dal Corriere Online
Il brutto show da cancellare
di Sergio Romano
Puntualmente, alla fine dell’estate, la commedia delle intercettazioni (il più popolare reality show della politica italiana) si arricchisce di un nuovo episodio. La trama è ancora più arruffata e stravagante del solito. Sembra che i procuratori di Bolzano abbiano indagato negli scorsi mesi sulla vendita di un’azienda dell’Iri negli anni in cui l’Istituto era presieduto da Romano Prodi.
La vicenda risale al 1993, ma i magistrati ritengono utile occuparsene e decidono di intercettare le conversazioni telefoniche di una persona che fu braccio destro di Prodi all’Iri ed era, al momento delle indagini, suo consigliere a Palazzo Chigi. Speravano forse che i due interlocutori avrebbero parlato ancora, dopo tanti anni, di quella storia, ma scoprono, ascoltando, che il tema delle conversazioni è diverso (finanziamenti pubblici per un progetto scient i f i c o che i n t e r e s s a un’azienda farmaceutica) e che alcuni dei protagonisti sono legati da vincoli familiari con il presidente del Consiglio. I procuratori non hanno trovato ciò che cercavano, ma avrebbero deciso di inviare le intercettazioni alla Procura di Roma per l’eventualità che il caso meritasse una diversa indagine. E dalla Procura romana le conversazioni finiscono sulle pagine di un settimanale.
Questo, almeno, è quello che sembra comprendere leggendo ciò che è apparso ieri sulla stampa. Di fronte a una storia di questo genere un uomo politico di medio buon senso dovrebbe interrogarsi anzitutto sul funzionamento di un sistema giudiziario in cui i magistrati sono molto impegnati da vicende del secolo scorso. E dovrebbe concludere, subito dopo, che la pubblicazione di intercettazioni segrete è diventata una patologia italiana, un virus che, come quello di un computer, annebbia lo schermo e ingarbuglia, sino a renderlo incomprensibile, il discorso della politica nazionale. Il problema, in questo caso, non è l’eventuale responsabilità di un ex presidente del Consiglio, forse un po’ troppo sensibile agli affetti familiari (sarà accertata, se mai, dalla magistratura).
Il problema è se sia giusto tollerare che uno strumento d’indagine destinato a favorire la ricerca della verità venga usato per seminare dubbi, alimentare chiacchiere e attizzare polemiche. I magistrati avrebbero dovuto preoccuparsene per primi e trovare rimedi anche sul piano organizzativo e amministrativo. Se non lo hanno fatto, tocca alla politica con una legge che, in linea di principio, non è difficile immaginare e scrivere. Ma tutto diventa terribilmente complicato se la classe politica preferisce servirsi di questi incidenti soprattutto per colpire l’avversario o speculare sulle sue intenzioni. La responsabilità in questo caso mi sembra essere soprattutto dell’opposizione. Anziché dirsi pronta a discutere con la maggioranza il tenore della legge, la sinistra ha preferito sospettare in questa «fuga» un’operazione diretta a favorire i disegni del governo.
Lo stesso Prodi, dicendosi indifferente alla pubblicazione delle intercettazioni, ha dato la sensazione di volere svalutare i sentimenti di solidarietà offerti da Berlusconi. Ma questo è un problema nazionale che occorre affrontare con serietà e senza secondi fini. L’opposizione troverà altri temi su cui dissentire dal governo e fare le proprie battaglie. Sul problema delle intercettazioni ha il dovere di lavorare in Parlamento per una legge che spenga le luci accese su questo brutto reality show.
30 agosto 2008
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