I PM: SABRINA MINARDI È ATTENDIBILE –DELLA PRESUNTA PRIGIONE DI EMANUELA RICORDA I COLORI, I MOBILI, I QUADRI – QUESTO, PURTROPPO, È UN NON-PROCESSO NEL QUALE I VIVI SI AGGRAPPANO AI MORTI…
Daniele Mastrogiacomo per “La Repubblica”
Sabrina Minardi fatica a dimenticare. Chiusa nella sua stanza in una clinica di disintossicazione, combatte le crisi d´astinenza da cocaina. Solo la tv riesce a distrarla da un´angoscia che la tormenta. E´ l´estate scorsa. In tv c´è una puntata di «Chi l´ha visto?». Si parla di Emanuela Orlandi e della banda della Magliana. Sabrina si appassiona. Adesso parlano del suo vecchio compagno. Chiama qualcuno. Un anonimo. Dice che per risolvere il giallo bisogna andare a vedere chi è sepolto nella Basilica romana di Sant´Apollinare. Sabrina ha un sussulto.
Sa bene che in una delle cripte è stato tumulato il suo vecchio amante, ucciso per strada nel 1990. Spegne la tv, riflette, si chiede se sia venuto il momento di lasciare il tunnel in cui si è cacciata negli anni 80. La cocaina l´ha distrutta, cerca di disintossicarsi. Chiama un suo vecchio amico d´infanzia, un ispettore di polizia. Chiede consigli, ne parlano insieme. Lei si apre e inizia a raccontare.
Il poliziotto ascolta, torna a Roma, riferisce le confidenze della sua amica al capo della Mobile Vittorio Rizzi. Il funzionario è scettico. Non si fida. Una cocainomane, ex donna di un boss della malavita. Può millantare, cercare pubblicità, soldi, ricattare. Ogni parola va presa con le pinze, bisogna verificare tutto. Spedisce di nuovo l´ispettore dalla signora Minardi e gli affianca un poliziotto di esperienza, la dottoressa Petrocca. E´ una donna e tra donne certe sfumature si colgono meglio e subito.
Si portano dietro un registratore. Sabrina Minardi non vuole lasciare nulla di scritto, ma accetta di far incidere le sue rivelazioni. Ad una condizione: il suo nome deve restare segreto. I due poliziotti torneranno dalla nuova supertestimone tre volte. Faranno ascoltare i nastri ai dirigenti della Questura, li trasmettono in Procura. In gran segreto e senza destare alcun sospetto, si dispongono gli accertamenti. Al catasto, alla motorizzazione, al Comune. Auto, case, appartamenti, ristoranti, locali. Ogni singolo luogo indicato dalla Minardi viene verificato. E puntualmente confermato.
Nel marzo scorso, la donna viene portata a Roma e davanti ai vertici della Questura e della Procura riuniti al completo ripercorre ancora una volta il suo racconto. Al pm Simona Maisto, titolare dello stralcio sul caso Orlandi, viene affiancato il sostituto Andrea De Gasperis. E´ una garanzia, perché rappresenta la memoria storica sulla banda della Magliana. Ed è proprio De Gasperis che scopre le prime incongruenze.
La Minardi ammette dei vuoti di memoria. La cocaina brucia il cervello e il tempo non aiuta quando si devono ricordare date e luoghi. Ma per il resto, i dettagli sono precisi. La donna elenca le scene, le case, i colori, i mobili, le piante, persino i quadri della casa in cui sarebbe stata tenuta prigioniera Emanuela. Gli investigatori, sorpresi, si arrendono davanti all´evidenza.
Giovedì mattina cercano e trovano l´appartamento-prigione di Emanuela Orlandi. Le indicazioni sono state fornite dalla Minardi. «La sua descrizione», ammette sbalordito un investigatore, «ci è servita come una mappa. Centimetro per centimetro. Siamo andati a colpo sicuro. E abbiamo trovato il locale dove De Pedis le aveva confidato aver chiuso la Orlandi». L´ambiente è rimasto isolato come un sarcofago.
Adesso si conosce il Dna, la scienza consente veri miracoli. Gli inquirenti sperano di trovare la prova regina: quella che potrebbe dimostrare la presenza di Emanuela. La proprietaria della casa, la signora Daniela Mobili, moglie di Danilo Abbruciati, nega con forza l´ipotesi che la figlia del messo del Vaticano possa essere stata tenuta prigioniera nella cantina.
Sabrina Minardi sostiene che la ragazza era stata accudita dalla domestica, la signora Teresina. La stessa che avrebbe accompagnato Emanuela all´appuntamento al Gianicolo prima di essere portata davanti a Porta Angelica e consegnata nelle mani di un prelato. «Impossibile», dice agli inquirenti la Mobili, «la domestica veniva ogni tanto». Si interroga la signora Teresina. Nega, sdegnata, il suo ruolo di carceriera e di accompagnatrice di Emanuela. Ma finisce per smentire la stessa Mobili. «Lavoravo in quella casa ogni giorno», replica, «dalle 9 alle 17».
Quella casa, improvvisamente, fa paura a tutti. «Ogni amico, conoscente, esponente della vecchia banda della Magliana», osservava ieri un investigatore, «nega di conoscerla o di esserci stato. E´ singolare. Non ci sarebbe nulla di male, se fosse un luogo, diciamo, pulito. Tanto distacco è sospetto. Ci conferma che siamo sulla pista giusta. Ci convince, ogni giorno di più, che Sabrina Minardi dice la verità. Anche se questo è un non - processo. Sono morti tutti. Presunti mandanti ed esecutori».
