venerdì 31 ottobre 2008

la solita strumentalizzazione dei piccoli

BAMBINI PORTATI ALLA MANIFESTAZIONE: IL SOLITO TRISTE RITO DI SINISTRA
dal Corriere Online

Fulvio Milone
Sarà pure che «il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini». Ma loro, gli alunni delle elementari che si tengono per mano e indossano grembiuli a quadretti rosa, sembrano divertirsi un mondo. Battono le mani al passaggio della banda musicale di Falerna, ridono alla vista di un ragazzo rubicondo che gonfia le gote mentre soffia nel trombone, scandiscono i loro bravi slogan guidati dalle maestre che agitano le mani come a dirigere un coro. Non sono solo romani, vengono da Pescara, Teramo, Scandicci. E quando chiedi se sia giusto che anche i bambini sfilino nel corteo, e se la loro presenza non possa suonare come una strumentalizzazione, le mamme e le insegnanti ti rispondono che «le prime vittime della Gelmini sono proprio i più piccoli, quindi è bene che imparino subito a far sentire la loro voce».

La stazione Termini, Trinità dei Monti e Piazza del Popolo sono il gigantesco palcoscenico su cui si affacciano tutti i protagonisti dello psicodramma nazionale intitolato alla legge Gelmini: insegnanti, mamme, precari, studenti universitari e medi, bidelli, alunni delle materne e ricercatori formano un corteo-fiume da cui si leva una babele di slogan, manifesti e striscioni che esprimono di volta in volta rabbia, sarcasmo e invettiva. In cima alla top ten dei bersagli da colpire, sia pure metaforicamente, c’è lei, il ministro dell’Istruzione. E come potrebbe essere altrimenti? «Berlusconi, Tremonti, Brunetta: tre maestri per una sola alunna, Egìda Gelmini», hanno scritto i maestri delle elementari toscani che sfilano dietro il gonfalone del Comune di Firenze: evocando così la gaffe di quella parola pronunciata in Senato dal ministro dell’Istruzione con l’accento al posto sbagliato.

L’hanno raffigurata in migliaia di «santini» su cui è gratificata con l’appellativo di «beata ignorante», la Gelmini che «ci vuole tutti cretini», che «con gioia e letizia mette la scuola nell’immondizia», che «di Tremonti è burattina». E il cui cognome, naturalmente, «non fa rima con bambini». I quali «sono preoccupatissimi e già soffrono di una sorta di sindrome da abbandono al pensiero che non avranno più quattro maestri, ma solo uno», racconta Marta, mamma di Scandicci, chiamata direttamente in causa da un gruppetto di giovanissimi alunni: «Mamma, papà non state a guardare, c’è la scuola da salvare». «In classe li abbiamo informati di quello che succederà con la riforma», spiega Alessandra, maestra elementare di Teramo. «L’unica scuola non occupata è quella di Maria De Filippi», ha scritto uno studente toscano mentre cammina al fianco di un amico che inalbera una grande foto di Karl Marx corredata da una didascalia lapidaria: «Ecco il maestro unico». «Dovevo fare la valletta, a quest’ora sarei ministro», è la battuta scelta da Marta, liceale romana. C’è chi canta «La scuola pubblica trionferà» sulle note di «Bandiera rossa», e chi si limita a urlare: «La cultura fa paura». Gettonatissime le maestre con cappello di carta munito di lunghe orecche d’asino: «Non voglio essere unica», gridano in coro mentre issano un grande Pinocchio-Berlusconi.

Altra aria si respira nel secondo corteo che alla stazione Termini si è staccato da quello dei sindacati per sfilare in via Nazionale. Qui i protagonisti sono soprattutto gli studenti delle medie superiori e dell’Università: parte di loro confluiranno in piazza del Popolo; altri, a cominciare dai ragazzi della «Sapienza», andranno a protestare davanti al ministero dell’Istruzione in viale Trastevere. Qui l’atmosfera è più pesante, c’è poco della «gioiosa» manifestazione messa in piedi con grande impiego di mezzi da Cigil Cisl e Uil. Gelmini, se prima faceva «rima con bambini», ora è semplicemente «un pezzo di m...», come grida un gruppo di liceali dietro uno striscione che avverte: «Studenti inkazzati». Gli slogan sono quelli, antichi, della sinistra extraparlamentare: «Lotta dura senza paura»; «Se non cambierà lotta dura sarà». E poi ci sono i precari, cupi in volto, che di manifestazioni come questa ne hanno vissute tante. «Non toccatemi, mordo», è scritto su un cartello fissato con un laccio al collo di Elena, catanese di 48 anni, che si firma semplicemente: «Una precaria dal 1985».

mercoledì 22 ottobre 2008

vai Aldissimo!

dal Corriere Online

Il Genitore Democraticamente Benestante

L'Infedele, quando il dialogo sulla scuola finisce in rissa

di ALDO GRASSO

È finita in rissa, peccato! Sono volate parole grosse fra Gad Lerner, titolare dell'«Infedele», e il suo ospite, Roberto Cota della Lega (La 7, lunedì, ore 21.10). Spiace quando le discussioni si concludono in questo modo, significa che la serata è stata buttata via. Di chi la colpa? Dei due contendenti che fin dall'inizio avevano un'idea fissa in testa e non si sono smossi? Colpa, come direbbe Paolo Conte, della giacca sbagliata di Lerner (un brutto quadrettato che faceva a pugni con una camicia a righe)? Colpa del canone costanziano dell'«Uno contro tutti»? L'on. Cota era infatti circondato da professoresse scatenate che contestavano la sua mozione per disciplinare l'inserimento scolastico dei bambini stranieri. Succede infatti che in molte città e in molti quartieri le scuole elementari siano piene di ragazzi stranieri e i genitori spostino i loro figli in altre scuole perché non vengano penalizzati nell'apprendimento.

