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sabato 18 aprile 2009

CENSURE CINESI

YouTube in Cina: il giornale ufficiale lo celebra ma sito censurato

Scritto da: Marco Del Corona alle 08:40
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Armonizzazioni poco armoniche, praticamente stonate. Ieri, sulla prima pagina del China Daily, il quotidiano in inglese che è la vetrina della Cina che si vuole mostrare al mondo, un titolo celebrava il debutto della YouTube Orchestra. All'interno, un ampio articolo descriveva l'avvenimento. Era naturalmente spiegato come fossero avvenute le selezioni dei musicisti, ovvero attraverso il sito di video più popolare al mondo. Peccato che quel sito, ripetutatamente citato in titoli e testi, in Cina sia inaccessibile. "Armonizzato", come dicono qui in riferimento alla "società armoniosa" che è il cardine del pensiero del presidente Hu Jintao. In Cina www.youtube.com è tagliato fuori dalla censura perché vi possono comparire messaggi sgraditi, propaganda filo-tibetana, prese in giro delle autorità eccetera eccetera. Un cortocircuito paradossale, una gaffe sotto gli occhi di tutti: il quotidiano ufficiale che parla dell'expoloit positivo di un sito, gli dà il giusto rilievo giornalistico, mentre lo stesso sito è come se in Cina non esistesse. Un cortocircuito irresistibile.
Pubblicato il 18.04.09 08:40 | | Commenti(2) | Invia il post

giovedì 12 febbraio 2009

intolleranza

dal corriere online

La tolleranza sospesa


di Pireluigi Battista

Il deputato olandese Geert Wilders non è un personaggio da ammirare. Il suo film «Fitna» offende il Corano e ferisce i musulmani. Ma se la libertà di esprimersi, girare film, viaggiare fosse riservata solo alle persone ammirevoli vivremmo in un mondo da incubo. Le autorità britanniche, come racconta oggi sul nostro giornale Luigi Offeddu, non vogliono che l’olandese Wilders metta piede in Gran Bretagna perché le «sue dichiarazioni contro i musulmani minacciano l’armonia della comunità e dunque la sicurezza pubblica nel Regno Unito». Per evitare le manifestazioni di protesta degli islamici si comprime il diritto di circolare liberamente nell’Europa tollerante, inclusiva, rispettosa di ogni «diversità ». Il diritto di diffondere le proprie idee, anche se detestabili. La paura cancella diritti di cui dovremmo andare orgogliosi: ma la circostanza passa inosservata, complice l’impresentabilità intellettuale di chi ne viene privato. Il «caso Wilders» potrebbe trasferirsi dalla Gran Bretagna all’Italia, perché è previsto (ma ancora non è sicuro) che il deputato olandese verrà nel nostro Paese per ritirare un premio, tra l’altro con l’accoglienza di alcuni parlamentari.

E’ difficile non essere d’accordo con Ian Buruma, l’intellettuale olandese che considera Wilders «non certo un artista, neppure un buon politico, solo un provocatore che cerca lo scontro e deliberatamente vuole aizzare le frange islamiche più estremiste». Ma sulla questione del «buon artista» dobbiamo necessariamente fidarci di Buruma, perché nessuno può vedere un film di cui è stata interdetta la trasmissione pubblica. Del resto, sono ormai clandestine anche le opere dei vignettisti danesi che anni fa con i loro disegni anti-Islam suscitarono cruente proteste nelle principali capitali musulmane, esposero la Danimarca alla ritorsione delle «frange islamiche più estremiste», consegnarono i loro autori e i responsabili dei giornali che ne consentirono la pubblicazione ai rigori di una vita blindata, superprotetta e taciturna. Nessuno ha potuto vedere «Submission », il film sull’Islam del regista Theo Van Gogh assassinato in Olanda secondo il rituale riservato ai nemici della religione.

Nessuno immagina il tipo di vita di Robert Redeker, l’insegnante francese che, dopo aver scritto su Le Monde un articolo molto veemente contro il fondamentalismo islamista, ha perso il suo lavoro e vive rintanato nella clandestinità. A vent’anni esatti dalla fatwa scagliata contro Salman Rushdie, e quando ancora la «rinnegata» Ayaan Hirsi Ali patisce in Olanda la sua vita braccata e sotto perenne scorta, la fine della sindrome dell’ 11 settembre, la percezione di uno sbiadirsi dello scenario di guerra che quell’evento epocale aveva prodotto, ha lasciato un manipolo di fantasmi in balia della furia vendicatrice delle «frange estremiste ». Anche Wilders è forse un estremista del fanatismo anti-islamico, ma l’ostracismo europeo, britannico (e italiano?) decretato nei suoi confronti è la sconfitta di uno «stile di vita» liberale e tollerante che è esattamente il bersaglio dell’odio di matrice totalitaria e integralista. Il ricordo dell’11 settembre non è più così cocente, per fortuna. Ma la dimenticanza comporta dei prezzi. L’autocensura compresa.

martedì 27 gennaio 2009

UNA BOZZA PERICOLOSISSIMA PER LA LIBERTA' DI ESPRESSIONE


"Contro i pirati, censura web"
E' una bozza ma è già polemica
E' arrivata al comitato governativo (sembra messa a punto dalla Siae) la proposta di legge contro la pirateria digitale e ha scatenato l'inferno in rete. A farne le spese potrebbero essere non solo gli utenti ma anche "soggetti come YouTube, a tutto vantaggio di Mediaset e delle altre tv" di ALESSANDRO LONGO

"Contro i pirati, censura web" E' una bozza ma è già polemica
UNA PROPOSTA di legge che, combattendo la pirateria digitale, spinge verso una censura del web. Una censura dall'alto, con un rigore mai visto prima in Italia. E a farne le spese potrebbero essere non solo gli utenti ma anche soggetti come YouTube, a vantaggio di Mediaset e delle emittenti che sentono violati i propri diritti d'autore.

Sono questi aspetti che stanno facendo divampare le polemiche, in rete, sulla prima proposta di legge arrivata al neonato Comitato tecnico governativo contro la pirateria digitale e multimediale. Il documento è trapelato sul web e pubblicato da Altroconsumo, associazione dei consumatori, che lo boccia allarmata: "Il provvedimento appare arcaico, protezionista e contrario agli interessi dei consumatori e dell'innovazione del mercato digitale".

"Ad inquietare sono numerosi punti di quella proposta", spiega a Repubblica.it Guido Scorza, avvocato tra i massimi esperti di internet in Italia. "Per prima cosa, si dà una delega in bianco al governo, per attuare nuove misura a difesa del diritto d'autore. I imponendo responsabilità, in caso di violazione, a utenti e a"prestatori di servizi della società dell'informazione". Chi sono questi soggetti? "Nella proposta si parla anche di provider internet, che però per il diritto comunitario, recepito in Italia, non possono essere responsabili di quanto fatto dai propri utenti. Pensiamo allora che la proposta voglia attribuire responsabilità, ora non certe sul piano giuridico, a soggetti come YouTube e a fornitori di hosting".

"Se passasse questa proposta, certo YouTube perderebbe la causa contro Mediaset e altre emittenti che lo denunciano per la presenza di materiale pirata sul portale", aggiunge Scorza. YouTube (e altri portali analoghi) chiuderebbe in Italia, subissato da cause perse, o sarebbe a cambiare molto il servizio solo per gli italiani.

La proposta non parla di misure contro gli utenti che violano il diritto d'autore (scaricando e condividendo file pirata), "ma quella delega in bianco non lascia presagire nulla di buono. Potrebbe essere la nota misura della disconnessione coatta degli utenti da internet, la cosiddetta dottina Sarkozy, che questo governo, la Siae e Fimi hanno già dichiarato di apprezzare". Dottrina che però è ancora in forse e ha già ricevuto una bocciatura dal parlamento europeo perché lesivo dei diritti degli utenti.

Sorprende poi un articolo, nella proposta, che con il diritto d'autore non ha niente a che vedere ma che ha il sapore della censura a 360 gradi: "Attribuzione di poteri di controllo alle Autorità di governo e alle forze dell'ordine per la salvaguardia su tali piattaforme telematiche del rispetto delle norme imperative, dell'ordine pubblico, del buon costume, ivi inclusa la tutela dei minori".

