venerdì 31 ottobre 2008

la solita strumentalizzazione dei piccoli

BAMBINI PORTATI ALLA MANIFESTAZIONE: IL SOLITO TRISTE RITO DI SINISTRA
dal Corriere Online

Fulvio Milone
Sarà pure che «il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini». Ma loro, gli alunni delle elementari che si tengono per mano e indossano grembiuli a quadretti rosa, sembrano divertirsi un mondo. Battono le mani al passaggio della banda musicale di Falerna, ridono alla vista di un ragazzo rubicondo che gonfia le gote mentre soffia nel trombone, scandiscono i loro bravi slogan guidati dalle maestre che agitano le mani come a dirigere un coro. Non sono solo romani, vengono da Pescara, Teramo, Scandicci. E quando chiedi se sia giusto che anche i bambini sfilino nel corteo, e se la loro presenza non possa suonare come una strumentalizzazione, le mamme e le insegnanti ti rispondono che «le prime vittime della Gelmini sono proprio i più piccoli, quindi è bene che imparino subito a far sentire la loro voce».

La stazione Termini, Trinità dei Monti e Piazza del Popolo sono il gigantesco palcoscenico su cui si affacciano tutti i protagonisti dello psicodramma nazionale intitolato alla legge Gelmini: insegnanti, mamme, precari, studenti universitari e medi, bidelli, alunni delle materne e ricercatori formano un corteo-fiume da cui si leva una babele di slogan, manifesti e striscioni che esprimono di volta in volta rabbia, sarcasmo e invettiva. In cima alla top ten dei bersagli da colpire, sia pure metaforicamente, c’è lei, il ministro dell’Istruzione. E come potrebbe essere altrimenti? «Berlusconi, Tremonti, Brunetta: tre maestri per una sola alunna, Egìda Gelmini», hanno scritto i maestri delle elementari toscani che sfilano dietro il gonfalone del Comune di Firenze: evocando così la gaffe di quella parola pronunciata in Senato dal ministro dell’Istruzione con l’accento al posto sbagliato.

L’hanno raffigurata in migliaia di «santini» su cui è gratificata con l’appellativo di «beata ignorante», la Gelmini che «ci vuole tutti cretini», che «con gioia e letizia mette la scuola nell’immondizia», che «di Tremonti è burattina». E il cui cognome, naturalmente, «non fa rima con bambini». I quali «sono preoccupatissimi e già soffrono di una sorta di sindrome da abbandono al pensiero che non avranno più quattro maestri, ma solo uno», racconta Marta, mamma di Scandicci, chiamata direttamente in causa da un gruppetto di giovanissimi alunni: «Mamma, papà non state a guardare, c’è la scuola da salvare». «In classe li abbiamo informati di quello che succederà con la riforma», spiega Alessandra, maestra elementare di Teramo. «L’unica scuola non occupata è quella di Maria De Filippi», ha scritto uno studente toscano mentre cammina al fianco di un amico che inalbera una grande foto di Karl Marx corredata da una didascalia lapidaria: «Ecco il maestro unico». «Dovevo fare la valletta, a quest’ora sarei ministro», è la battuta scelta da Marta, liceale romana. C’è chi canta «La scuola pubblica trionferà» sulle note di «Bandiera rossa», e chi si limita a urlare: «La cultura fa paura». Gettonatissime le maestre con cappello di carta munito di lunghe orecche d’asino: «Non voglio essere unica», gridano in coro mentre issano un grande Pinocchio-Berlusconi.

Altra aria si respira nel secondo corteo che alla stazione Termini si è staccato da quello dei sindacati per sfilare in via Nazionale. Qui i protagonisti sono soprattutto gli studenti delle medie superiori e dell’Università: parte di loro confluiranno in piazza del Popolo; altri, a cominciare dai ragazzi della «Sapienza», andranno a protestare davanti al ministero dell’Istruzione in viale Trastevere. Qui l’atmosfera è più pesante, c’è poco della «gioiosa» manifestazione messa in piedi con grande impiego di mezzi da Cigil Cisl e Uil. Gelmini, se prima faceva «rima con bambini», ora è semplicemente «un pezzo di m...», come grida un gruppo di liceali dietro uno striscione che avverte: «Studenti inkazzati». Gli slogan sono quelli, antichi, della sinistra extraparlamentare: «Lotta dura senza paura»; «Se non cambierà lotta dura sarà». E poi ci sono i precari, cupi in volto, che di manifestazioni come questa ne hanno vissute tante. «Non toccatemi, mordo», è scritto su un cartello fissato con un laccio al collo di Elena, catanese di 48 anni, che si firma semplicemente: «Una precaria dal 1985».

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