Dagospia 30 Giugno 2008
Sabrina Minardi fatica a dimenticare. Chiusa nella sua stanza in una clinica di disintossicazione, combatte le crisi d´astinenza da cocaina. Solo la tv riesce a distrarla da un´angoscia che la tormenta. E´ l´estate scorsa. In tv c´è una puntata di «Chi l´ha visto?». Si parla di Emanuela Orlandi e della banda della Magliana. Sabrina si appassiona. Adesso parlano del suo vecchio compagno. Chiama qualcuno. Un anonimo. Dice che per risolvere il giallo bisogna andare a vedere chi è sepolto nella Basilica romana di Sant´Apollinare. Sabrina ha un sussulto.
Sa bene che in una delle cripte è stato tumulato il suo vecchio amante, ucciso per strada nel 1990. Spegne la tv, riflette, si chiede se sia venuto il momento di lasciare il tunnel in cui si è cacciata negli anni 80. La cocaina l´ha distrutta, cerca di disintossicarsi. Chiama un suo vecchio amico d´infanzia, un ispettore di polizia. Chiede consigli, ne parlano insieme. Lei si apre e inizia a raccontare.
Il poliziotto ascolta, torna a Roma, riferisce le confidenze della sua amica al capo della Mobile Vittorio Rizzi. Il funzionario è scettico. Non si fida. Una cocainomane, ex donna di un boss della malavita. Può millantare, cercare pubblicità, soldi, ricattare. Ogni parola va presa con le pinze, bisogna verificare tutto. Spedisce di nuovo l´ispettore dalla signora Minardi e gli affianca un poliziotto di esperienza, la dottoressa Petrocca. E´ una donna e tra donne certe sfumature si colgono meglio e subito.
Si portano dietro un registratore. Sabrina Minardi non vuole lasciare nulla di scritto, ma accetta di far incidere le sue rivelazioni. Ad una condizione: il suo nome deve restare segreto. I due poliziotti torneranno dalla nuova supertestimone tre volte. Faranno ascoltare i nastri ai dirigenti della Questura, li trasmettono in Procura. In gran segreto e senza destare alcun sospetto, si dispongono gli accertamenti. Al catasto, alla motorizzazione, al Comune. Auto, case, appartamenti, ristoranti, locali. Ogni singolo luogo indicato dalla Minardi viene verificato. E puntualmente confermato.
Nel marzo scorso, la donna viene portata a Roma e davanti ai vertici della Questura e della Procura riuniti al completo ripercorre ancora una volta il suo racconto. Al pm Simona Maisto, titolare dello stralcio sul caso Orlandi, viene affiancato il sostituto Andrea De Gasperis. E´ una garanzia, perché rappresenta la memoria storica sulla banda della Magliana. Ed è proprio De Gasperis che scopre le prime incongruenze.
La Minardi ammette dei vuoti di memoria. La cocaina brucia il cervello e il tempo non aiuta quando si devono ricordare date e luoghi. Ma per il resto, i dettagli sono precisi. La donna elenca le scene, le case, i colori, i mobili, le piante, persino i quadri della casa in cui sarebbe stata tenuta prigioniera Emanuela. Gli investigatori, sorpresi, si arrendono davanti all´evidenza.
Giovedì mattina cercano e trovano l´appartamento-prigione di Emanuela Orlandi. Le indicazioni sono state fornite dalla Minardi. «La sua descrizione», ammette sbalordito un investigatore, «ci è servita come una mappa. Centimetro per centimetro. Siamo andati a colpo sicuro. E abbiamo trovato il locale dove De Pedis le aveva confidato aver chiuso la Orlandi». L´ambiente è rimasto isolato come un sarcofago.
Adesso si conosce il Dna, la scienza consente veri miracoli. Gli inquirenti sperano di trovare la prova regina: quella che potrebbe dimostrare la presenza di Emanuela. La proprietaria della casa, la signora Daniela Mobili, moglie di Danilo Abbruciati, nega con forza l´ipotesi che la figlia del messo del Vaticano possa essere stata tenuta prigioniera nella cantina.
Sabrina Minardi sostiene che la ragazza era stata accudita dalla domestica, la signora Teresina. La stessa che avrebbe accompagnato Emanuela all´appuntamento al Gianicolo prima di essere portata davanti a Porta Angelica e consegnata nelle mani di un prelato. «Impossibile», dice agli inquirenti la Mobili, «la domestica veniva ogni tanto». Si interroga la signora Teresina. Nega, sdegnata, il suo ruolo di carceriera e di accompagnatrice di Emanuela. Ma finisce per smentire la stessa Mobili. «Lavoravo in quella casa ogni giorno», replica, «dalle 9 alle 17».
Quella casa, improvvisamente, fa paura a tutti. «Ogni amico, conoscente, esponente della vecchia banda della Magliana», osservava ieri un investigatore, «nega di conoscerla o di esserci stato. E´ singolare. Non ci sarebbe nulla di male, se fosse un luogo, diciamo, pulito. Tanto distacco è sospetto. Ci conferma che siamo sulla pista giusta. Ci convince, ogni giorno di più, che Sabrina Minardi dice la verità. Anche se questo è un non - processo. Sono morti tutti. Presunti mandanti ed esecutori».
Dagospia 30 Giugno 2008
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