Insomma, una specie di commissione di censura di quello che sta sul web, come avviene per il cinema, ma con ricadute molto più pesanti: perché andrebbe a porre paletti alla possibilità di ciascun utente di leggere o pubblicare una notizia o un video d'informazione. Su uno sciopero non autorizzato, per esempio, o su alcuni fatti potenzialmente diffamanti per un politico. Si noti che una norma simile, il Child Safe Act, voluto da Bush, è appena stata dichiarata anticostituzionale negli Usa. L'Italia andrebbe quindi contro tendenza, se passasse la proposta.

A contorno di tutta la vicenda c'è un giallo. In rete i primi commenti hanno attribuito la proposta alla Siae, che siede al Comitato. La Siae nelle scorse ore ha smentito quest'attribuzione, ma senza entrare nel merito del documento. Ha smentito, insomma, solo di esserne il padre, ma non ne ha negato l'esistenza. Addetti ai lavori continuano però a sospettare che sia stata proprio la Siae a redigerlo. Il motivo è che il nome della Siae appare indicato come l'autore del documento, nelle proprietà del file della proposta di legge trapelato agli addetti ai lavori (e che Repubblica.it ha potuto leggere).

"Crediamo che adesso, dopo questa polemica, si possa tornare a discutere prendendo le distanze da quel documento. Così, del resto, il governo ci aveva promesso: il ministro Sandro Bondi (per i beni e le attività culturali) aveva detto infatti che la proposta di legge sarebbe arrivata al Comunicato solo dopo una consultazione con le varie parti", dice Marco Pierani, responsabile rapporti istituzionali di Altroconsumo. Consultazione che ancora non è avvenuta. Ecco perché i consumatori si sono sentiti traditi all'arrivo di questa proposta di legge.

(27 gennaio 2009)

venerdì 2 gennaio 2009

VOGLIONO CENSURARE L'OROSCOPO


L'OROSCOPO CI AIUTA A SUPERARE L'ANGOSCIA DELL'IGNOTO

MILANO - "Ogni volta che ci troviamo davanti a un futuro incerto, l'oroscopo puo' aiutarci a superare l'inquietudine, l'angoscia derivante dall'ignoto", cosi' Gianna Schelotto, psicoterapeuta e scrittrice, risponde alle polemiche delle ultime ore nei confronti delle previsioni zodiacali che accompagnano ogni inizio d'anno. L'Aiart, Associazione spettatori cattolici, ha accusato la Rai di aver ceduto alla superstizione, mentre la Lega Nord, a ruota, ha annunciato l'intenzione di chiedere aumenti alle tasse di cartomanti e lettori di tarocchi in tv. (Agr)

domenica 28 dicembre 2008

ENNESIMO ATTACCO ALLA LIBERTA' DI ESPRESSIONE


Gb, web nel mirino del governo
Ci vuole il "vietato ai minori"
Il ministro della Cultura: "Un mondo pericoloso". Cercherà un accordo con Obama per limitare i siti in lingua inglese
dal nostro inviato CRISTINA NADOTTI

Gb, web nel mirino del governo Ci vuole il "vietato ai minori"
LONDRA - Dice che non è una campagna contro la libertà di espressione, ma intanto chiede una vera e propria censura per Internet. L'ultimo di una lunga serie di attacchi alla libertà e all'essenza stessa della rete arriva dal ministro della Cultura britannico Andy Burnham che, con un'affermazione degna della caccia alle streghe, bolla Internet come "qualcosa di molto, molto complesso e un mondo piuttosto pericoloso" e annuncia un piano per valutare i siti con lo stesso sistema dei film: "vietato ai minori di".

In una intervista al quotidiano The Daily Telegraph il ministro laburista si lancia in una crociata che vede in Internet un vaso di Pandora da richiudere al più presto. "Sono categorico in proposito - dice Burnham - su Internet si possono trovare contenuti che considero inaccettabili, quali, ad esempio, una decapitazione". Per riportare quelli che definisce "criteri di decenza" in rete, Burnham progetta di arruolare alla sua causa anche Obama. "Parlerò con la nuova amministrazione appena il presidente sarà ufficialmente in carica - annuncia - per definire degli standard comuni per i siti di lingua inglese. Un'opzione potrebbe essere quella di chiedere ai provider di indicare chiaramente se il materiale coontenuto nei siti è adatto a certe fasce di età". In pratica, così come accade per film e videogiochi, alcuni siti dovrebbero riportare la scritta "non adatto ai minori di..".

Burnham è consapevole che le sue proposte alimenteranno ancora il dibattito sull'accessibilità di Internet e sui tentativi arrivati da più parte di controllare un mezzo che fa della libertà di espressione una delle sue caratteristiche intrinseche. "Non si tratta affatto di una campagna per limitare la libertà di espressione - dice il ministro - è piuttosto il tentativo di dare risposte a un problema che interessa molte persone, perché le mette a repentaglio. Dobbiamo dare ai genitori più possibilità per capire che cosa fanno i loro figli sulla rete, quali siti consultano e chi c'è dietro di essi. In questo momento non c'è alcuna garanzia in proposito".

Tra le prime misure annunciate dal ministro della Cultura, l'imposizione a grandi provider come British Telecom, Tiscali, Aol e Sky di offrire servizi internet in cui gli unici siti accessibili sono quelli adatti anche ai bambini. "Se guardiamo agli esordi di Internet - spiega Burnham - vediamo che chi creò la rete aveva come obiettivo dichiarato di avere uno spazio al quale i governi non avessero accesso. Credo che sia venuto il momento di riconsiderare tali affermazioni". Il governo si erge infine a paladino delle persone diffamate da Internet e annuncia assistenza legale per coloro che hanno visto la loro reputazione minacciata da contenuti online. Tra le misure anche una legge per imporre a siti come Facebook e youTube di rimuovere immediatamente contenuti ritenuti offensivi o dannosi, senza bisogno di un'azione legale. A chi spetti il ruolo di giudice, per decidere immediatamente che quei contenuti sono da rimuovere, Burnham non lo dice.

martedì 9 dicembre 2008

YOU TUBE CENSURATO


La svolta moralista di YouTube
Censura di clip e filmati sexy
Regole rigide su video da bollino rosso e violenti: via dalla prima pagina di ALESSANDRO LONGO

La svolta moralista di YouTube Censura di clip e filmati sexy
ROMA - Un'onda neopuritana ha investito YouTube, il più grande portale di video al mondo, visitato da 300 milioni di utenti ogni mese e posseduto dal colosso Google. Ha adottato da qualche giorno regole molto rigide sui propri contenuti, bollando come vietati ai minori anche quei video che solo alludono alla sessualità. Come dire che se gli amministratori di YouTube facessero un giro su uno dei nostri varietà in prima serata ci metterebbero subito il bollino rosso. Adesso chiedono l'aiuto degli utenti, che segnalino i video "peccaminosi". Così loro, oltre al marchio vietato i minori, nasconderanno il video agli occhi dei più. Bandito dalle liste dei video più visti e dalla pagina principale del portale.
E basta davvero poco per avere il "bollino rosso", come spiegato nelle nuove regole pubblicate sul blog ufficiale di YouTube: la semplice presenza di un letto, vestiti trasparenti, posture che "stimolino sessualmente il pubblico". Nudi parziali, anche fuori da un contesto erotico. Video dove la telecamera insiste sul seno, le natiche o altri punti caldi, anche coperti, dei personaggi.

Sgraditi non solo il sesso (o la sua parvenza) ma anche immagini o parole blasfeme, video con scene violente, fittizie o reali. Il motivo ufficiale è "essere sicuri che non vi imbattiate per caso in contenuti che non sono rilevanti per voi". È un'operazione, insomma, con cui YouTube vuole rifarsi l'immagine. La sua facciata, del resto, è data proprio da quanto appare nella pagina principale. La ripulisce dai video scomodi, che potrebbero offendere o turbare qualcuno. YouTube prova a diventare un medium del politicamente corretto.