Spiace che Lerner non abbia invitato una figura tipica del panorama milanese: il Genitore Democratico Benestante (GDB). Forse sarebbe stato utile alla discussione. Il GDB si comporta così: alle elementari (considerate una sorta di parcheggio) è per l'integrazione, vuole che i bambini stranieri, bianchi, gialli e neri, giochino e studino con i suoi. Alle medie cambia tiro: iscrive i suoi figli nelle sezioni apparentemente più marginali (ad es., dove si insegna francese) così tutti i figli dei GDB si trovano insieme e, d'estate, possono studiare inglese all'estero. Alle superiori poi i figli dei GDB si iscrivono nei licei del centro, vestono allo stesso modo, si comportano da clan e spesso si dimenticano di rivolgere la parola al figlio del portinaio che faticosamente è arrivato fin lì. La Lega, al solito, individua problemi concreti e poi li comunica male; alcune professoresse, invece, parlano per slogan, pensano in astratto, e sembrano molto contigue alla nefasta figura del GDB.

martedì 14 ottobre 2008

l'ultima lezione di Vattimo

Finché c'è conflitto c'è speranza
Il filoso Gianni Vattimo

L'ultima lezione del filosofo che lascia l'Università "Ma resta da fare tanto lavoro, non solo teorico"
GIANNI VATTIMO
Perché «dal dialogo al conflitto»? Non è forse l’ermeneutica - quell’orientamento filosofico a cui sulle tracce di Pareyson, Gadamer, e prima Heidegger e Nietzsche, ho sempre cercato di ispirarmi - per l’appunto una filosofia del dialogo? Anni fa, anche in base all’esperienza di dibattiti americani dove l’ermeneutica era diventata semplicemente il nome di tutta la filosofia «continentale» (da Habermas a Foucault a Derrida e Deleuze) sostituendo esistenzialismo e fenomenologia, avevo proposto di parlare di ermeneutica come nuova koiné, nuovo idioma comune di larga parte della filosofia contemporanea.

Questa diffusione, per dir così, dell’ermeneutica l’ha anche fatalmente «diluita»; io pensai allora di opporre una più dura accentuazione dell’inevitabile esito nichilistico dell’ermeneutica presa sul serio. Che ogni esperienza di verità sia interpretazione non è a propria volta una tesi descrittivo-metafisica, è una interpretazione che non si legittima pretendendo di mostrare le cose come stanno - anzi non può affatto pensare che le cose, l’essere, «stiano» in qualche modo; interpretazione e cose, ed essere, sono parti dello stesso accadere storico; anche la stabilità dei concetti matematici o delle verità scientifiche è accadimento; si verificano o falsificano proposizioni sempre soltanto all’interno di paradigmi che non sono a loro volta eterni, ma epocalmente qualificati, sono «eventi».

Alla nozione di evento di Heidegger io aggiungevo - credo sempre in fedeltà al suo insegnamento - una più esplicita filosofia della storia dell’essere di origine nietzschiana: se guardiamo alla storia dell’essere come si è data e si dà a noi occidentali (cittadini dell’Abendland, la terra del tramonto) la lettura più ragionevole che possiamo darne è quella proposta da Nietzsche con la sua idea di nichilismo: la storia nel corso della quale, come riassume Heidegger, alla fine dell’essere come tale non ne è più nulla. Appunto dell’essere come tale: l’on è on di Aristotele, l’essere come struttura stabile che sta al di là di ogni contingenza e garantisce la verità immutabile di ogni vero ha invece il «destino» di camminare indefinitamente verso il non-esser-più l’essere come tale.

Ecco dunque il senso dell’esito nichilistico dell’ermeneutica. Che non significa non avere più criteri di verità, ma solo che questi criteri sono storici e non metafisici; certo non legati all’ideale della «dimostrazione», ma piuttosto orientati alla persuasione - la verità è affare di retorica, di accettazione condivisa; come è del resto anche la proposizione scientifica, che vale in quanto è verificata da altri, dalla cosiddetta comunità scientifica, e niente di più.

Ma perché, ancora, dal dialogo al conflitto?

Posso confessare senza difficoltà che sono diventato sensibile a questo problema - che riassumo in questo titolo - per ragioni che non hanno anzitutto a che fare con questioni interne alla teoria, ma che sono invece fin troppo evidentemente legate a quella che con espressione dello Hegel dell’estetica chiamerei, alquanto pomposamente, la «condizione generale del mondo». Della quale prendiamo coscienza a partire dal senso di fastidio che ci suscita sempre più nettamente ogni richiamo al dialogo. Non solo nella recente politica italiana, dove i contendenti litigano rimproverandosi reciprocamente di non voler dialogare, con effetti che sarebbero comici se non ne andasse del destino del Paese. In verità, se riflettiamo sulle ragioni dell’insofferenza per la retorica del dialogo ci rendiamo conto che stiamo solo esprimendo una rivolta ben più ampia e più filosoficamente rilevante, e cioè la rivolta contro la «neutralizzazione» ideologica che domina ormai ovunque la cultura del primo mondo, l’Occidente industrializzato. Si tratta di quello che spesso è stato chiamato il pensiero unico, il quale si identifica in ultima analisi con ciò che i politici chiamano - quando lo nominano - il Washington consensus, al di fuori del quale non c’è che il terrorismo con tutti i suoi derivati.

Il pensiero unico nel quale siamo immersi ha il merito di averci fatto capire - in molti sensi sulla nostra pelle - che l’oggettivismo metafisico, oggi declinato soprattutto come potere di scienza e tecnologia, non è altro che la forma più aggiornata - e più sfuggente - del dominio di classi, gruppi, individui. Neutralizzazione e potere degli esperti di ogni tipo sono la stessa cosa. È l’esperienza che, anche nel piccolo orizzonte della società italiana, facciamo quando vediamo la scomparsa delle differenze tra destra e sinistra. Una scomparsa che del resto è generale, almeno nel mondo occidentale della razionalità capitalistica, per quanto quest’ultima sia sempre più visibilmente irrazionale e manifesti senza alcun pudore la sua essenza puramente predatoria.

Ripeto in breve i passi impliciti in quanto detto fin qui. La verità, se non è rispecchiamento di un ordine eternamente dato di essenze e strutture, è accadimento, e accadimento dialogico. Verità si dà quando ci mettiamo d’accordo. Ma il dialogo sarà davvero sempre così pacifico?

La retorica odierna del dialogo ha molti caratteri per essere sentita come una maschera del dominio - ed è così che la viviamo di fatto nella nostra insofferenza crescente verso di essa.

Heidegger ci ha insegnato che la verità di una proposizione qualunque si prova solo all’interno di un paradigma storico, il quale non è semplicemente l’articolarsi di una struttura eterna (natura dell’uomo, primi principi ecc.) ma accade, nasce, ha un’origine, il cui modello egli vede nella nascita dell’opera d’arte. La quale è un luogo di accadere della verità in quanto (pensiamo a Dante, alla Bibbia, a Shakespeare) è l’apertura di un orizzonte storico, la nascita di un linguaggo e di una nuova visione del mondo. E quel che costituisce la base della forza inaugurale dell’opera d’arte, dice Heidegger, è il fatto che essa mantiene aperto il conflitto tra «mondo» e «terra». Due termini che vanno intesi l’uno, il mondo, come l’orizzonte articolato, il paradigma, che l’opera inaugura e dentro cui ci fa «abitare»; l’altro, la terra, come quella riserva di sempre ulteriori significati che, come dice il termine stesso, sono legati alla vita - della natura e della persona - e che costituiscono sempre un alone oscuro da cui proviene la spinta a progettare, a cambiare, a divenire altro.

