nel penitenziario di massima sicurezza ad Attica nel nord dello stato di New York, dove sconta l’ergastolo. Lo raffigura anzi come un narcisista, preda ora di tremende depressioni ora di furie selvagge, lo sguardo maniacale e aggressivo. Ma proprio questo spietato ritratto scuote gli spettatori. «Quando uccisi Lennon non provai alcuna emozione, alcuna rabbia, avvertii solo un silenzio mortale nella mia mente», riferisce l’omicida. E allo psichiatra spiega: «L’ho ucciso perché era falso. Mi piaceva la sua musica, ma era una truffa».

E citando Imagine no possessions («Immagina che la proprietà non esista ») elenca le ricchezze del Beatle. Il film, che si regge sulla magistrale interpretazione di James Bull, fisicamente simile al killer, incomincia a Honolulu nelle Hawaii. Chapman è uno sceriffo privato, vive con la moglie e la madre, paragonata alla squilibrata protagonista de Lo zoo di vetro di Tennessee Williams. Soffre di emicranie e insonnie, sogna di diventare celebre. È ossessionato da Lennon, per lui nutre un’invidiosa ammirazione e un feroce odio. Si identifica in Holden Caulfield, l’eroe del romanzo di Salinger, e nei deviati del cinema e della controcultura. Ma la prima volta che a New York non trova Lennon non gli pesa la rinuncia a ucciderlo. Rinuncia momentanea. Rilegge Il giovane Holden, quasi la sua Bibbia, rivede Taxi driver, riascolta il Beatle e non si ferma più. Pedina Lennon, e una mattina, all’ingresso del Dakota lo uccide a colpi di pistola. «Dovevo farlo, qualcosa mi bruciava di nuovo dentro», confessa alla polizia. «Cercavo una guida, non l’ho trovata».

Non ha un attimo di pentimento, il Beatle non meritava di vivere. Nello stato di New York non vige la pena di morte, e Chapman è condannato all’ergastolo. Non si sa come il pubblico reagirà a The killing of John Lennon: secondo i critici, è un film che disturberebbe chiunque, ben fatto, ma difficile da guardare per due ore. Un film che pone interrogativi angoscianti non solo sulla psiche umana, ma anche sui legami tra la cultura della violenza che periodicamente squassa l’America e scoppi di pazzia, come l’assassinio dell’attrice Sharon Tate da parte del «profeta» Charles Manson a Hollywood nel ’69 fino alla strage degli studenti del Virginia Tech lo scorso anno.

Ennio Caretto

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