IL CASO
Libri occidentali stampati. E purgati
Interventi censori anche agli editori stranieri. La produzione costa poco ma si paga un prezzo politico
DAL NOSTRO INVIATO
PARIGI — Finché ci sono da stampare Barbapapà, i Puffi o Calimero, nessun problema. Le edizioni Gründ sono solite ottenere dalla tipografia cinese un lavoro a basso prezzo e impeccabile. Soprattutto nei libri pop-up, a tre dimensioni, ormai una vera specialità degli stampatori asiatici. Ma all'inizio di luglio la casa editrice francese ha inviato i file di un'enciclopedia illustrata, Savoir, che sarà venduta in ottobre, e che naturalmente comprende le voci Dalai Lama e Mao Zedong. La tipografia cinese stavolta non ha passato il controllo delle autorità e ha chiesto alla Gründ di togliere la fotografia del Dalai Lama e di correggere il testo su Mao sorvolando sugli orrori della Rivoluzione culturale.
La casa editrice si è rivolta all'azienda francese che ha in appalto la revisione dei testi e la gestione delle «ciano» (le ultime bozze pronte per la stampa definitiva), ma la società invece di ubbidire ha avvertito il giornale online Mediapart, fondato dall'ex direttore di Le Monde Edwy Plenel, accusando gli editori di «calare le braghe di fronte alla repressione cinese». La censura stavolta non colpisce i cittadini cinesi o i giornalisti inviati all'Olimpiade, ma arriva dritta nelle librerie delle case occidentali, ultimo e inatteso sottoprodotto della delocalizzazione. L'ultima fiera del libro di Francoforte, nell'ottobre scorso, ha visto la consacrazione delle tipografie del Sud della Cina, che hanno aumentato la loro presenza del 30% rispetto all'anno precedente. Nello stand della Hengyuan Printing Co., basata a Canton (Guangzhou), la rappresentante Stephanie Chen esibiva una suntuosa edizione francese del gatto Garfield spiegando di essere in grado di consegnare 5.000 libri agli esigenti clienti di Italia, Francia e Spagna nel giro di 3/5 settimane, a un prezzo estremamente competitivo.
I volumi illustrati per bambini, anche in italiano, sono ormai sempre più spesso realizzati in Cina. Ma, con i Giochi alle porte, i cinesi non si limitano più a stampare. Vogliono controllare il contenuto anche dei volumi che comunque non verranno mai venduti nel loro Paese. La prima tipografia cinese è il gigante Leo Paper Group, che dispone di una fabbrica a Heshan dove lavorano (e dormono negli appositi dormitori) 26 mila operai. Un'altra azienda importante è la Media Landmark Printing, basata a Hong Kong e diretta da due imprenditori italiani, Maurizio Caprotti e Manuele Bosetti. Proprio la Media Landmark Printing è al centro in Australia di un altro caso di censura, molto simile a quello francese, venuto alla luce martedì scorso. Il quotidiano The Age ha scritto che la casa editrice Hardie Grant, pronta a pubblicare la nuova enciclopedia Book of Knowledge, si è vista chiedere dalla Media Landmark Printing di Hong Kong di emendare i passaggi sui «milioni di morti» provocati dalla politica del «Grande balzo in avanti» e sulla «scarsa tolleranza del Partito comunista cinese verso gli oppositori politici». L'email arrivata a Melbourne da Hong Kong parla di «estremo nervosismo dei funzionari cinesi sui temi sensibili». La direttrice della Hardie Grant, Fran Berry, ha reagito dicendo che «non faremo alcuna modifica e se i cinesi si rifiutano di stampare quelle frasi lo faremo noi». Maurizio Caprotti della Media Landmark Printing ha spiegato a The Age che c'è grande preoccupazione per le possibili mosse delle autorità, ma che vista la reazione della Hardie Grant le bozze per il momento non verranno toccate. Dopo giocattoli, magliette, sneakers, arrivano i libri (censurati) made in China.
Stefano Montefiori
01 agosto 2008
Però, non pensavo che arrivassero a così tanto. Ma in generale come reagiscono gli imprenditori occidentali?
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