Ma la «terrestrità» non si lascia chiudere dentro la stabilità di un dialogo felice, che istituirebbe la verità come nascita armoniosa di un nuovo paradima.

Non si può cercare di uscire dall’oggettivismo metafisico - apologetico, «realistico» - senza venir coinvolti in un conflitto da cui soltanto può scaturire la verità-evento. La libertà - la progettualità umana in cui soltanto si annuncia l’essere come tale - è sempre minacciata dalla metafisica (cioè dalla violenza del dominio).

Per questo, cercare di pensare l’essere non vuol dire altro, oggi per noi, che opporsi alla neutralizzazione, prendere partito. Con chi e per cosa non è poi una scelta tanto difficile.

Se l’essere è pensato come progettualità e libertà, si dovrà ovviamente scegliere di stare con quelli che più progettano perché meno hanno: il vecchio proletariato marxiano, non titolare metafisico della verità perché libero di vedere il mondo fuori delle ideologie; ma portatore dell’essenza generica perché più di ogni altro individuo, gruppo,classe, è definito dal progetto, cioè autenticamente ex-sistente.

Come si vede, questo discorso è tutt’altro che un congedo - anche se forse qualcuno, viste le conclusioni poco «innocenti», potrebbe essere tentato di salutarlo, finalmente, come tale. C’è ancora un sacco di lavoro, non solo teorico, da fare. Dunque, piuttosto un arrivederci, forse in altre sedi, ma speriamo con la stessa importuna passione progettuale.

un video da Ringo

Ringo Star ferma i fan: «Basta lettere»

L'ex batterista dei Beatles ha spiegato di essere troppo occupato per continuare a rispondere agli ammiratori

LONDRA - Anche le star hanno poco tempo e i fan devono capirlo. Ringo Starr ha chiesto ai suoi ammiratori, in un video pubblicato sul suo sito web intitolato «Sorry, No More Signing Stuff», di non inviargli più lettere e di non chiedergli più autografi. L'ex batterista dei Beatles, ha spiegato di essere troppo occupato per continuare a rispondere alle centinaia di lettere che riceve ogni giorno.

LO STOP SCATTA DAL 20 OTTOBRE - «Voglio dirvi di non scrivermi più dal 20 ottobre in poi. Qualunque lettera che arriverà dopo quella data sarà buttata. Vi sto avvertendo con pace e amore, ho troppo da fare. Quindi niente più lettere dai fan. E nessun oggetto da firmare. Niente».

"ZONE UMIDE"

© foto Maria Romey

Erotismo e disgusto:
il mio neofemminismo

Charlotte Roche: «Ho restituito il corpo alle donne»

BERLINO — L'incipit conta, in un libro. In questo di Charlotte Roche — Zone umide — conta più che in altri: «Che io ricordi, ho sempre avuto le emorroidi. Per molti anni ho pensato fosse meglio non dirlo a nessuno».

Leggerezza un po' proustiana per contenuti scioccanti. Soprattutto, però, è l'apertura immediata di una finestra sul corpo, sulla malattia, sul disgusto, sulle cosiddette parti intime femminili che non si chiude nemmeno nell'ultima pagina. Forse, il racconto del femminismo del Ventunesimo Secolo. Anzi, il suo manifesto. «Sì, quando ho iniziato a scriverlo la mia idea era quella — dice Roche, 30 anni, dalla sua casa di Colonia, dove vive con il marito e una figlia —. Scrivere qualcosa per liberare le donne da una costrizione, per renderle meno schiave in fatto di odori, sesso, corpo, organi. In questo senso è un manifesto, anche se poi ha preso la forma del racconto». In effetti, il volume (Feuchtgebiete il titolo in tedesco) è davvero diventato un manifesto per le ragazze della Germania: ha ormai venduto oltre un milione di copie dalla primavera scorsa, è stato il primo e unico libro in tedesco a guidare la classifica di Amazon, le teenager ne parlano, i giovani ci organizzano dibattiti.

Henry Matisse, 'The joy of life', 1905-1906
Henry Matisse, "The joy of life", 1905-1906
La rivista letteraria britannica Granta ha scritto che evoca, non solo per la forza di rottura ma anche per la capacità narrativa, la voce di J.D. Salinger de Il giovane Holden, la perversione di James G. Ballard in Crash, l'agenda femminista di Germaine Greer ne L'eunuco femmina. «È fantastico — dice Roche, finora una conduttrice televisiva in diverse reti nazionali, soprattutto in programmi destinati ai giovani —. Per strada, le ragazzine mi riconoscono ma non mi chiamano per nome, nonostante da anni mi vedano in tv. Mi dicono "tu sei quella che ha scritto Feuchtgebiete"». La protagonista di Zone umide (in Italia uscirà il 22 ottobre da Rizzoli) è Helen Memel, una diciottenne con numerose esperienze sessuali di diverso genere, sfrontata con il prossimo, esplicita con il suo corpo e soprattutto non conformista in fatto di mode e di obblighi sociali. Tutto inizia quando, depilandosi, si ferisce le emorroidi, è ricoverata in ospedale, viene operata (due volte) e deve dunque restare a letto per qualche giorno. Il racconto tratta della permanenza di Helen in ospedale; dei suoi sforzi per provocare e fare innamorare l'infermiere; della necessità di riempire il tempo trattando noccioli di avocado da usare poi a scopo di masturbazione; del bisogno di «andare di corpo», come dicono irritandola le infermiere, dopo l'operazione. E dell'ossessione di rimettere assieme i suoi genitori, da tempo separati. Attorno a questo, le azioni e le riflessioni fulminanti di una teenager che ha scritto le sue regole. O almeno ha gettato alle ortiche quelle codificate. I punti forti del manifesto per la liberazione del corpo femminile dagli obblighi dell'igiene passano per il sesso.

