martedì 24 luglio 2012
giovedì 26 novembre 2009
una domestica di 1500 anni fa


La giovane donna ritratta in queste immagini è vissuta circa 1500 anni fa. A soli 16 anni, la ragazza di origine coreana che probabilmente lavorava come domestica al servizio di una ricca famiglia del regno Gaya, morì bruciata viva insieme al suo padrone e oggi, grazie agli archeologi del Gaya National Research Institute of Cultural Heritage di Seoul, torna a rivivere in un modello a grandezza naturale costruito intorno ai resti del suo scheletro. Alta solo 1 metro e 53 centimetri, magra e dai lineamenti di una bellezza contemporanea, mascella e braccia corte ma dita più lunghe del normae, la ragazza è stata seppellita vicino ad altri quattro corpi. Ora gli archeologi stanno studiando la pratica, popolare nella cultura Gaya, di bruciare i vivi insieme ai morti, pratica che diede la morte anche alla misteriosa domestica.
lunedì 25 maggio 2009
RITORNANO LE COLF ITALIANE
Le italiane che tornano a fare le colf
Cercano impieghi a ore per arrotondare. E ormai una su quattro non è straniera. «Poche chiedono un contratto»
Era il 1956 - l’anno dell’insurrezione in Ungheria e dei giochi olimpici di Melbourne - e lei aveva appena 13 anni. Ad Arsiè, la «porta delle Dolomiti» in provincia di Belluno, non c’era lavoro né la prospettiva di mettere su famiglia e così i coniugi Brustolin dissero sì a quella coppia di villeggianti bolognesi che tanto insistevano per «prendere a servizio » in casa loro la piccola Pina. Lei, 13 anni, non aveva alternative: partì con i signori di Bologna con in quali sarebbe rimasta più di 10 anni a fare, come si diceva un tempo, la serva in casa. Oggi Pina Brustolin ha superato i 60 anni ed è responsabile nazionale della «Acli Colf», l’associazione di categoria più diffusa nel campo della tutela dei diritti di chi esercita il lavoro domestico. E dal suo osservatorio privilegiato racconta come sta cambiando la figura della colf in questi mesi di crisi economica: «Dopo l’arrivo di tante donne straniere torniamo ad occuparci anche delle italiane che chiedono di fare servizi ad ore per arrotondare il reddito familiare magari messo in crisi da un licenziamento o dalla cassa integrazione». Le italiane, però, si vergognano di dire che vanno a «fare le ore» in un’altra casa. «Magari sono studentesse che si vogliono pagare gli studi o donne che hanno perso il posto che avevano in fabbrica o dal parrucchiere e così preferiscono farsi pagare in nero (dai sei a nove euro l’ora, ndr) perché considerano questo lavoro una tappa, un impegno temporaneo che finirà presto». Una colf (Ap)
È molto difficile quantificare i contorni di questo ritorno delle donne di servizio italiane: ufficialmente l’Inps ha nei suoi computer 1.544.101 rapporti di lavoro registrati che corrispondono a 774 mila lavoratrici-lavoratori domestiche di cui, però, solo 74 mila sono italiane. Altre stime di Acli Colf dicono che l’aliquota delle italiane sul totale è del 23 per cento. Di sicuro, tuttavia, il sommerso è diffusissimo anche perché, conferma Pina Brustolin, le italiane non condividono la casa con il datore di lavoro e, soprattutto, non fanno le badanti che si prendono cura degli anziani. Le colf-badanti straniere, invece, hanno ormai una visione molto attenta dei loro diritti perché a loro «le carte in regola» servono per il permesso di soggiorno senza il quale si rischia l’espulsione e, tra poche settimane, il processo penale perché il governo ha voluto introdurre nell’ordinamento il reato di immigrazione clandestina. Pina Brustolin non può fare a meno di ricordare i suoi anni di lavoro: «All’inizio, visto che avevo appena 13 anni, non mi pagavano neanche i contributi perché ero troppo piccola per lavorare con le carte in regola. Ero spaesata anche perché a Bologna non potevo uscire di casa: non perché i padroni non volessero darmi qualche ora di libertà ma a causa dei miei genitori che si erano raccomandati di non lasciarmi mai da sola. Le giornate erano lunghissime: in casa ci si spezzava la schiena chinate sulla vasca per fare il bucato perché mica c’erano gli elettrodomestici: ancora oggi mi porto dietro i dolori causati dalle mille ore passate piegata sui panni. Chi era a servizio mangiava in cucina, da solo, perché era naturale fare così. E a casa in ferie ci si poteva tornare una sola volta l’anno. Dopo dieci anni, però, partecipai a una riunione del gruppo Acli domestiche e iniziai a capire che potevo fare qualcosa di utile per le altre come me che restavano nella stessa famiglia 30, 40 anche 50 anni. Non a caso a quei tempi si faceva la “festa della fedeltà” durante la quale si premiavano le lavoratrici più costanti con lo stesso datore di lavoro».