Sorprende, questa svolta, perché YouTube è stato da sempre il completo opposto: l'insegna dell'anarchia creativa, dove ci si può trovare di tutto. L'adolescente che fa o dice cose bizzarre e si guadagna 15 minuti di notorietà, videogiornalismo dal basso, cori di neonazisti (di recente banditi dal portale), video pirata tratti senza permesso dalla tivù tradizionale. Questi ultimi hanno valso numerose denunce a Google da parte delle emittenti, anche da Mediaset. Il motivo è che su YouTube tutti possono pubblicare i propri video senza controlli preventivi. Un clic e sono subito visibili al mondo. Solo in un secondo momento, se si scontrano con qualche regola, vengono eliminati o bollati dagli amministratori. Questa libertà, nel bene o nel male, ha dato a milioni di persone l'opportunità di esprimersi. Ha ribaltato gli schemi dei media tradizionali, in nome di una visione libertaria che è alle origini del web e in fondo anche di Google agli esordi.

Che cosa è cambiato, allora? "È noto che YouTube ancora non dà profitti ma solo grane legali a Google, che per comprarlo ha speso un'enormità, 1,65 miliardi di dollari", spiega Adam Daum, esperto di questi temi per l'osservatorio di ricerca Gartner. YouTube si dovrebbe reggere solo sulla pubblicità, ma finora ha spaventato grossi sponsor, che non gradiscono far comparire il proprio marchio vicino a certi contenuti. La crisi, che colpisce anche Google, aumenta l'ansia di profitti. Di qui il cambio d'immagine, che parte da lontano. Da tempo YouTube sta aumentando il numero di video provenienti da accordi con le emittenti televisive, sport e intrattenimento tradizionale. Così il ruolo degli utenti diventa sempre più marginale. E ora subiscono regole che sembrano uscite dal sermone di un predicatore puritano.

(7 dicembre 2008)

lunedì 1 dicembre 2008

CENSURA

Arrestato per aver creato
un gruppo su FaceBook

Un croato ha inaugurato la community «5milapersone che odiano il primo ministro»

La fotografia che «apre» il gruppo dell'attivista croato arrestato
La fotografia che «apre» il gruppo dell'attivista croato arrestato
MILANO - Nei giorni scorsi è stato arrestato dalla polizia, prima in quanto detentore di simboli nazisti in casa propria (ma non sono state trovate prove), poi per il possesso di materiale pedo pornografico: si tratta del cittadino croato Nikša Klecak, che ha attirato le ire delle istituzioni per la sua iniziativa su Facebook, dove ha creato un gruppo dal titolo: «I bet I can find 5,000 people that hate the Prime minister», ovvero «scommettiamo che trovo cinquemila persone che odiano il primo ministro?». Il Premier in questione è Ivo Sanader, ultimamente al centro di molte polemiche per la propria politica economica e per la ripresa delle tensioni con la Serbia. Ovviamente è subito nato un nuovo gruppo su Facebook in difesa dell'arrestato, in cui si allude molto chiaramente ad aspiranti agenti Gestapo e all'imposizione di un clima liberticida. Klecak alla fine ha raccolto oltre 7 mila iscrizioni, ma la gente è stanca della persecuzione della politica contro le persone.

PROTESTE SU FACEBOOK – In realtà manifestare il dissenso sui siti di social networking, utilizzando gli strumenti del web 2.0 per riunire nemici oltre che amici, è uno strumento di attivismo ormai collaudato anche nei Paesi sotto censura, come l'Egitto. In Occidente, si contano centinaia di gruppi del tipo «Scommettiamo che trovo 1.000.000 di persone che odiano George Bush?». In questo caso, considerata anche la rilevanza del Presidente americano, i numeri erano ben diversi, ma il fine di trovare anche nell'odio una comunanza ricorda molto la strategia del cittadino Nikša Klecak. E anche in Italia esistono gruppi simili, scagliatisi via via contro Gelmini, Berlusconi, o Veltroni. Per il momento il ragazzo croato è stato rilasciato, ma è abbastanza importante sottolineare la sua provenienza politica, trattandosi di un rappresentante di una sezione del partito dell'SDP (Partito socialdemocratico), ovvero l'opposizione al governo in Croazia.

Emanuela Di Pasqua
01 dicembre 2008

sabato 11 ottobre 2008

aridatece "pimp my valley"!!!

Parte la campagna pubblicitaria, Ma il presidente la blocca dopo le polemiche

Valle d'Aosta: veline montanare e rap
ma lo spot viene oscurato

Un'immagine di «PimpMyValley» (da Aostaoggi.it)
Un'immagine di «PimpMyValley» (da Aostaoggi.it)
MILANO - Quando il rapper ha finito di cantare, quando le ragazze-veline hanno smesso di ballare, quando sono passati i 2 minuti e 53 secondi di parole a raffica tipo «Valle d'Aosta», «polenta concia», «slalom fuoripista», «Monte Bianco-Gran Paradiso», «Casinò di Saint Vincent», quando anche il bue ha finito di muggire... Ecco. A quel punto Augusto Rollandin, presidente della regione Valle d'Aosta, ha staccato gli occhi dallo schermo e ha scosso la testa: «Ma che roba è?». Un minuto dopo la questione era già nelle mani dell'assessore regionale al Turismo, Aurelio Marguerettaz. «Non andremo davvero a Roma a presentare questa sconceria per promuovere la nostra regione?», si è preoccupato Rollandin. Tutto questo giovedì pomeriggio.

L'home-page del sito oscurato (da Aostaoggi.it)
L'home-page del sito oscurato (da Aostaoggi.it)
Venerdì mattina quella «sconceria» è sparita dalla Rete. Del resto, dopo una breve consultazione con la sua giunta già nella serata di giovedì il presidente era stato chiaro: «Non concordiamo sul contenuto di questo lavoro. Ragazze scosciate che ballano in quel modo... le immagini dei nostri monti e i simboli della cultura valdostana sullo sfondo... non è il nostro target, quindi ritiriamo quel sito, lo cancelliamo». Altro che «linguaggio divertente, in grado di catturare i più giovani», come spiegano alla Saatchi & Saatchi, la società milanese che ha ideato quelle pagine Internet a ritmo di rap. Il sito, presentato una prima volta l'8 ottobre a Milano, si chiama «PimpMyValley» e fa parte della promozione della stagione turistica valdostana 2008-2009, la terza affidata dai valdostani alla Saatchi & Saatchi dopo la gara d'appalto del 2004 che ha assicurato alla società un contratto da oltre 100 mila euro. L'amministratore delegato, Fabrizio Caprara, dice che «il vero lancio online è previsto per il 20 ottobre a Roma» che quello contestato è «un prodotto ancora in progress».

Sorride il dottor Caprara, ma che non si parli di sito oscurato. Perché il sito ufficialmente non è ancora nato. Impossibile sapere la cifra precisa investita in «PimpMyValley» del quale, in teoria, potrebbe salvarsi ben poco anche se nell'anticipazione milanese sembrava mancasse tutt'al più qualche ritocco. L'agenzia parlò di «modernità» mentre scorrevano le immagini di ragazze (più o meno vestite con un clic del mouse) che invitavano a scoprire questa o quella meraviglia made in Valle d'Aosta. «Roba che non ci interessa», l'ha fatta breve Rollandin. Come i lettori di Aostaoggi.it: bocciano il sito-non sito, polemizzano e discutono online: ma la parola «pimp» non significa «magnaccia»?