«Ma non visto nel solito modo — precisa Roche —. C'è chi sostiene che il mio sia un libro pornografico. E io lo accetto, ho voluto che fosse sexy e divertente. Ma occorre aggiungere che non è solo pornografico. È anche disgustoso, nel senso che al sexy fa seguire il disgusto, ad esempio le emorroidi. Perché la donna è una cosa sola, non è unicamente sesso profumato, è anche altro, va in bagno, si ammala, sanguina. Non riconoscere e non parlare di questa sua parte limita e costringe la donna». Questo, dunque, è il punto di partenza del femminismo di Charlotte Roche e di Zone umide: una donna intera opposta a una idealizzata e falsificata da scuola, famiglia, religione, pubblicità, posto di lavoro. «La gente si lamenta perché la società si occupa troppo di sesso, e mi chiede se c'era proprio bisogno di un altro libro sull'argomento — spiega —. Ma il sesso che imperversa è sesso super-pulito, da supermodel, che non ha niente a che fare con la vita. Un sesso falso. Io voglio demistificare il corpo della donna per rompere questa menzogna. Andare in bagno e parlare di diarrea con il proprio partner è importante quanto parlare d'amore. Meglio il sesso che sbaglia, che fallisce piuttosto che il sesso finto che non esiste».

L'igiene, insomma, limita la sessualità. «Certo, è un limite. Prendiamo il profumo. Personalmente non lo sopporto, non lo metto mai, e quando entro al piano terra dei grandi magazzini, quello dei cosmetici, devo uscire subito a prendere una boccata d'aria. Ma, a parte me, non c'è dubbio che il sesso sia sempre migliore con l'odore naturale dei corpi. Una donna non dovrebbe preoccuparsi dei suoi umori. Sono sicura che chi mi ha amato lo abbia fatto perché ha amato il mio odore». La prima rottura di Zone umide con il femminismo delle generazioni precedenti è dunque questa: è meno politico e più personale, più attento al corpo della donna, al sesso non patinato, anche alla pornografia. E vede la donna nella sua interezza.

Ma ce n'è un'altra: l'uomo non è necessariamente un bruto. «Sono femminista nello stomaco — dice la scrittrice-conduttrice —. Sono cresciuta con una madre femminista politica di sinistra. Ma la differenza con lei e con femministe come Alice Schwarzer è che loro vedono la donna sempre vittima dell'uomo. Io, invece, a 30 anni, non vedo ogni maschio come un cattivo. I miei uomini li ho sempre scelti in modo femminista, nessuno di loro ha mai neanche pensato, per esempio, di dirmi che non devo lavorare. Sa qual è stato uno dei problemi? Che molte delle femministe note sono lesbiche: per loro è difficile capire le eterosessuali e ancora più difficile è parlargli. Credono che le donne sui tacchi siano cretine». Dunque: niente profumo, «al massimo un deodorante inodore», zero obblighi di depilazione in ogni parte del corpo, nessuna vergogna per i brufoli e le malattie, sesso a 360 gradi. Ma anche tacchi alti, «certo che li porto, mi piace essere bella per mio marito», doccia e shampoo, «giuro, la faccio ogni mattina», e famiglia la più unita possibile, «perché la mia esperienza mi dice che un figlio di genitori separati si porta dietro per sempre la speranza che un giorno tornino assieme, e soffre». È questo un manifesto generazionale, Il giovane Holden degli anni Duemila, ora che dalla Germania si espande nel mondo? «Non oso sperarlo. Non lo so. O forse lo spero». Beh, il nuovo femminismo sarà pure un po' ambizioso. «Già, io lo sono molto, e anche arrogante, almeno sul lavoro. Quindi dico vedremo».

Danilo Taino

lunedì 13 ottobre 2008

manifesto ancora in crisi

ARIECCOLO, “IL MANIFESTO” CHIEDE SOLDI - I LETTORI SI CHIEDONO: “POSSIBILE CHE SIAMO SEMPRE ALLO STESSO PUNTO?” – 37 ANNI DI QUESTUE, DEBITI E PARTECIPAZIONI ASSURDE – MA ANCHE GLI ALTRI GIORNALI… - -

Laura Maragnani per "Panorama"

Il governo Berlusconi «taglia i fondi all'editoria libera». Dunque, sottoscrivete. Il Manifesto è con l'acqua alla gola. Forza, sottoscrivete, Il Manifesto è una voce libera nel panorama dell'informazione di regime. Allora, come dice lo slogan del giorno, «manifestatevi». Sottoscrivete, ma prima magari date anche un'occhiata ai conti e alla gestione. Chi si è perso l'ennesimo grido di dolore del Manifesto?

«Ci pesa chiedere soldi ogni due o tre anni a chi ci legge» ha annunciato Rossana Rossanda in un grave editoriale del 24 settembre. Ma siccome «Berlusconi fa passare una legge che ammazza la libertà di stampa» (Valentino Parlato scripsit), urge una nuova sottoscrizione per salvare il glorioso quotidiano comunista da morte certa. Al grido «fateci uscire!» hanno già risposto in tanti: solidarietà (senza assegno allegato) di Walter Veltroni; incoraggiamento (incluso abbonamento sostenitore da 500 euro) di Anna Finocchiaro e Luigi Zanda; buone parole da Mario Monicelli, regista, Ferruccio De Bortoli, direttore del Sole 24 Ore (assegno), Claudio Grassi di Rifondazione (abbonamento), decine di lettori. Nessun partito, però. Quanto alla sinistra organizzata, latita.

«L'obiettivo è arrivare a 4 milioni» annuncia Gabriele Polo, il direttore che guadagna 1.300 euro netti al mese, alla pari con il centralinista. Ultimo stipendio percepito quello di maggio. Esattamente come il centralinista e gli altri 90 dipendenti-soci della cooperativa. «La riforma dell'editoria ora in discussione elimina il diritto soggettivo ai contributi pubblici. Rischiano così di mancarci 4 milioni l'anno» spiega Polo. «Non solo, senza la certezza di quei contributi le banche non possono più concederci anticipazioni». Lo sprofondo rosso è in agguato.

A tremare non è solo Il Manifesto. Altre testate ad alto tasso di militanza vivono da anni solo grazie ai contributi: Il Secolo d'Italia, organo ufficiale di An, La Padania leghista, la democratica Europa, l'agonizzante Liberazione fino al 2007 hanno incassato, come Il Manifesto, sui 3-4 milioni all'anno. Ma per il 2008? La scure del ministro Giulio Tremonti è calata sul fondo per l'editoria decurtandolo di 120 milioni. Altri tagli seguiranno l'anno prossimo. E si faranno più rigidi i paletti per l'accesso ai rimborsi, in base al nuovo regolamento che il sottosegretario Paolo Bonaiuti presenta il 20 ottobre in Consiglio dei ministri.