Negli anni Cinquanta le garanzie per la colf non c’erano: la legge diceva che potevano dormire otto ore e, quindi, implicitamente sottintendeva che potevano lavorare anche 16 ore al giorno. Negli anni ’50 e ’60 la parola «serva» veniva usata nelle famiglie italiane con molta disinvoltura. Nel film I soliti ignoti di Mario Monicelli (1958) si vede una giovanissima Carla Gravina, impiegata a servizio in una casa di due sorelle romane, che in veneto stretto chiarisce a un prorompente Vittorio Gassman: «Non sono mica una serva, io…». Ed è del 1958 la prima legge che affronta in modo organico il tema del lavoro domestico, mentre l’obbligatorietà delle assicurazioni arriva solo nel 1971 e il primo contratto nazionale c’è a partire dal 1974, quando non solo i ricchi di sempre ma anche i nuovi borghesi del ceto medio offrono posti di lavoro per la cura della casa e dei bambini. L’anno della svolta è il 2002. Il governo Berlusconi vara la prima, grande sanatoria per gli stranieri irregolari che lavorano in Italia senza un regolare contratto. Per effetto della regolarizzazione, le domestiche straniere, che fino ad allora erano state poco più della metà delle italiane, risultano più che raddoppiate raggiungendo la quota del 74 per cento. Nel 2002 il totale dei lavoratori domestici è di 552.069 addetti, gli stranieri sono 419.808, gli italiani 132.261. E col passare degli anni l’aliquota della manodopera fornita dalle italiane nel settore domestico scende, fino a raggiungere nel 2006 quota 132.261 addetti. Oggi 74 mila secondo l’Inps.
Numeri che in questi mesi sono cambiati. Profondamente. Le domestiche italiane che con la crisi sono tornate a chiedere un lavoro non fisso sono, secondo il profilo tracciato dalle Acli colf, «prevalentemente sposate, separate o vedove, di età superiore ai 40 anni». E ancora: «Svolgono lavori domestici a ore, alcune si dedicano agli anziani ma non in forma di co-residenza ». Mentre le immigrate lavorano maggiormente nella cura delle persone anziane o malate, e sono consapevoli dell’importanza del loro ruolo, le italiane si dedicano alle tradizionali incombenze domestiche di pulizia, stiro, cucina. Ufficialmente non sono «lavoratrici domestiche», ma casalinghe o lavoratrici disoccupate. Per motivi fiscali, ma anche perché ritengono il lavoro che fanno come un’occupazione di ripiego, che abbandonano appena possono. Molte di loro, poi, devono continuare perché sono pensionate ex colf cui l’Inps corrisponde il minimo di 459,58 euro al mese. E c’è da dire che le prospettive di lavoro sono incerte anche in questo campo: «A una domanda più consistente di servizi a ore non corrisponde infatti un’offerta altrettanto elastica». Secondo una recente indagine dell’Irs (Istituto di ricerche educative e formative), le famiglie italiane spendono ogni anno 9 miliardi e 352 milioni di euro per retribuire il lavoro delle assistenti familiari che corrisponde al 10 per cento della spesa sanitaria sostenuta dalla Regioni ed è in linea con la somma che lo Stato spende per gli assegni di accompagnamento (10 miliardi di euro). Ma ora, come lo Stato decide i suoi tagli, anche le famiglie rinunciano a qualcosa: perché, conclude Pina Brustolin, una «lavoratrice licenziata torna a fare la casalinga a tempo pieno per la sua famiglia e, a ore, magari anche per chi le dovesse offrire un lavoro».
