martedì 27 gennaio 2009

VITA TURBOLENTA DI SIMENON-1


John Banville ribalta l'immagine di «artista d'evasione»
Profondo noir, il cuore oscuro di Simenon
Nella sua ispirazione non ci fu soltanto Maigret ma violenza, eros e un impulso sfrenato a scrivere

di JOHN BANVILLE

Nel considerare la vita e le opere di George Simenon viene spontaneo chiedersi: ma era umano? Perché Simenon era dotato di energie, creative ed erotiche, straordinarie. Scrisse più di 400 romanzi sotto diversi pseudonimi, un numero infinito di racconti e di sceneggiature per il cinema e, verso la fine della vita, dopo aver deciso di smettere con la narrativa, scrisse migliaia di pagine di memorie. Riusciva a stendere un romanzo in una settimana o in dieci giorni, battendo a macchina furiosamente, senza mai rivedere il suo lavoro (e a volte si nota). Si dice che a Parigi, negli anni Venti, avesse troncato una relazione con Josephine Baker, la chanteuse americana star della Revue Nègre, perché nell’anno in cui era stato con lei la passione l’aveva tanto distratto che era riuscito a scrivere solo tre o quattro libri.

Si procurava spesso distrazioni di quel tipo. Nel 1976, ultrasettantenne, in un’intervista uscita sull’Express rivelò all’amico Federico Fellini di aver avuto 10.000 donne. Aveva cominciato presto, perdendo la verginità a dodici anni con una ragazza di tre anni più grande, che l’aveva convinto a cambiare scuola in modo da poter continuare a frequentarlo e poi l’aveva lasciato per un altro fidanzatino. Il giovane George aveva ricevuto la prima lezione di vita. Era nato a Liegi, in Belgio, nel 1903, da un padre bonario ma debole e da una madre terribile con cui, per tutta la lunga vita di lei, ebbe un’intensa relazione di odio-amore. A sedici anni lasciò la scuola per diventare reporter alla Gazette de Liège, e si unì alla Caque, un gruppo di dandy e bohemien che aveva come guida spirituale il pittore Luc Lafnet. In seguito Simenon descrisse la domenica di giugno del 1919 in cui conobbe Lafnet come “uno dei giorni più importanti della mia adolescenza”.

La Caque era un gruppo di ragazzi sfrenati che bevevano, facevano uso di droghe e professavano il libero amore. “Eravamo un’elite”, scrisse più tardi Simenon. “Un piccolo gruppo di geni che il caso aveva riunito”. Erano anche pericolosi e, almeno in un’occasione, si rivelarono auto-distruttivi. All’alba di una mattina d’inverno, dopo una notte passata a bere, un ragazzo del gruppo, Joseph Kleine, “le petit Kleine”, aspirante artista e cocainomane a cui il nome si addiceva, essendo minuto e di debole costituzione, fu trovato impiccato alla porta della chiesa di Saint-Pholien a Liegi. Si pensò a un suicidio, o a un omicidio camuffato da suicidio. La mattina successiva la Gazette di Liegi scrisse che il giovane si era senza dubbio ucciso. Passarono molti anni prima che Simenon ammettesse di essere stato l’autore di quell’articolo, opportunamente uscito prima che la polizia avviasse delle indagini. “Ho voluto dichiarare la nostra innocenza”, scrive nelle sue memorie. “O piuttosto la mancanza di premeditazione... Non sapevamo in che stato fosse il ‘petit Kleine’. Ma non siamo noi, in fondo, che l’abbiamo ucciso?”

L’immagine dell’impiccato colpì molto Simenon. Il secondo romanzo di Maigret è intitolato L’impiccato di Saint-Pholien, e in uno dei romanzi più belli, Gli intrusi, pubblicato nel 1940, c’è una banda di ragazzi sfrenati e auto-distruttivi, che si richiama chiaramente alla Caque, e le cui bravate culminano in un omicidio. Simenon conosceva bene quel che descriveva.
Nel 1920, a diciassette anni, pubblicò il primo romanzo, Au Pont des Arches, corredato da illustrazioni di diversi artisti, tra cui il suo mentore, il vagamente satanico Lafnet. Au Pont des Arches, un libro divertente, in ambito locale ebbe successo. Simenon l’aveva firmato Georges Sim, uno pseudonimo che avrebbe usato per qualche tempo e che mantenne anche quando tre anni dopo si trasferì a Parigi con il proposito di diventare un vero scrittore. Cominciò a mostrare le sue storie a Colette, allora collaboratrice del giornale Le Matin, che gli consigliò di sfrondare al massimo il suo stile. Fu sicuramente il miglior consiglio che abbia mai ricevuto, e saggiamente lo seguì. Si mise a scrivere racconti popolari riscuotendo un notevole successo, e sfornò libri con una ventina di pseudonimi diversi. Verso i venticinque anni, ormai ricco, si imbarcò in una serie di viaggi attraverso l’Europa, l’Africa e, nel 1934, intorno al mondo. Il lavoro frenetico e l’ossessiva irrequietezza caratterizzeranno gran parte della sua vita.

CONTINUA »

Nessun commento:

Posta un commento