venerdì 6 giugno 2008

in Italia un cittadino su 4 finisce intercettato

dal Messaggero Online


ROMA (6 giugno) - Toghe all'attacco contro il governo: il reato di clandestinità, sostiene l'Associazione nazionale magistrati (Anm), rischia di creare gravi disfunzioni al sistema giudiziario italiano. Scontro anche sull'emendamento anti-prostituzione proposto dal governo al pacchetto sicurezza.


intanto però in Italia 1 cittadino su 4 finisce intercettato

Una multa o un flirt, anche così finisci nel "tritacarne" delle intercettazioni

di Massimo Martinelli
ROMA (6 giugno) - Per qualcuno è stata fatale una multa, per altri una pistola da collezione. Oppure un articolo di giornale, una chiacchierata da interpretare, un’avventura galante. Nell’Italia del Grande orecchio si finisce sotto controllo anche per cose del genere, con i telefoni intercettati e un maresciallo che ti segue con un microfono direzionale, casomai scappasse qualche ”rivelazione” al bar, all’ora del cappuccino. Tre italiani su quattro sono ”ascoltati”, calcolava l’Eurispes nel 2005. E a leggere le relazioni ufficiali del ministero di Giustizia, la tendenza non è diminuita.

Ci sono avvocati che, con un filo di ironia, le misurano in centimetri, anzi in metri: quelli che corrispondono all’altezza dei faldoni che contengono gli atti. Come Paolo Gentiloni Silverj, noto penalista della Capitale, che ricorda la gran mole di intercettazioni ambientali e telefoniche messe in piedi dopo che un suo cliente, un pilota di una compagnia aerea e collezionista di armi, era stato trovato in possesso di una pistola rara che aveva acquistato negli Stati Uniti e aveva portato in Italia senza passare dalla dogana, utilizzando i privilegi della divisa di pilota. «Era una pistola particolare, roba da collezionisti di armi. Eppure gli misero i telefoni sotto controllo», ricorda il penalista. E siccome il pilota era appassionato di armi, qualche chiacchierata se la faceva anche con persone del settore, ex militari e gente del genere. Ne venne fuori una mega inchiesta in cui i magistrati credettero di trovarsi di fronte ad un gruppo di golpisti pronti a marciare sulla sede Rai di Saxa Rubra, ad espugnarla e a lanciare messaggi alla nazione a reti unificate. Furono fatte centinaia e centinaia di intercettazioni telefoniche, che - appunto - una volta depositate «erano alte un metro e mezzo da terra». L’inchiesta si concluse e il processo fu celebrato.

Esito: una condanna a pochi mesi (con pena sospesa) al pilota per l’importazione clandestina dell’arma, condita da un fascicolo processuale in cui, praticamente, era raccontata la vita privata del pilota, comprese le beghe con la fidanzata.
A leggere i dati Eurispes non c’è nemmeno da stupirsi: in dieci anni, hanno calcolato, sono stati intercettati trenta milioni di italiani, che sono più della metà della popolazione. Il conto è presto fatto: sulla base dei decreti di autorizzazione a mettere sotto controllo una linea telefonica, gli esperti Eurispes hanno calcolato che ognuno di quei telefoni ha parlato almeno con cento persone, tra parenti, amici, colleghi di lavoro e fornitori di servizi. Succede che ognuno dice qualcosa; e all’altro capo della linea ogni frase viene soppesata e può dare l’avvio a nuove intercettazioni.

Una sorta di effetto domino che gli avvocati chiamano ”intercettazioni a rete” (come spiega Giulia Bongiorno nell’intervista qui sotto). E che, ad esempio, conosce bene il consuocero di Clemente Mastella, Carlo Camilleri, 58 anni, finito nell’inchiesta su presunti favoritismi nella zona di Ceppaloni. Aveva telefonato ad un sindaco locale, suo amico, senza sapere che la procura lo stava intercettando. Gli aveva chiesto se poteva fare qualcosa per una multa che avevo preso con la macchina e subito partì una richiesta di autorizzazione per intercettare anche lui, visto ”il livello di collusione” dimostrato con quella richiesta. Può succedere anche di peggio: finire nel tritacarne con tutta la famiglia per aver scritto un articolo più informato degli altri. Com’è accaduto a Gianmarco Chiocci del Il Giornale, oppure a Liana Milella de La Repubblica e a tanti altri. Chiocci aveva rivelato i luoghi della latitanza di Gelli in Francia ed è finito sotto intercettazione per tre anni, più di mille giorni, centinaia di milioni buttati. Anzi no, direbbe qualche esegeta del diritto: perchè un reato, almeno, quelle intercettazioni lo scoprirono. Non lo aveva commesso il Chiocci giornalista ma suo fratello: aveva buttato l’ancora del gommone in una caletta dell’isola di Ponza senza sapere che era zona interdetta all’ormeggio.

Solo storia di famiglia anche nelle migliaia di intercettazioni di Claudio Vitalone, indagato a Perugia per il caso Pecorelli: due anni sotto controllo, soldi spesi a cascata e una grande sequenza di vicenda familiari, privatissime, comprensive di guai di salute. Il risultato fu che il pm preferì non depositarle nemmeno al processo. Stessa sorte per Vittorio Emanuele, l’ex regnante con la passione per le belle donne, almeno così hanno rivelato le migliaia di intercettazioni disposte dalla procura di Potenza sul suo conto. Passioni private e null’altro, perchè le inchieste sul suo conto sono state archiviate. Chissà se il pm sarà stato soddisfatto ugualmente: almeno l’ha fatto litigare con la moglie.

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