Già è iniziata la resistenza, bipartisan, guidata dal deputato Enzo Raisi, amministratore del quotidiano di An. Tutti uniti appassionatamente nel protestare, tutti compatti, dalla Padania a Europa, dall'Unità al Secolo. Certo, «se il Parlamento vuole votare una legge per salvare i quotidiani di partito, è liberissimo di farlo» ha detto Bonaiuti. Ma i giornali che non sono di partito?

Nella sede del Manifesto le facce sono tetre. Polo: «Viviamo nell'incubo che qualche creditore presenti un'istanza di fallimento». La sottoscrizione è l'unica speranza. Ma quante volte è già successo? Prima uscita: 28 aprile 1971. Capitale iniziale (50 milioni, prima sottoscrizione militante) bruciato in un attimo. Primo appello a sostenere la causa con «100 lire al giorno». A dicembre diventavano «1.000 lire per ogni tredicesima». L'anno dopo 2.000 lire. E avanti così per 37 anni.«Calcolare a moneta corrente quanto i lettori ci hanno donato non è facile. Grosso modo oltre 25 miliardi di lire» stima Il Manifesto. Una somma più che rispettabile, a cui vanno aggiunti i famosi contributi per l'editoria: quasi 35 milioni di euro dal 2000 al 2007. Possibile che non siano bastati?

Una certa perplessità comincia a serpeggiare anche fra i lettori. Come Giuseppe Incontrada di Torino: «In questi anni abbiamo sottoscritto decine di volte. Ora chiedete di nuovo. Possibile che siamo sempre allo stesso punto?». Possibile. E non è solo colpa di Silvio Berlusconi che «ammazza la libertà di stampa» (Parlato).

C'è «la crisi di sistema», «la crisi politica della sinistra», «la depressione in cui si trova il nostro bacino di riferimento» (Polo). C'è il calo delle copie vendute, dalle 30 mila del 2001 alle 25 mila attuali. Ma soprattutto ci sono i debiti: 20 milioni il consolidato verso le banche. I famosi 25 miliardi «donati dai lettori» non sono bastati nemmeno a pagare gli interessi dal '71 a oggi.

«Ma senza un solido patrimonio iniziale si fa presto ad accumulare debiti» spiega Polo. «Vendi 20 mila copie nel 1971, sali, scendi, sopravvivi, poi negli anni 90 arrivi a 50 mila. Ti allarghi, assumi. Dopo 2 anni riprecipiti. Non puoi fare ristrutturazioni selvagge, ma nuovi debiti sì. Vivi in maniera spericolata». Insomma: «Non siamo bravi ragionieri». No.

«Anche i poveracci fanno errori, per quanto stringano la cinghia» ha ammesso onestamente Rossana Rossanda quel 24 settembre. L'ex finanziere Sergio Cusani sta provando a rimettere in sesto i conti, però «il progetto di riordino finanziario è ovviamente fermo». La spa Il Manifesto, che doveva trasformarsi nella holding del gruppo e mettere sul mercato nuove azioni per rimediare liquidità (attualmente il 75 per cento è in mano alla cooperativa), è poco appetibile, visto che la cooperativa editrice non riesce a pagare nemmeno i 252 mila euro annui per l'affitto della testata. E del tutto invendibili sono le partecipazioni bizzarre che Il Manifesto si trova in tasca e da anni non portano un soldo.

Poca roba, ma riprova di un approccio col denaro a dir poco sfortunato: lo 0,02 per cento di una cooperativa finanziaria bolognese, la Fincooper, ora in liquidazione, tramite la quale Il Manifesto indirettamente partecipa a un paio di infelici società del mondo cooperativo (Finarcat a Firenze, 577 mila euro di rosso nel 2007, e Sindi a Bologna, 3 milioni di rosso nel 2006).

Non manca nemmeno un parcheggio per camper e roulotte a Punta Tavolara, in Sardegna. In perdita pure quello. Ma che vogliamo farci? «Errori ne fanno anche i poveracci» ha ammesso la Rossanda. Nessuno in questi 37 anni si è arricchito. Forza, sottoscrivete.

KUNDERA INFORMATORE DELLA POLIZIA CECA

dal CORRIERE ONLINE


L'uomo, prelevato dagli agenti, finì in una miniera. Oggi vive in Svezia

«Kunder aiutò la polizia segreta ceca»

La rivelazione di un settimanale di Praga: denunciò un dissidente che poi fu condannato a 22 anni

Lo scrittore Milan Kundera
Lo scrittore Milan Kundera
MILANO - L'autore dell'Insostenibile leggerezza dell'essere considera la sua vita privata «come un segreto che riguarda solo me», dal 1985 non concede più interviste se non per iscritto e la sua biografia ufficiale nelle edizioni francesi consta di due frasi: «Milan Kundera è nato in Cecoslovacchia. Nel 1975 si è trasferito in Francia». Oggi però il settimanale ceco Respekt pubblica una notizia che rompe nel modo più fragoroso possibile il muro di riservatezza del 79enne scrittore: «Nel 1950 Kundera ha denunciato alla polizia segreta comunista "StB" un ex pilota che lavorava per gli occidentali, e che venne per questo condannato a 22 anni di prigione ».

Nei giorni scorsi Kundera è stato contattato da Respekt ma ha rifiutato di rispondere alle domande di Adam Hradilek, autore dell'inchiesta. La rivista investigativa — nota e rispettata nella Repubblica Ceca, all'origine delle dimissioni del premier Stanislav Gross nel 2005 — pubblica il rapporto di polizia n˚ 624/1950 rintracciato negli archivi del ministero dell'Interno. «Oggi verso le ore 16 uno studente, Milan Kundera, nato il primo aprile 1929 a Brno (...) si è presentato in questo ufficio per riportare che in serata una studentessa incontrerà un certo Miroslav Dvorácek. Questi ha apparentemente disertato dal servizio militare e nella primavera dell'anno scorso è entrato illegalmente in Germania». La sera stessa Dvorácek venne arrestato nel luogo dell'incontro; sfuggì alla pena capitale ma venne condannato a 22 anni di prigione; ne scontò circa 13, in parte ai lavori forzati nelle miniere di uranio, secondo la sorte riservata ai prigionieri politici.