Dino Martirano
25 maggio 2009
mercoledì 24 dicembre 2008
giovedì 28 agosto 2008
L'ULTIMA STREGA
dal Corriere Online
Riabilitata l'ultima strega d'Europa
Anna Göldi fu decapitata nel 1782 in Svizzera. Sotto tortura confessò un patto con il Diavolo.
BERNA - La Svizzera riabilita l'ultima strega d'Europa, Anna Göldi, decapitata il 13 giugno del 1782 nella piazza centrale di Glarona. Si tratta del primo caso al mondo: nessun parlamento, prima di quello del Canton Glarona, aveva mai riabilitato una persona condannata per stregonerie. Lo riporta il sito Swissinfo. Un ritratto di Anna Göldi
LA STORIA - Anna Göldi nasce nel 1734 nel canton San Gallo in una famiglia di modeste condizioni. Sin da giovane è costretta a lavorare come domestica. A 31 anni nasce il primo figlio, ma il piccolo muore la notte del parto. Secondo le leggi del tempo, Anna viene condannata alla gogna e agli arresti domiciliari per infanticidio. Dal 1780 inizia a lavorare per la famiglia di Johann Jakob Tschudi a Glarona. Poco tempo dopo la figlia dei Tschudi inizia a soffrire di convulsioni e, secondo la testimonianza dei familiari, a vomitare degli spilli. I Tschudi raccontano infatti che Anna metteva degli aghi nel pane e nel latte di una delle figlie, apparentemente per qualche rito magico. Tschudi la denuncia per stregoneria e avvelenamento. La domestica si difende dalle accuse e si rivolge ad un magistrato. Ma la condanna è inevitabile. Sotto tortuta confessa di aver stretto un patto con il Diavolo, che si è manifestato a lei sotto forma di un cane nero. In realtà la condanna formale è stata per avvelenamento e non per stregoneria. Anna viene decapitata sulla piazza di Glarona il 13 giugno 1782.
LIBRI E FILM - La storia di Anna Göldi è stata raccontata da un romanzo di Eveline Hasler («L’ultima strega» nell’edizione italiana) e da un film di Gertrud Pinkus del 1991. Nel 2007, in occasione del 225esimo anniversario dell’esecuzione, il giornalista svizzero Walter Hauser ha riaperto il caso di Göldi attraverso un altro libro, che ha avuto un ampio risalto tanto che stessa tv inglese Bbc ha dedicato un servizio alla storia dell'ultima strega. Nel libro, Hauser sottolinea il ruolo di Johann Jakob Tschudi nel processo e nella condanna della donna. Tschudi, infatti, appartneva ad una delle più influenti famiglie del Cantone. Sempre secondo l’autore, l'uomo avrebbe avuto una relazione sessuale con la sua domestica. Il processo di riabilitazione di Anna Göldi era iniziato nel novembre del 2007, quando il parlamento glaronese approvò una mozione, contro il parere del governo che riteneva fosse una decisione superflua e proponeva piuttosto uno studio storico sulla vicenda. Sempre l'anno scorso il consiglio sinodale della Chiesa riformata del canton Glarona - la condanna fu pronunciata da un tribunale riformato - aveva deciso di rinunciare ad un «atto formale» perché la vicenda è stata sufficientemente studiata e che nei fatti Anna Göldi è già stata riabilitata.