venerdì 20 giugno 2008

la blogger contro Fidel

Una giovane cubana racconta la dittatura scatenando
le ire dei potenti dell'isola e la rabbia del Líder Máximo

La blogger contro Fidel
le pagine del suo diario online

di YOANI SANCHEZ


La blogger contro Fidel le pagine del suo diario online

Yoani Sanchez

HO VENTI minuti per arrivare al Parque Central fino a una piccola galleria - vicina alla Plaza Vieja - dove un mio amico espone alcuni suoi quadri. Se voglio proseguire a piedi perderò la parte inaugurale del discorso e il pittore naïf non me lo perdonerebbe mai. Catturo un bicitaxi e gli offro dieci pesos perché vada a tutta velocità. Il ciclista mi guarda rallegrandosi delle poche libbre che dovrà trasportare e canticchia un reaggeton.

Siamo già in marcia e durante il tragitto mi sento come una superba signora alzata sopra una portantina. Alleggerisco la mia colpa pensando che se non fossi stata io, il povero autista avrebbe dovuto caricare un paio di grassoni che gli facevano cenni. Non mi sono ancora liberata dal rimorso quando l'autista trascura il manubrio e mi chiede: "Sei dell'Avana?". Confermo le mie origini cittadine e lui con occhi bramosi mi dice: "Io sono di Guantanamo. Sto cercando qualcuno che si sposi con me, perché mi inserisca nel registro della carta di identità. Sei nubile?".

Una proposta così diretta mi lascia imbarazzata. Voglio spiegargli che ho già un compagno, che non possiedo una proprietà dove poterlo iscrivere e salvarlo dalla deportazione. Devo chiarirgli che il mio quartiere è troppo vicino a quella torre - in forma di cono rovesciato troncato - dove risiede il potere, che rende estremamente complicato domiciliare una nuova persona. Tutti gli argomenti per negarmi a una tale repentina proposta di matrimonio li riassumo in un conciso: "Non posso".

L'uomo mi guarda come se lo stessi condannando al centro di ritenzione degli "illegali" dal quale è già passato. Lo stesso luogo da dove escono autobus ogni settimana per estradare, insieme a un foglio di via, coloro che sono "senza documenti" all'Avana. Il suo sguardo mi fa sentire colpevole di essere nata in questa città malaticcia ed esclusiva, civetta con il turismo internazionale e accigliata con i compatrioti di altre province.

Sono sul punto di cambiare idea e sposarmi con lui, però siamo arrivati al luogo della mostra e il mio amico pittore mi salva dall'anello di matrimonio.
(10 maggio 2008)

Nuotare in acque torbide
Credo di essere tra i pochi cubani - minori di 40 anni - che legge la stampa nazionale ogni giorno. I miei amici, di fronte a tale eccentrico hobby, mi hanno avvertito che può essere la via più breve per procurarsi un'ulcera gastrica. Ciò nonostante, mi piace verificare sulla stampa le quotazioni di una o di un'altra figura politica, le notizie che passano in primo piano e quelle che cadono nell'oblio, soprattutto le "dimenticanze" dei nostri quotidiani.

Non passa inosservato, per esempio, che i periodici ribadiscono il fatto delle difficoltà economiche e nei servizi, ma danno la colpa all'indisciplina sociale, al vandalismo e alla mancanza di controllo. Questa affermazione libera da ogni responsabilità le alte gerarchie del paese e il modello politico-economico imperante. I problemi esistono, ci chiariscono, solo perché non abbiamo saputo recitare il soggetto, non perché l'opera è inattuabile nell'odierno scenario.

Alla caccia di questi indisciplinati e vandali si sono gettati gli organi di polizia, e durante una delle cariche si sono portati via i "palombari" che raccolgono materie prime, cibo e oggetti nella spazzatura. Senza di loro che raccattano le bottiglie di plastica, i cartoni e i rifiuti metallici delle discariche, questi oggetti riciclabili si perderebbero in uno spreco che non va d'accordo con le nostre limitate risorse. Quelle mani che affondano nei bidoni puzzolenti fanno, in maniera indipendente, quello che le istituzioni non riescono a organizzare con il loro centralismo.

Però i "palombari" secondo questa nuova offensiva, danno una cattiva immagine alla città. Possono restare catturati dall'obiettivo di un turista e frantumare l'immaginario argomento secondo cui "a Cuba nessuno fruga nella spazzatura". La loro esistenza parla di emarginati, di poverissime condizioni, di illegali che preferiscono "cercare spazzatura nella grande città, piuttosto che lavorare per un salario simbolico in campagna".

Il periodico Granma registra la punizione per "(...) coloro che raccolgono rifiuti solidi" e allo stesso modo minaccia con l'espulsione dalla capitale chi ostenta la doppia categoria di "palombaro" e illegale: "Tra i 355 cittadini portati a un Centro Provinciale di Classificazione, 290 sono stati multati, 20 presentati alla comunità dove risiedono, 45 rimandati alle rispettive provincie di origine perché vivevano illegalmente nella capitale, 11 recidivi condannati al lavoro correzionale senza internamento, mentre altri 59 plurirecidivi sono stati processati penalmente".
(10 giugno 2008)

I turisti guardano sempre verso l'alto
Una nuova linea di autobus circola da qualche settimana per le strade dell'Avana. Con un colore rosso intenso, grandi annunci e un insolito piano superiore, questa nuova "nave spaziale" si sposta lungo le principali arterie in un percorso che costa cinque pesos convertibili (cinque dollari). I suoi clienti sono quei turisti interessati a una visita condensata dei principali luoghi della nostra città. Magnifica opportunità per coloro che preferiscono guardare dal secondo piano ciò che a livello del suolo si vede in maniera totalmente diversa.