Milan Kundera, dai primi anni Sessanta una delle voci dissidenti poi protagoniste della Primavera di Praga, all'epoca della denuncia aveva 21 anni ed era iscritto al Partito comunista. Come lo scrittore esule in Francia, anche la sua vittima Miroslav Dvorácek ha lasciato il Paese natìo e uscito di galera si trasferì in Svezia, dove vive tuttora. Adam Hradilek è capitato sul nome di Kundera per caso, in qualità di responsabile della gestione degli archivi comunisti all'«Istituto di studio sui regimi totalitari»: la studentessa che doveva incontrare Dvorácek quella sera, dopo oltre 50 anni di sensi di colpa, ha chiesto notizie al giornalista e storico Hradilek perché temeva di avere involontariamente tradito l'amico. Ha scoperto invece che all'origine dell'arresto ci fu Milan Kundera, che né prima né dopo l'abiura del comunismo ha mai parlato dell'episodio.

Stefano Montefiori

domenica 12 ottobre 2008

BESTIVAL!

Grafica splendida, sito molto accurato e d'impatto

[ 08 Settembre 2008 ] Bestival!
Dal 9 ottobre il festival di letteratura per ragazzi di Cagliari

Giovedì 11 settembre 2008 ore 11,30
Cagliari Exmà, via San Lucifero 71

BESTIVAL!
Racconti, visioni e libri bestiali”
Cagliari - Exmà e piazza San Cosimo
9/10/11/12 ottobre 2008

Oltre 110 appuntamenti per bambini, ragazzi e adulti, con 80 ospiti fra scrittori, illustratori e scienziati italiani e stranieri, giornalisti, musicisti, narratori, artisti, danzatori e giocolieri.

In programma incontri con autori e studiosi di animali, laboratori scientifici, di illustrazione e d’arte, spettacoli di narrazione e di animazione, poesia, musica, pittura e giocoleria, letture, performance, mostre ed eventi speciali.

Il festival, presieduto dallo scrittore israeliano David Grossman, è ideato e organizzato dalla Cooperativa Tuttestorie in collaborazione con lo scrittore Bruno Tognolini, con Vittoria Negro, con il Centro Regionale Documentazione Biblioteche per Ragazzi della Provincia di Cagliari, con il Comune di Cagliari (Assessorati alle Politiche Sociali e alla Cultura) e con la Regione Autonoma della Sardegna (Assessorati alla Pubblica Istruzione e al Turismo).
La manifestazione si svolge sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica e il Patrocinio dell’Ufficio Scolastico Regionale, con il contributo della Presidenza del Consiglio Regionale, della Fondazione Banco di Sardegna, del Banco di Sardegna e la sponsorizzazione di Tiscali, Radio Press, Radio X e skuola.net.
La manifestazione si colloca all’interno del macro-progetto La città dei bambini, previsto nel più ampio Piano Territoriale per l’infanzia e l’adolescenza, conforme alla L.285/97 “ Promozione di diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”, è inserita nel progetto interregionale “Itinerari turistici dei paesaggi d’autore” e nel progetto “Ottobre, piovono libri: i luoghi della lettura” promosso dall’Istituto per il Libro in collaborazione con la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, l’Unione delle Province d’Italia e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani”.

Informazioni: Cooperativa Tuttestorie tel.070/659290, Ufficio Stampa: Manuela Fiori 3331964115, Segreteria Festival: Caterina Urgu 3494645946, www.tuttestorie.it

la deriva napoletana


dal corriere online

La vita dorata dei falsi sfollati
negli alberghi di Napoli

Costano 4 milioni l'anno, solo la metà ha diritto all'assistenza. E il Comune rischia il dissesto

Gli sfollati che da sei anni soggiornano in alcuni alberghinapoletani a spese del Comune, vitto e alloggio bevande escluse, sono ancora lì. Nonostante la scoperta che solo uno su due era sfollato: gli altri erano «subentrati». Sono in corso accertamenti, dicono. E i furboni sperano che come le altre volte lo scandalo passi e chi paga i conti si dimentichi di loro. Difficile, stavolta: il municipio è messo male. E quegli sfollati, i veri e i falsi, costano quattro milioni di euro l'anno. Direte: non è possibile. Stando ai calcoli fatti da Alleanza Nazionale, l'ospitalità generosamente offerta alle famiglie fatte sgomberare nel dicembre 2002 da tre edifici fatiscenti di vico Longo a Carbonara, nella zona più degradata dalle parti di piazza Mercato, sarebbe costata fino ad oggi quanto bastava e avanzava per costruire un paio di palazzine in grado di accogliere tutti gli evacuati.

Basti dire che ai cinque hotel nei dintorni della stazione ferroviaria, il Comune paga 55 euro al giorno per la pensione completa di ogni ospite per un totale di 79.600 euro a settimana, 341 mila al mese, 4 milioni e 98 mila euro l'anno. E quando hanno fatto irruzione al «Maxjo», un brutto albergo a due stelle, all'alba di alcuni giorni fa, i vigili urbani al comando del generale Luigi Sementa, ci hanno trovato di tutto. Persone che vivevano a sbafo a spese della collettività senza mai essere stato sfollate. Un paio di pregiudicati. Armi e munizioni. Stanze trasformate in appartamentini con angoli cottura. Un «femminiello» assonnato reduce da una notte sul marciapiede: «Ca vulite? Siete della buoncostume?». Oddio, non che il Municipio sia nuovo a «distrazioni» su questo versante. Anzi. Una bella fetta di napoletani è assolutamente convinta di avere una specie di diritto divino ad avere la casa gratis. E l'andazzo di chiudere un occhio sulle piccole e grandi prepotenze del popolino («si può ben dire che la plebe napoletana è molto più plebe delle altre», diceva già due secoli e mezzo fa Montesquieu) è così diffuso che il Comune, proprietario di un immenso patrimonio immobiliare, riesce a rimetterci 16 milioni di euro l'anno. Ovvio: stando a un recente rapporto della Corte dei Conti, gli inquilini degli alloggi municipali che dichiarano di vivere d'aria e di non avere neppure un euro di reddito annuale (neppure uno!) sono 78 su cento. Gli ultimi 22, almeno, pagano? Qualche volta sì, qualche volta no...