Giusi Fasano
11 ottobre 2008

lunedì 4 agosto 2008

la povera estate italiana

Divieti, l'estate neo-proibizionista

I diktat transpadani dimostrano impotenza: proibiamo tutto perché non riusciamo a impedire qualcosa

ROMA - Non filmare i figli in piscina! A Trento ti prendono per un pedofilo. Non darti appuntamento con gli amici in un giardino pubblico la sera! A Novara ti considerano un malintenzionato. Non berti una birra all'aperto! A Brescia passi per un ubriacone. Non fumare nei parchi-giochi! A Verona dicono che non sta bene. Non fare il bagno a Sorrento e non raccogliere cozze a Napoli! In Campania il mare di oggi è infido come le strade di ieri. Non avvicinarti alla caletta più bella dell'Asinara! Solo le vacche possono passeggiarci e lasciare enormi souvenir. Non denudarti nelle spiagge dei nudisti! A Ravenna, sul Garda e sull'Adda, come a Palazzo Chigi, ritengono che un capezzolo possa provocare turbamenti (evidentemente, non guardano la Tv). E' l'estate del divieto a go-go. Tutto ciò che si vorrebbe fare costa caro, e il resto è vietato. Non tutti i divieti, ovviamente, sono uguali. Ce ne sono d'inquietanti (Trento), d'impotenti (Novara) e di anacronistici (Ravenna). Alcuni sono segni di disperazione (Brescia); altri contengono una dose di buon senso (Verona). Non c'è dubbio comunque che l'autorità italiana — irrisa dall'inosservanza delle regole — abbia trovato, nella proibizione, una consolazione. Anzi, una ragion d'essere. Veto ergo sum. Cominciamo da Trento. In quella bella e civilissima città se inquadri con la videocamera o il telefonino una vasca piena di bambini diventi sospetto. La piscina — spiega Roberto De Carolis, direttore della società che gestisce 92 impianti sportivi — è infatti un «territorio fertile per un certo tipo di reato». Che dire? La preoccupazione è genuina, ma il rimedio è inquietante. Siamo ridotti come gli Usa, dove i bambini nudi — su una spiaggia o in una foto di famiglia — sono tabù da almeno vent'anni. Perdita dell'innocenza o paranoia collettiva? Siamo per la risposta numero due. A Novara il sindaco Massimo Giordano impedisce di fermarsi in parchi e giardini dopo le 11 di sera, in più di due persone; a Brescia il collega Adriano Paroli vieta il consumo di alcolici sul suolo pubblico (finirà, di nuovo, come in America, la gente berrà direttamente dal sacchetto). I divieti transpadani equivalgono a una confessione d'impotenza: siccome non riusciamo a impedire qualcosa a qualcuno, proibiamo molto a tutti. Sia chiaro: i bivacchi molesti sono un marchio di questa povera estate italiana, e qualcosa va fatto. Ma per punire spacciatori, ubriaconi e piantagrane c'è — ci sarebbe — il codice penale. In Italia, evidentemente, è troppo difficile far rispettare le norme esistenti. Meglio inventarne di nuove, pur sapendo che finiranno come quelle vecchie. Altri divieti sono più tradizionali: sulla salute delle cozze, a Napoli, c'è più letteratura che su Eduardo De Filippo. Il divieto di fumo nei parchi-giochi a Verona, invece, appare ragionevole: non tanto perché i bimbi, all'aperto, siano vittime del fumo passivo; ma perché non è simpatico saltare e correre tra i mozziconi. Per lo stesso motivo, nella tollerante Sydney, hanno vietato il fumo a Bondi Beach. La spiaggia stava diventando un immenso posacenere. Il divieto logico è tuttavia in minoranza, nell'Italia neo-proibizionista (a parole). Il divieto più buffo è quello di mettersi nudi in luoghi appartati, al mare, al lago o lungo i fiumi. Oggi, siamo certi, neppure Oscar Luigi Scalfaro avrebbe nulla da dire se una dozzina di adulti consenzienti si ritrovassero per dondolare un po' di carne in pubblico. Ma sull'Adda, sul Garda e sull'Adriatico ritengono la cosa assai sconveniente: il senso del pudore cambia, certa gente mai. Un consiglio alle autorità in questione: se vi avanzano agenti in borghese, non sguinzagliateli dietro ai glutei di un vice-preside naturista. Mandateli a Novara o a Brescia dove, oggettivamente, da fare ce n'è.

Beppe Severgnini
www.corriere.it/italians
www.beppesevergnini.com

venerdì 1 agosto 2008

privacy sempre più violata

Gli agenti federali possono frugare tra i dati delle persone in transito negli Stati Uniti
Non è necessario che l'individuo sia sospettato di qualche crimine




A rischio anche cellulari e iPod. La motivazione: "Prevenire il terrorismo"

Usa, nuovo allarme privacy "Controllate i pc dei viaggiatori"
WASHINGTON - Nuove misure contro il terrorismo, ed ancora polemica negli Stati Uniti. Pressato dai gruppi per i Diritti civili e dai viaggiatori di affari, il governo ha dovuto rivelare la sua politica sulle perquisizioni e sul sequestro dei dispositivi elettronici.
Il Dipartimento della sicurezza interna ha diffuso un documento che rivela alcuni particolari non ancora noti.
La polizia di frontiera ha il diritto di sequestrare il computer portatile o qualsiasi altro dispositivo elettronico (iPod, cellulare, palmare) senza che il proprietario sia sospettato di alcun crimine. Non solo: i dati possono essere esaminati sul luogo del sequestro oppure inviati al dipartimento centrale, dove potranno essere conservati per "un ragionevole periodo di tempo" e in seguito, se non sarà risultato nessun pericolo per la sicurezza pubblica, distrutti. Alcuni viaggiatori hanno già subito il sequestro dei loro computer che, in qualche caso, non è tornato in loro possesso prima di alcuni mesi. La direttiva colpisce i quasi 400 milioni di persone che raggiungono gli Stati Uniti ogni anno, ma anche gli stessi cittadini americani.

La denuncia arriva dalle pagine del Washington Post, che dopo aver visionato il documento ha interpellato Greg Nojeim del Centro per la Democrazia e la Tecnologia. "Dicono che possono prelevare tutte le informazioni nel laptop di un viaggiatore senza avere alcuna prova che questi sta infrangendo la legge ed inoltre - prosegue Nojeim - la polizia non stabilisce alcun criterio per stabilire quale computer deve essere esaminato". Inoltre nel documento non si precisa quale tutela sia riservata ai dati personali e sensibili come le condizioni mediche o i dettagli finanziari.

La misura sarebbe stata presa per fronteggiare quello che il segretario della Sicurezza interna ha definito "il più pericoloso dei contrabbandi", ovvero "i dati contenuti nei computer che possono comprendere materiali sulla Jihad o pedopornografia ed altro ancora".

(1 agosto 2008)

censura esportata

IL CASO
Libri occidentali stampati. E purgati
Interventi censori anche agli editori stranieri. La produzione costa poco ma si paga un prezzo politico

DAL NOSTRO INVIATO
PARIGI — Finché ci sono da stampare Barbapapà, i Puffi o Calimero, nessun problema. Le edizioni Gründ sono solite ottenere dalla tipografia cinese un lavoro a basso prezzo e impeccabile. Soprattutto nei libri pop-up, a tre dimensioni, ormai una vera specialità degli stampatori asiatici. Ma all'inizio di luglio la casa editrice francese ha inviato i file di un'enciclopedia illustrata, Savoir, che sarà venduta in ottobre, e che naturalmente comprende le voci Dalai Lama e Mao Zedong. La tipografia cinese stavolta non ha passato il controllo delle autorità e ha chiesto alla Gründ di togliere la fotografia del Dalai Lama e di correggere il testo su Mao sorvolando sugli orrori della Rivoluzione culturale.

La casa editrice si è rivolta all'azienda francese che ha in appalto la revisione dei testi e la gestione delle «ciano» (le ultime bozze pronte per la stampa definitiva), ma la società invece di ubbidire ha avvertito il giornale online Mediapart, fondato dall'ex direttore di Le Monde Edwy Plenel, accusando gli editori di «calare le braghe di fronte alla repressione cinese». La censura stavolta non colpisce i cittadini cinesi o i giornalisti inviati all'Olimpiade, ma arriva dritta nelle librerie delle case occidentali, ultimo e inatteso sottoprodotto della delocalizzazione. L'ultima fiera del libro di Francoforte, nell'ottobre scorso, ha visto la consacrazione delle tipografie del Sud della Cina, che hanno aumentato la loro presenza del 30% rispetto all'anno precedente. Nello stand della Hengyuan Printing Co., basata a Canton (Guangzhou), la rappresentante Stephanie Chen esibiva una suntuosa edizione francese del gatto Garfield spiegando di essere in grado di consegnare 5.000 libri agli esigenti clienti di Italia, Francia e Spagna nel giro di 3/5 settimane, a un prezzo estremamente competitivo.