Arrostiti sotto il forte sole di maggio, stringono gli otturatori delle loro macchine fotografiche e si mettono in salvo dalle fogne rotte, dai marciapiedi distrutti e dai cani rognosi che modellano il mio paesaggio urbano. Mentre noi osserviamo l'autobus a due piani come se fosse venuto fuori da un opuscolo di viaggi a New York o a Tokyo. Dai sedili della parte superiore i volti felici dei viaggiatori ci parlano di un'Avana che soltanto loro sembrano vedere. La verità è che non mi stupisce tanta miopia, perché gli effetti sulla percezione che provoca un rinfrescante mojito sono fin troppo noti.

A vederli in quella terrazza rotante, mi è venuto in mente un vicino che un giorno mi domandò: "Qual è la differenza più visibile tra un turista e un cubano?". Nella mia semplicità, gli enumerai le creme solari, le guide Lonely Planet e lo spray contro le zanzare... però non è così. La risposta era più evidente. "Un turista guarda sempre verso l'alto. Resta stupefatto dall'architettura, dalle vetrate, dagli archi e dalle colonne; mentre noi cubani camminiamo facendo attenzione alle buche che potrebbero mettere in pericolo le nostre caviglie".

Anche se si tratta di una di quelle esagerazioni che finisce per diventare un luogo comune, mi pare che questo autobus a due piani segua la stessa direzione della battuta del mio vicino. Da lassù in cima, non c'è più niente che si frapponga tra gli occhi di quei turisti meravigliati e gli edifici più vecchi di un secolo. Neanche noi - semplici comparse in questa scenografia - siamo un ostacolo perché possano godere di ciò che si trova sopra le nostre teste.
(26 maggio 2008)

L'Altra Avana
C'è una città che discorre accanto a noi senza toccarci. Un'Avana che parla di "formaggio parmigiano" di "centimetri di prato" e di "fine settimana a Cancún". Quest'altra città appena si mescola con la nostra e in niente assomiglia allo scenario di distruzioni e mancanze che costituisce il nostro ambiente.

Le due "Avane" coabitano e al tempo stesso si negano. Chi vive in una non può immaginarsi - in tutta la sua estensione - l'altra città che la completa. Una discorre velocemente sopra le ruote, mentre la nostra invecchia nelle fermate, aspettando l'autobus. La dolce Avana dell'opulenza si espande a ovest specialmente nella zona di Miramar, Cubanacán, Atabey y Jaimanitas. La mia, la vera Avana, cresce saltuariamente verso San Miguel, Diez de Octubre, El Calvario e Fontanar.

Quando entrambe le città coincidono e si scontrano non possono comprendersi perché vivono realtà troppo lontane. La mia deteriorata Avana compra contando gli spiccioli, parla sotto voce e odora di acqua di fogna, mentre la città abitata da ministri, alti funzionari e diplomatici, si muove tra divani, ricevimenti ed emana un delicato aroma di crema idratante.

Preferisco senza dubbio la capitale decrepita che tornando sui propri passi ogni giorno, almeno è coerente e trasparente con quello che conserva al suo interno. L'abbiamo fatta a nostra immagine e somiglianza, o, per meglio dire, siamo noi che la imitiamo nella sua rassegnazione e nella sua miseria.
(27 novembre 2007)

L'utopia imposta
Abito un'utopia che non è la mia. Davanti a essa, i miei nonni si sacrificarono e i miei genitori consegnarono i loro migliori anni. Io la porto sopra le spalle senza potermela scrollare di dosso.
Alcuni che non la vivono tentano di convincermi - da lontano - che devo conservarla. Senza dubbio, risulta alienante vivere un'illusione estranea, accollarsi il peso di ciò che altri sognarono.

A coloro che mi imposero - senza consultarmi - questo miraggio, voglio avvertirli, da subito, che non penso di lasciarlo in eredità ai miei figli.
(10 aprile 2008)

La risposta a Castro
In questo Centro Avana di guappi e risse dove sono nata, ho imparato che esistono alcuni limiti che una donna non deve mai trasgredire. Ho passato la vita infrangendo queste risibili regole del machismo, però oggi - ma solo per questa volta - voglio aggrapparmi a una di esse. Precisamente ad una che mi ripugna. Quella che avverte: "Una donna ha bisogno di un uomo che la difenda e che si faccia avanti al suo posto quando un altro la aggredisce o la calunni". Al sentirmi attaccata da una persona con un potere infinitamente superiore al mio, con il doppio della mia età e inoltre - come direbbero le mie amiche d'infanzia - da un "uomo forte, virile, mascolino", ho deciso che sia mio marito, il giornalista Reinaldo Escobar, a rispondere.
Mi riferisco ai giudizi che Fidel Castro ha espresso su di me nel prologo del libro Fidel, Bolivia y algo mas.

Neppure un così autorevole assalto mi fa recedere dalla mia intenzione di non replicare mai né di difendermi. Mi spiace dirle che continuo a essere concentrata su un tema chiamato "Cuba".

Lasciamo questa rissa a Reinaldo e a Fidel. Io continuerò nel mio lavoro femminile di tessitrice, nonostante i pettegolezzi del condominio, sopra lo sfilacciato tappeto della nostra società civile.
I guappi del mio quartiere sapranno che ho imparato qualcosa da loro!
(traduzione di Gordiano Lupi)

(20 giugno 2008)

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