Come andassero le cose negli alberghi dove il Comune aveva via via piazzato gli sfollati a partire addirittura dal 2000, si sapeva da tempo. Rifondazione Comunista aveva denunciato la cosa già nel 2003 e poi di nuovo alla fine del 2006, chiedendo di sapere l'entità della spesa comunale «essendoci nuclei familiari collocati in vari alberghi cittadini dei quali però si è persa ogni traccia». Solo che questa volta il ritorno di fiamma dello scandalo è arrivato in un momento delicatissimo. Nei giorni in cui la giunta comunale guidata da Rosa Russo Iervolino, come scriveva ieri mattina Il Sole 24 ore, si ritrova «a un passo dal dissesto». Carica di debiti, di mutui da pagare e con crediti per 800 milioni di euro che i revisori dei conti, con un eufemismo che la dice lunga, hanno definito «difficilmente esigibili». Traduzione: avanza un mucchio di denaro da persone, enti e società che i loro debiti non li salderanno mai.

Non bastasse, sono saltati fuori tra esclamazioni di sorpresa generale 58 milioni e 349 mila euro di debiti fuori bilancio, segnalati dai vari uffici all'assessorato alle Finanze dopo la chiusura del documento contabile annuale. Una somma enorme. Tanto più che riguarda solo i primi otto mesi dell'anno e rischia, secondo l'opposizione di destra, di gonfiarsi ancora fino a cento milioni. Cosa significhi lo ha spiegato il Corriere del Mezzogiorno, ricordando che non solo lo stesso Comune partenopeo aveva chiuso il 2007 con un extradeficit che era la metà (28 milioni) ma che questo extradeficit nel 2007 ha pesato su Torino per 60 mila euro, su Roma per un milione e 800 mila, su Milano per 195 mila. Cifre risibili, in confronto a quella napoletana. Di più, accusa il Sole: nel 2007 tutti i Comuni e tutte le Province italiani messi insieme hanno accumulato perdite fuori bilancio per un totale di 600 milioni.

Come diavolo ha fatto Palazzo San Giacomo a farne da solo oltre 58? Colpa del profondo rosso da 23,4 milioni di «Napoli Servizi», la società partecipata dalla quale la giunta di Rosa Russo Iervolino (che strilla furente: «Chi ha sbagliato pagherà!») vuole uscire. Colpa, per altri 11 milioni, di lavori imprevisti, improvvise urgenze, manutenzione stradale, «acquisto suppellettili»... Colpa infine, per altri 23,5 milioni, di spese processuali e risarcimenti e condanne sul fronte di varie sentenze negative, a partire da un vecchio contenzioso su un grosso appalto pubblico di metà degli anni Novanta a Ponticelli chiuso con un lodo di 14 milioni euro. «Mi vergogno di essere l'assessore al Bilancio di un Comune che ha un debito fuori bilancio così grande. È intollerabile la dimensione che sta assumendo questo fenomeno», si è sfogato accusando i funzionari l'assessore Enrico Cardillo, un ex sindacalista della Uil nel mirino della magistratura per la distribuzione di troppe consulenze. «Se ti vergogni dimettiti», gli ha risposto brusco Salvatore Varriale, oggi consigliere di Forza Italia e tanti anni fa, per conto della Dc, predecessore di Cardillo. Secondo lui, i crediti di fatto quasi impossibili da recuperare sono addirittura di più e potrebbero sfondare il miliardo: «Si pensi che le sole tasse sulla spazzatura mai pagate ammontano a 130 milioni e le sole multe stradali a 416!». Come andrà a finire? Boh... I nuvoloni all'orizzonte sono neri neri. Lo sapete, ad esempio, quante sono le cause pendenti contro il Comune? Oltre cinquantamila.

Gian Antonio Stella

sabato 11 ottobre 2008

aridatece "pimp my valley"!!!

Parte la campagna pubblicitaria, Ma il presidente la blocca dopo le polemiche

Valle d'Aosta: veline montanare e rap
ma lo spot viene oscurato

Un'immagine di «PimpMyValley» (da Aostaoggi.it)
Un'immagine di «PimpMyValley» (da Aostaoggi.it)
MILANO - Quando il rapper ha finito di cantare, quando le ragazze-veline hanno smesso di ballare, quando sono passati i 2 minuti e 53 secondi di parole a raffica tipo «Valle d'Aosta», «polenta concia», «slalom fuoripista», «Monte Bianco-Gran Paradiso», «Casinò di Saint Vincent», quando anche il bue ha finito di muggire... Ecco. A quel punto Augusto Rollandin, presidente della regione Valle d'Aosta, ha staccato gli occhi dallo schermo e ha scosso la testa: «Ma che roba è?». Un minuto dopo la questione era già nelle mani dell'assessore regionale al Turismo, Aurelio Marguerettaz. «Non andremo davvero a Roma a presentare questa sconceria per promuovere la nostra regione?», si è preoccupato Rollandin. Tutto questo giovedì pomeriggio.

L'home-page del sito oscurato (da Aostaoggi.it)
L'home-page del sito oscurato (da Aostaoggi.it)
Venerdì mattina quella «sconceria» è sparita dalla Rete. Del resto, dopo una breve consultazione con la sua giunta già nella serata di giovedì il presidente era stato chiaro: «Non concordiamo sul contenuto di questo lavoro. Ragazze scosciate che ballano in quel modo... le immagini dei nostri monti e i simboli della cultura valdostana sullo sfondo... non è il nostro target, quindi ritiriamo quel sito, lo cancelliamo». Altro che «linguaggio divertente, in grado di catturare i più giovani», come spiegano alla Saatchi & Saatchi, la società milanese che ha ideato quelle pagine Internet a ritmo di rap. Il sito, presentato una prima volta l'8 ottobre a Milano, si chiama «PimpMyValley» e fa parte della promozione della stagione turistica valdostana 2008-2009, la terza affidata dai valdostani alla Saatchi & Saatchi dopo la gara d'appalto del 2004 che ha assicurato alla società un contratto da oltre 100 mila euro. L'amministratore delegato, Fabrizio Caprara, dice che «il vero lancio online è previsto per il 20 ottobre a Roma» che quello contestato è «un prodotto ancora in progress».

Sorride il dottor Caprara, ma che non si parli di sito oscurato. Perché il sito ufficialmente non è ancora nato. Impossibile sapere la cifra precisa investita in «PimpMyValley» del quale, in teoria, potrebbe salvarsi ben poco anche se nell'anticipazione milanese sembrava mancasse tutt'al più qualche ritocco. L'agenzia parlò di «modernità» mentre scorrevano le immagini di ragazze (più o meno vestite con un clic del mouse) che invitavano a scoprire questa o quella meraviglia made in Valle d'Aosta. «Roba che non ci interessa», l'ha fatta breve Rollandin. Come i lettori di Aostaoggi.it: bocciano il sito-non sito, polemizzano e discutono online: ma la parola «pimp» non significa «magnaccia»?