I volumi illustrati per bambini, anche in italiano, sono ormai sempre più spesso realizzati in Cina. Ma, con i Giochi alle porte, i cinesi non si limitano più a stampare. Vogliono controllare il contenuto anche dei volumi che comunque non verranno mai venduti nel loro Paese. La prima tipografia cinese è il gigante Leo Paper Group, che dispone di una fabbrica a Heshan dove lavorano (e dormono negli appositi dormitori) 26 mila operai. Un'altra azienda importante è la Media Landmark Printing, basata a Hong Kong e diretta da due imprenditori italiani, Maurizio Caprotti e Manuele Bosetti. Proprio la Media Landmark Printing è al centro in Australia di un altro caso di censura, molto simile a quello francese, venuto alla luce martedì scorso. Il quotidiano The Age ha scritto che la casa editrice Hardie Grant, pronta a pubblicare la nuova enciclopedia Book of Knowledge, si è vista chiedere dalla Media Landmark Printing di Hong Kong di emendare i passaggi sui «milioni di morti» provocati dalla politica del «Grande balzo in avanti» e sulla «scarsa tolleranza del Partito comunista cinese verso gli oppositori politici». L'email arrivata a Melbourne da Hong Kong parla di «estremo nervosismo dei funzionari cinesi sui temi sensibili». La direttrice della Hardie Grant, Fran Berry, ha reagito dicendo che «non faremo alcuna modifica e se i cinesi si rifiutano di stampare quelle frasi lo faremo noi». Maurizio Caprotti della Media Landmark Printing ha spiegato a The Age che c'è grande preoccupazione per le possibili mosse delle autorità, ma che vista la reazione della Hardie Grant le bozze per il momento non verranno toccate. Dopo giocattoli, magliette, sneakers, arrivano i libri (censurati) made in China.

Stefano Montefiori
01 agosto 2008

giovedì 31 luglio 2008

sinistri cinesi - le olimpiadi della censura

“La censura è snervante, dissuasiva, efficace”
Giovedì, 31 Luglio 2008

manifesto.jpg“Non è stato facile mandare avanti questo blog durante i miei ultimi giorni a Pechino. Soprattutto, non è stato facile trovare la pazienza per scrivere due righe, caricare una foto (e riuscire a pubblicarla) nella speranza di non trovare la pagina bianca subito dopo aver cliccato su “pubblica post”. La censura è snervante, dissuasisva, efficace. Tutto ciò di cui hai bisogno funziona poco e male, la normalità è un’eccezione e a poco a poco riesce a toglierti la voglia di comunicare con il mondo. Io che ormai ero alla fine, la censura l’ho lasciata vincere, preferendo girare per la città piuttosto che cercare, per ore e ore, l’ennesimo espediente da hacker sfigato dell’ultim’ora”. Michele, un ventiquattrenne italiano che per alcuni mesi ha studiato in Cina e ha tenuto il suo blog Michele in Cina, descrive così il potere banale, quotidiano, avvolgente della censura.

Il comunicato di Amnesty - Ora però l’hanno scoperta anche i giornalisti stranieri. E perfino il Comitato Olimpico Internazionale, che forse avrebbe potuto farsene un’idea già da un po’. Ieri c’è stata una dura protesta di Amnesty International di cui dava conto Federico Rampini, nel suo Estremo Occidente, su Repubblica.it, il diario più approfondito e competente di quanto avviene nella capitale cinese in questi giorni. Le dichiarazioni del Cio e di Amnesty hanno dato vita una lunga scia di proteste e denunce sul web, forse anche meno di quanto fosse lecito aspettarsi.

20080731_artefatti.jpg“Ci hanno ingannati” - “Sulla libertà di stampa la Cina ha ingannato il mondo per sette anni” scrive Blogosfere-Pechino 2008. Sulla stessa linea 4mj : “La promessa fatta dalla Cina al CIO, secondo la quale almeno la stampa internazionale avrebbe avuto accesso ad internet senza limitazioni, non è stata mantenuta, infatti la censurà ci sarà per tutta la durata dei giochi“. E Hai Sentito. “Pechino colpisce ancora. La scure della censura ha colpito i media stranieri”.

Appelli e vignette- Contro la censura si può disegnare, come fa Gianfalco, o indignarsi e chiamare al boicottaggio come fa BioGiannozzi o dare il proprio contributo spiegando nel dettaglio tecnico i meccanismi che permettono di filtrare/bloccare la comunicazione web - che peraltro sono adottati in molti altri paesi del mondo, anche retti da democrazie - come fa Sismi-Blog (Sismi?).

L’infelice battuta di Frattini - Della “infelice ironia del ministro Frattini“ parla Jimmomo, Il ministro degli esteri, che dovrà essere a Pechino per la cerimonia inaugurale e ieri ha detto: “Temo che per un giornetto o due i miei diritti umani (le ferie!) siano a rischio in agosto“. Sul nostro ministro e le scelte del governo, piove sarcasmo - Fraticel Frattini - anche da Ideateatro. Così come The Instablog afferma “Da Pechino nessun passo indietro, i siti internet restano oscurati. Da giornalista scrive Man of Higland: “Secondo quanto affermano i giornalisti che da alcuni giorni lavorano al Main Press Centre e all’International Broadcasting Centre nella zona olimpica della capitale cinese, sono regolarmente bloccati anche i siti di dissidenti, esuli tibetani, e gruppi religiosi non graditi al governo di Pechino“.

L’ipocrisia del Cio - Durissimo con il Cio e “la corsa contro il tempo per far apparire le olimpiadi di Pechino uguali alle altre” il blog specializzato sull’oriente 1972. Cosi come Passi nel deserto dice che “spariranno anche i siti di amnesty” (ciò che è regolarmente avvenuto Ndr).

E anche parlar di sesso è proibito? - Ma non è questione di soli giornalisti: protesta ZioBudda, un blog di informazione tecnologica, LuigiBoschi (”la censura rimane”). Il Blog Censurato rilancia il manifesto di Amnesty International che riproduciamo qui sopra. LadyCleopatra si addolora che tra gli interdetti ci sia anche il parlar di sesso: “Il ” bon-ton” dei pechinesi recita tre argomenti tabù: sesso, religione e politica. E’ quanto raccomanda il bollettino affisso per le vie di Dongchang: centralissimo quartiere della città, sede dei prossimi giochi Olimpici.”

(a cura di vittorio zambardino)

Questo post è stato completato alle 12 del 31 luglio 2008

Per la discussione si prega di leggere le avvertenze

Immagini: in alto, Amnesty International. In basso, Artefatti.

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LA CINA SINISTRA: CADE LA MASCHERA

LA CINA CENSURERÀ INTERNET DURANTE LE OLIMPIADI - IL CIO: "QUESTA È LA CINA, SIAMO IMPOTENTI" - OSCURATO ANCHE IL SITO DELLA BBC – “LE E-MAIL DEI GIORNALISTI VERRANNO MONITORATE DURANTE I GIOCHI?”…


Marco Mensurati per “la Repubblica”

La Cina censurerà Internet durante le Olimpiadi. La grande maschera è caduta. E nonostante il Comitato olimpico internazionale (Cio) si sia prontamente chinato a raccoglierne i pezzi, ormai alla favola delle Olimpiadi libere non ci crede più nessuno.

Contestazione pro Tibet
f. La Stampa

Nei giorni scorsi gli osservatori internazionali, guidati da Amnesty International, avevano accusato le autorità cinesi di aver cominciato a oscurare molti siti in vista delle Olimpiadi. La prima replica era stata imbarazzata: «Forse sono solo problemi tecnici». Invece ieri, dopo le pressioni esercitate da tutto il pianeta, è arrivata la piena confessione della Cina: «Durante le Olimpiadi - è la dichiarazione ufficiale del portavoce del comitato organizzativo, il signor Sun Weide - forniremo un accesso a internet sufficiente per il lavoro dei giornalisti». Un goffo eufemismo, per altro in contraddizione con le garanzie fornite al Cio in fase di assegnazione dei Giochi, per annunciare la censura.

Una prima lista nera di siti che verranno oscurati era stata divulgata - e mai smentita - all´inizio della settimana. Questi siti - secondo il "Centro cinese per i contenuti internet illegali" - «contenevano informazioni illegali e dannose». Per lo più si trattava di testate giornalistiche e culturali collegate con il movimento spirituale Falun Gong, fuorilegge in Cina perché «cultore del malvagio».

Ma ieri si è appreso che anche altri siti verranno oscurati per tutto il periodo olimpico: come quelli di Amnesty international, della Bbc, di Deutsche Welle (una radio tedesca), e dei giornali Apple Daily (Hong-Kong) e Liberty Times (Taiwan). Censurati anche i portali di molti gruppi cristiani tra i quali quello del Pontificio istituto missioni estere (pime.org).

«La nostra promessa era di permettere ai giornalisti di usare internet per il loro lavoro durante le Olimpiadi - ha aggiunto Sun Weide - e noi abbiamo assicurato questa possibilità a sufficienza». Il tutto mentre ieri la Camera degli Stati Uniti approvava una risoluzione nella quale chiede al governo cinese di porre fine alla violazione dei diritti umani, cessando anche il proprio sostegno ai governi del Sudan e della Birmania.

All´insegna della più totale impotenza, la reazione del Cio, schiacciato tra il tradimento della Cina e le pressioni della comunità internazionale. In una intervista al South China Morning Post, il portavoce Kevan Gosper annaspa disperatamente, chiede scusa, e poi si rifugia in una dichiarazione solo apparentemente ambigua: «So che è stato raggiunto un accordo tra il Cio e gli organizzatori per bloccare alcuni siti. Se avete frainteso quello che in questi anni ho sempre detto circa l´accesso libero alla rete durante i Giochi, allora chiedo scusa. Non sto facendo una retromarcia. Ci sarà accesso pieno, aperto e libero per consentire ai giornalisti di seguire le Olimpiadi. Ma non possiamo garantire l´accesso a siti legati alle attività correlate o a qualsiasi altra cosa succeda in Cina». Il fatto è che nessuno ha mai frainteso nulla.

I vertici del Cio avevano sempre dato assicurazioni ai media internazionali. La retromarcia c´è stata e come. E Gosper ha anche ammesso di aver insistito perché la decisione venisse comunicata al mondo con più giorni di anticipo. Ma come Gosper stesso ha ricordato nella sua intervista, «qui abbiamo a che fare con un paese comunista che usa la censura. E quindi non puoi aspettarti niente di più di quello che loro sono disposti a darti». Considerazione indiscutibile e decisamente sinistra se si considera che alla successiva domanda «le e-mail dei giornalisti verranno monitorate durante le Olimpiadi?», il portavoce ufficiale del Cio si è rifiutato di rispondere


Dagospia 31 Luglio 2008

sabato 26 luglio 2008

TIENANMEN

Le autorità hanno poi fatto ritirare tutte le copie del giornale dalle edicole
Tienanmen, rotto il tabù: prima foto in Cina
Un'immagine scattata durante la repressione contro gli studenti del 1989 buca la censura e finisce su un quotidiano
La foto di Liu Xiangcheng apparsa sul Beijing News
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PECHINO —Un gruppo di uomini con la maglietta insanguinata.Di spalle, su un carretto a tre ruote. È un'immagine in bianco e nero scattata il 4 giugno 1989, la notte della strage in piazza Tienanmen. Titolo: «I feriti». Il quotidiano tabloidBeijing News, uno dei più diffusi nella capitale, l'ha pubblicata nella sezione «C», pagina 15, e ha infranto il tabù della Cina postmaoista che punisce pesantemente la divulgazione di notizie e commenti sul massacro degli studenti avvenuto 19 anni a opera dei carri armati scesi dalla colline dell'Ovest.

Il fatto è clamoroso. La foto compare, con altre tre dal contenuto «innocente» (un pattinatore al fianco di una statua di Mao, giovani con occhiali da sole e una coppia davanti a un muro di mattoni), a corredo di una intervista effettuata l'11 luglio a un famoso fotografo, Liu Xiangcheng che all'epoca lavorava per l'agenzia Ap e per il magazine americano Time e che coprì i tragici eventi. Un professionista che nel 1991 vinse il premio Pulitzer in occasione del tentato colpo di Stato a Mosca.

Si è trattato dell'errore di un incauto e inesperto redattore? Oppure di una sfida aperta al regime? Lo scivolone involontario non è da escludere: Tienanmen è stata cancellata e rimossa, le ultime generazioni non sanno che cosa accadde nella primavera del 1989. Un blackout culturale assoluto, per quanto assurdo e impraticabile possa apparire, che ha tolto dalla Storia, dalla memoria, dalle discussioni e dalle lezioni qualsiasi riferimento al movimento per la democrazia. È con questo «buco» che sono stati formati i ragazzi nelle università e poi avviati alla professione del giornalismo. E che sia un banale incidente di percorso, che ha comunque ridicolizzato la censura, lo dimostrerebbe la circostanza che nella intervista al fotografo non si fa mai cenno agli eventi del 4 giugno 1989.

Più remota — anche se da non escludere — l'ipotesi di un'aperta contestazione delle rigide regole imposte dai vertici. Proprio nei giorni scorsi il quotidiano di Pechino Xinjing Bao, nome cinese del Beijing News, aveva ricordato che «la libera informazione è un dovere dello Stato e un diritto del popolo». A quindici giorni dalle Olimpiadi è uno smacco per l'apparato della repressione che ha imposto un ulteriore giro di vite: negli aeroporti la polizia fruga nei bagagli dei turisti in arrivo quando i raggi X, installati prima delle uscite, segnalano la presenza nelle valigie e nelle borse di libri e di giornali in quantità eccessiva. L'ossessione che entri materiale «proibito» è oltre i livelli di guardia. All'apparenza la Cina ha avviato l'operazione sorriso ma, nella realtà, le misure di controllo del dissenso sono state inasprite. Incredibilmente, l'immagine dei «feriti», ha bucato la rete protettiva ed è finita in edicola. Le «guardie rosse» hanno agito a posteriori «ripulendo» tutte le rivendite della edizione già stampata. Lavoro extra. Tolta pure la pagina dal sito Internet. In compenso, segno che la beffa ha colpito, la foto e l'articolo hanno preso a circolare nei blog.

Fabio Cavalera
26 luglio 2008

venerdì 27 giugno 2008

una notizia che non troverete mai su "l'Unità"

da Il Messaggero

Roma: bambini costretti a mendicare
sotto gli occhi del padre padrone

di Elena Panarella
ROMA (27 giugno) - Il bimbo rimane immobile per ore, mentre sua madre chiede l’elemosina in via del Teatro Marcello tra le auto che sfrecciano e il viavai di turisti. Un fagottino, la testa appoggiata sul seno della mamma che se ne dovrebbe prendere cura, i piedini che dondolano, lui fermo, non un pianto, un lamento, tra i clacson, le auto che sfrecciano, il caldo. Le giovani donne escono dai campi rom la mattina alle otto, e tornano dopo nove, dieci ore di strada, l’importante è raccimolare un po' di soldi da portare a casa. Non sono mai sole, a pochi metri c’è sempre un uomo, che le ha fatte scendere da un furgone poche ore prima e le riporterà a casa, e che conterà quanti soldi hanno incassato per tutta la giornata. Se poi l’importo raggiunto non è quello stabilito le ore di “lavoro” si allungano.

Storie che si ripetono ogni giorno. Scene di vita quotidiana. Bambini che chiedono l’elemosina per strada, ragazzi che si trascinano gambe malformate, cartoncini con “aiuto ho fame”: quello dell’accattonaggio dei minori, o per meglio dire dello sfruttamento minorile, è un fenomeno sempre più diffuso e complesso. Sono davvero tanti i mendicanti che ogni giorno chiedono l’elemosina ai semafori, nelle piazze, alle uscite della metropolitana o sulle scale delle chiese del centro. Piccoli che vengono scaricati nei punti più strategici e che, nella migliore delle ipotesi, vengono costretti dai genitori appostati vicino. Nella peggiore, affidati a vere e proprie organizzazioni che li sfruttano senza pietà. Un vero e proprio business, con adulti che in gruppo occupano a turno le postazioni migliori, calcolando i tempi del giallo, del rosso e del verde. Una vera e propria spartizione del territorio. Quanto può rendere tutto ciò? Dipende dall’esperienza e dalla capacità di intenerire le persone.

Corso Francia, per esempio, il rosso dura 18 secondi. Tradotto in soldi, da 1 a 2 euro ogni rosso. La tecnica? «Passare in mezzo alle due file di auto - racconta Alex, 11 anni, bosniaco, da qualche giorno fisso a quell’incrocio - riesco a bussare a una decina di macchine a ogni semaforo rosso». Adrian, 13 anni, “proprietario” di uno dei semafori di Corso Vittorio Emanuele, aggiunge: «Dalla mattina alla sera, se mi impegno, riesco a recuperare un centinaio di euro». Facce giovani, facce già rassegnate.

Insomma quanto bisogna lasciarsi prendere dall’emotività, ben sapendo che c’è chi sfrutta proprio l’emotività? Questo continua a chiedersi la gente al decimo semaforo, tentando di non farsi lavare il vetro per la ventesima volta consecutiva. «E’ una tristezza - racconta un commerciante di piazza Fiume - vedere questi bambini sotto il sole costretti a mendicare, con i grandi che li guardano da lontano all’ombra. Una sensazione di impotenza».

Il giro d’affari annuo, che ruota intorno all’accattonaggio imposto ai moderni schiavi, è di circa 200 milioni di euro, e coinvolge in Italia circa 50 mila bambini tra i 2 e i 12 anni. Solo nel Lazio, sarebbero almeno 8 mila i bambini che chiedono l’elemosina per strada con un guadagno giornaliero che a Roma si aggira tra 70 e 100 euro. La catena dell’accattonaggio coinvolge prevalentemente minori rom, insieme alle loro mamme (spesso bambine, che diventano mamme tra gli 11 e i 16 anni). «Non si tratta mai di una libera scelta: baby mamme e bimbi sono costretti a chiedere l’elemosina per sopravvivere, obbligati a raccogliere una precisa quota giornaliera», dicono gli operatori dell’Associazione Aurora che si occupano di mendicità infantile. «Questo è un fenomeno che si allarga a macchia d’olio, la verità è che bisogna intervenire a monte. Nei loro villaggi di provenienza, cercare di far capire alle famiglie che i loro figli devono andare a scuola, non a mendicare.

Basta andare in Romania per rendersi conto che accanto alle autostrade nuove ci sono sempre gli stessi villaggi di disperati». Il ministro dell’Interno Maroni chiede di «prendere le impronte digitali anche ai minori rom, e di levare a quei genitori la patria potestà, proprio per evitare fenomeni come quello dell’accattonaggio». Un provvedimento che per il momento Roma non sarebbe pronta ad affrontare tecnicamente, questo sostiene l’assessore capitolino ai servizi sociali, Sveva Belviso. Perché? «Perché ci sono 50 case famiglie tra prima e seconda accoglienza, già tutte piene - afferma l’assessore - Servono finanziamenti appropriati, serve personale per levare i bambini dalla strada. Dovremmo puntare tutto sulla scolarizzazione, coinvolgendo questi bambini a fare una vita normale, gioco, scuola, compiti, da bambini, insomma».

una notizia che non troverete mai su "l'Unità"

Unipol-Bnl, Csm assolve il gip Forleo
"Nessun illecito", non sarà trasferita

Il magistrato era accusata per i contenuti di un'ordinanza: nel luglio 2007, chiese alle Camere l'autorizzazione all'uso di intercettazioni relative ad alcuni parlamentari

Il Csm assolve la Forleo
E lei: «La giustizia trionfa»

Il procedimento riguardava la richiesta di autorizzazione all'uso delle intercettazioni di Fassino e D'Alema

Clementina Forleo (Ansa)
Clementina Forleo (Ansa)
ROMA - Il gip di Milano Clementina Forleo è stata assolta dalla sezione disciplinare del Csm dall'accusa di aver violato i suoi doveri per i contenuti dell'ordinanza con la quale, nel luglio del 2007, chiese alle Camere l'autorizzazione all'uso di intercettazioni che riguardavano alcuni parlamentari nell'ambito della vicenda Unipol.

FORLEO - «Avere fiducia nella giustizia prima o poi paga»: così la Forleo ha commentato al sua assoluzione. «La giustizia trionfa»- ha aggiunto il gip di Milano. Poi ha rivolto un pensiero al collega Luigi De Magistris: «Siccome il tempo è galantuomo - ha detto - spero che anche De Magistris abbia giustizia».

CSM - Assoluzione perché il fatto non costituisce illecito disciplinare. Così la sezione disciplinare del Csm, presieduta da Nicola Mancino, ha assolto il gip di Milano Clementina Forleo dalle accuse che le erano state mosse dalla Procura generale della Cassazione in relazione all'ordinanza con cui, il 20 luglio dello scorso anno, il giudice aveva richiesto alle Camere l'autorizzazione per utilizzare le intercettazioni, disposte nell'ambito delle inchieste sulle scalate bancarie, nelle quali comparivano anche alcuni parlamentari, tra cui gli esponenti del Pd Massimo D'Alema e Piero Fassino.

LA RICHIESTA - Per il pg di Cassazione, che aveva chiesto la condanna della Forleo alla censura e, come pena accessoria, aveva indicato il trasferimento in un altro ufficio, il gip di Milano aveva usato in quell'ordinanza «accenti suggestivi e denigratori» in un «abnorme e non richiesto giudizio anticipato». In tale modo, secondo l'accusa, la Forleo, che nel suo provvedimento aveva definito i politici in questione «consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata», aveva violato «l'obbligo di imparzialità, correttezza ed equilibrio». La Forleo aveva definito «consapevoli complici di un disegno criminoso» D'Alema e il senatore Nicola La Torre, ipotizzando per loro il possibile concorso nel reato di aggiotaggio. E li aveva descritti come «pronti e disponibili a fornire i loro apporti istituzionali in totale spregio dello stato di diritto». Di tutt'altro avviso, invece, è stato il Tribunale delle toghe, che ha pronunciato il verdetto dopo circa due ore di camera di consiglio.

INCOMBE IL TRASFERIMENTO - L'eventualità di un trasferimento dalla sede giudiziaria di Milano grava però ancora sulla Forleo: il plenum del Csm, infatti, nelle prossime settimane sarà chiamato a decidere se dare il via libera al trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale del gip di Milano proposto dalla prima commissione del Csm e relativo alle dichiarazioni che la Forleo aveva rilasciato su presunte «pressioni» ricevute da «ambienti istituzionali». Inoltre, nei confronti della Forleo, pende anche un'altra azione disciplinare promossa dal Pg di Cassazione e inerente la gestione di un procedimento a carico di Farida Bentiwaa, accusata di terrorismo internazionale, processo sul quale il gip aveva avuto contrasti con il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro.

giovedì 26 giugno 2008

CENSURE ROSSE


LA CENSURA è BUONA SOLO SE VIENE DA SINISTRA?
Cancellata la giornata di apertura della festa nazionale dell'associazione Libera
«Il paese del maiale» non s'ha da fare
Quando la censura arriva da sinistra
«No» del primo cittadino di Castelnuovo (Audio) alla proiezione del film sulla mafia nei macelli (Video)

dal sito internet www.nuovocaporalato.it
dal sito internet www.nuovocaporalato.it
CASTELNUOVO - Roberto Alperoli, sindaco di Castelnuovo Rangone in provincia di Modena (ascolta l'audio) chiede all'associazione contro le mafie di don Luigi Ciotti «Libera» di cambiare il programma della sua festa nazionale dedicata alla lotta contro tutte le mafie. E così il documentario non gradito al sindaco non sarà proiettato. Anzi, salta tutta la prima serata, dibattito compreso. Non male per un territorio amministrato dalla sinistra. La proiezione del film «Il paese del maiale» era prevista per il 30 giugno, come si può vedere dal programma inserito in rete fino alle ore 12.00 del 20 giugno (Guarda). La Giunta di «Terre di Castelli» (Castelnuovo Rangone Castelvetro di Modena Savignano sul Panaro Spilamberto Vignola) si riunisce, però, il giorno prima e decide di «chiedere» l'eliminazione della proiezione. Risultato? Salta la programmazione dell'iniziativa come si può notare dal programma ora in rete (Guarda). Per fortuna che nel programma del comune, il primo luglio c'è previsto un dibattito sul tema: «Quale informazione per parlare di mafia?». Anzi c'è di più. Il 4 luglio, Marco Travaglio (c'è da aspettarsi il suo punto di vista su questo cambio di programma) presenterà il libro «Se li conosci li eviti». Ma come, si fanno dibattiti per combattere la mafia e poi si censura un film che la denuncia?

IL DOCUMENTARIO - Il documentario «Il paese del maiale» fu trasmesso da Rai 3,durante una notte della calda estate del 2006 (per pochi sonnanbuli) e racconta storie di contraffazione alimentare, attraverso il cambio dei marchi di cosce suine e dell'omicidio di un socio lavoratore di una falsa cooperativa di facchinaggio, che, avendo scoperto la truffa, chiedeva denaro in cambio del suo silenzio. Tutte vicende che hanno come sfondo la rossa Emilia. Il sindaco di Castelnuovo di Rangone, Roberto Alperoli ha sostenuto che il filmato «riporta di Castelnuovo un'immagine univoca e lesiva del comune, che sembra un paesino dove vivono solo mafiosi». Ha tuonato: «Con questa scelta difendo i miei concittadini». E poi ha aggiunto: «Conosco i problemi di Castelnuovo ma bisogna parlarne in altro modo, non nei tre minuti d'intervento che mi concede quel film. Mi fa sembrare un povero idiota». Alla contestazione che anche i film con tesi scomode vanno visti, e semmai criticati (come ad esempio «Il Caimano») la risposta del sindaco è stata: «Premesso che anch'io ho applaudito "Il Caimano", che vuole che le dica... affermate pure che io ho avuto un comportamento inammissibile. Ma questo film resta un orrore». E così il buon nome di Castelnuovo è salvo e con esso quello del sindaco e della libertà d'informazione.

sabato 7 giugno 2008

estrema intolleranza di sinistra

"Fascista, non puoi fare l'esame"Uova e insulti degli autonomi: una studentessa di destra cacciata dall'università
MASSIMO NUMA
TORINO
Alla fine ha rinunciato. Niente esame di procedura penale, il terz’ultimo prima della laurea. Augusta Montaruli, 24 anni, studentessa di legge a Torino e dirigente di An-Azione Giovani, ieri mattina è stata affrontata da un gruppetto di autonomi, decisi a impedire le prove d’appello per ricordare gli incidenti alla Sapienza. Lei gira da quattro anni sotto scorta. Tre amici che la proteggono da insulti e anche aggressioni fisiche. «Sono abituata a questo clima, ma oggi era proprio impossibile. Ho ceduto per difendere gli studenti nella mia situazione. Assurdo».

«Fascistella, te ne devi andare. Qui non puoi entrare», le urlano. C’è anche uno slogan dedicato e lei: «Le donne di destra non sono liberate, sono solo serve e non emancipate». Le più accanite sono le ragazze. Neanche fosse una questione personale. Augusta è anche protagonista di un fumetto, pubblicato su un sito anarchico. Con una conclusione agghiacciante: «Premi con forza la faccia dell’Augusta per capire che pensa». L’Augusta ha 24 anni, di cognome fa Montaruli. Autonomi e sinistra radicale avevano organizzato il presidio. Immediata la contro-manifestazione dei ragazzi di destra. Lei è un tipo gracile, indossa un trench bianco e resta immobile per ore davanti all’ingresso, circondata dai militanti di An. Di fronte, una ventina di autonomi del collettivo universitario. Nasce così un’interminabile, bizzarra mattinata. Da una parte, verso l’uscita, il gruppetto di antagonisti. In mezzo un robusto cordone di poliziotti, diretti dal capo della Digos di Torino in persona, il vice-questore Giuseppe Petronzi. Ricapitolando: quelli del presidio di An, secondo gli antagonisti (striscione: «Via i nazi-fascisti dall’Università») non dovevano assolutamente uscire dall’ingresso principale, semmai da quello posteriore, tanto da rimarcare una fuga ingloriosa. Gli avversari non hanno ceduto di un millimetro, sino a quando gli appelli non sono finiti. La pazienza dei poliziotti è stata messa a dura a prova. Quando il leader, il dottorando Davide Grasso, ha tentato di aggirare gli agenti del reparto mobile, ed è stato allontanato senza se e senza ma, e quando, al 90’, la polizia è avanzata con decisione, sino a sospingere fuori dai cancelli gli autonomi, fradici di pioggia.

Cortine di fumogeni, lanci di uova e slogan funerei: «Camerata basco nero il tuo posto è al cimitero». Poi richiami nostalgici alle fucilazioni di massa delle «camicie nere». Scene di una guerra virtuale, come non accadeva da tempo, e seguite con estrema nonchalance dalla grandissima maggioranza dagli altri studenti. Acqua a dirotto; sotto le tende del chiosco-bar «Il rettore», gelati e coca-cola per ingannare il tempo, in attesa che lo spettacolo finisse. Chissà, magari con uno scontro vero, e non solo a parole. Risate e battute.

Ezio Pelizzetti, il rettore, non ride affatto. «Non credo assolutamente che sia giustificato questo clima di intolleranza. Tutti hanno il diritto a manifestare le proprie idee. L’università è un luogo di confronto, di scambi di idee e di pensiero. Devo dire che gli studenti torinesi sono 75 mila e solo una piccolissima percentuale ha scelto la strada della violenza. Spiace che le forze dell’ordine siano costrette a intervenire per garantire un clima libero. Noi, d’altra parte, che possiamo fare? Spiace per la studentessa, che ha rinunciato a sostenere l’esame».

giovedì 3 aprile 2008

Napoletone a waterloo

il video, censurato da You Tube, è ancora su Repubblica online
http://tv.repubblica.it/home_page.php?playmode=player&cont_id=18978&showtab=clickday

4 aprile: è tornato anche su You Tube!

Lo strafalcione di storia e` da sbellicarsi dalle risate (e non fatelo passare come lapsus perche` e` ripetuto almeno due volte). Ma sono la pochezza del vocabolario, le volgarita` gratuite, le sgrammaticature delle frasi ed i periodi troncati del discorso che gettano una luce sinistra sul personaggio e sul gruppo industriale che si permette di avere una simile dirigenza.

censure

da "Dagospia"
“PRAVDA”-TELECOM E LA CENSURA DI YOUTUBE – IL VIDEO SPASSOSO DI LUCA LUCIANI, DIRETTORE GENERALE DELL’AZIENDA TELEFONICA, È STATO RIMOSSO “A CAUSA DELLA VIOLAZIONE DEI TERMINI E CONDIZIONI D'USO"...


Riceviamo e pubblichiamo:


Luca Luciani

Lettera 1

Carissimi, fino a questa mattina in rete circolava un video. Il Direttore Generale Telecom Italia, Luca Luciani, parla ad una platea dicendo che Waterloo è stata una grande vittoria di Napoleone, motiva tanti giovani manager chiedendo loro di non farlo incazzare per favore, e si esprime dicendo "cazzo" ogni tre parole. Sfortunatamente chi avesse ripreso il video, per puro divertimento, sul proprio blog, si sarà accorto che dalle 12 di questa mattina il video non esisteva più. E' durato poche ore.
"Questo video è stato rimosso a causa della violazione dei termini e condizioni d'uso" dice l'avviso su You tube.
In realtà il video testimoniava solo una simpatica, ma molto arrogante, confusione tra Austerlitz e Waterloo e un giovane manager molto rampante, molto ricco, molto romanesco con il vezzo di dire cazzo ogni tre parole. Almeno, fino all'intervento di Telecom Italia.
Enrico

Lettera 2

Come società aperta al mercato non c'è che dire, la casta si è attivata prontamente e per tutelare il bamboccio di casa ha fatto togliere il video da You tube. La logica è sempre quella di tutelarsi a vicenda e anziché cercare di intervenire per rimuovere le persone incapaci, si tenta di tappare la bocca. Non vedo grandi differenze tra la Cina e certi tipi di gestione.
350 commenti in un giorno e 17.600 visualizzazioni davano fastidio.... ma la triste realtà è quella che appare sia dal video che dai commenti....
Asterix