Giusi Fasano
11 ottobre 2008

mercoledì 8 ottobre 2008

crisi

Secondo un sondaggio di Ipr Marketing il 16% degli intervistati teme
di subire un pignoramento, mentre il 14% di dover vendere per via delle rate troppo alte

Mutui, il 30% degli italiani
ha paura di perdere la casa

In tanti temono gli effetti della crisi Usa: solo l'8% si ritiene al sicuro
di ROSARIA AMATO

Mutui, il 30% degli italiani ha paura di perdere la casa

ROMA - Pagare le rate del mutuo rappresenta sempre di più un incubo per gli italiani. Il 35 per cento degli intervistati da Ipr Marketing, in un sondaggio commissionato da Repubblica.it, teme di "non riuscire a pagare qualche rata", ma il 16 per cento ha paura di "subire un pignoramento in seguito al fatto di non poter pagare il mutuo". Per il 14 per cento il timore maggiore è quello di "vendere la casa per pagare la rimanente parte del mutuo".

mondo a credito

da Repubblica Online

Il mondo drogato
della vita a credito

di ZYGMUNT BAUMAN


Un quotidiano britannico ha pubblicato la storia di un cinquantunenne che ha accumulato un debito di 58mila sterline su 14 carte di credito e finanziamenti vari. Con l'impennata dei costi del carburante, dell'elettricità e del gas non riusciva più a pagare gli interessi.

Deplorando, col senno di poi, la sconsideratezza che lo ha gettato in questa situazione spiacevole se la prendeva con chi gli aveva prestato il denaro: parte della colpa è anche loro, diceva, perché rendono terribilmente facile indebitarsi. In un altro articolo pubblicato lo stesso giorno, una coppia spiegava di aver dovuto drasticamente ridurre il bilancio familiare, ma esprimeva anche preoccupazione per la figlia, una ragazza giovane già pesantemente indebitata. Ogni volta che esaurisce il plafond della carta di credito subito le viene offerto in prestito altro denaro. A giudizio dei genitori le banche che incoraggiano i giovani a prendere prestiti per acquistare, e poi altri prestiti per pagare gli interessi, sono corresponsabili delle sventure della figlia.

C'era un vecchio aneddoto su due agenti di commercio che giravano l'Africa per conto dei rispettivi calzaturifici. Il primo inviò in ditta questo messaggio: inutile spedire scarpe , qui tutti vanno scalzi. Il secondo scrisse: richiedo spedizione immediata di due milioni di paia di scarpe, tutti qui vanno scalzi. La storiella mirava ad esaltare l'intuito imprenditoriale aggressivo, criticando la filosofia prevalente all'epoca secondo cui il commercio rispondeva ai bisogni esistenti e l'offerta seguiva l'andamento della domanda. Nel giro di qualche decennio la filosofia imprenditoriale si è completamente capovolta. Gli agenti di commercio che la pensano come il primo rappresentante sono rarissimi, se ancora esistono. La filosofia imprenditoriale vigente ribadisce che il commercio ha l'obiettivo di impedire che si soddisfino i bisogni, deve creare altri bisogni che esigano di essere soddisfatti e identifica il compito dell'offerta col creare domanda. Questa tesi si applica a qualsiasi prodotto, venga esso dalle fabbriche o dalle società finanziarie. La suddetta filosofia imprenditoriale si applica anche ai prestiti: l'offerta di un prestito deve creare e ingigantire il bisogno di indebitarsi.

L'introduzione delle carte di credito è stata un segno premonitore. Le carte di credito erano state lanciate sul mercato con uno slogan rivelatore e straordinariamente seducente: "Perché aspettare per avere quello che vuoi?". Desideri una cosa ma non hai guadagnato abbastanza per pagarla? Beh, ai vecchi tempi, ora fortunatamente andati, si doveva procrastinare l'appagamento dei propri desideri: stringere la cinghia, negarsi altri diletti, essere prudenti e parchi nelle spese e depositare il denaro così racimolato su un libretto di risparmio nella speranza di riuscire, con la cura e la pazienza necessarie, ad accumularne abbastanza per poter realizzare i propri sogni. Grazie a Dio e al buon cuore delle banche non è più così! Con la carta di credito si può invertire l'ordine: prendi subito, paghi dopo. La carta di credito rende liberi di appagare i desideri a propria discrezione: avere le cose nel momento in cui le vuoi, non quando te le sei guadagnate e te le puoi permettere.

Questa era la promessa, ma sotto c'era anche una nota in caratteri minuscoli, difficile da decifrare anche se facile da intuire in un momento di riflessione: quel perenne "dopo" ad un certo punto si trasformerà in "subito" e bisognerà ripagare il prestito. Il pagamento dei prestiti contratti per non aspettare e soddisfare subito i vecchi desideri, renderà difficilissimo soddisfarne di nuovi... Non pensare al "dopo", significò , come sempre, guai in vista. Si può smettere di pensare al futuro solo a proprio rischio e pericolo. Sicuramente il conto sarà salato. Più presto che tardi arriva la consapevolezza che allo sgradevole differimento dell'appagamento si è sostituito un breve differimento della vera terribile punizione per l'essere stati precipitosi. Ci si può togliere uno sfizio quando si vuole, ma anticipare il diletto non lo renderà più abbordabile... In ultima analisi, sarà differita solo la presa di coscienza della triste realtà.

Per quanto nociva e dolorosa, questa non è l'unica nota in caratteri minuscoli sotto la promessa del "prendi subito, paga dopo". Per evitare di limitare ad un solo prestatore il profitto derivante dalle carte di credito e dai prestiti facili, il debito contratto doveva essere (e così è stato) trasformato in un bene che procuri profitto permanente. Non riesci a ripagare il tuo debito? Non preoccuparti: a differenza degli avidi prestatori di denaro vecchio stile, ansiosi di veder ripagate le somme prestate entro termini ben precisi e non differibili, noi prestatori di denaro moderni e disponibili non ti chiediamo indietro i nostri soldi, bensì ci offriamo di prestartene altri per pagare il vecchio debito e avere un po' di disponibilità (cioè di debito) in più per toglierti nuovi sfizi. Siamo le banche che dicono "sì", le banche disponibili, le banche col sorriso, come diceva una delle pubblicità più geniali.

Quello che nessuno spot diceva apertamente, lasciando la verità ai cupi presagi del debitore, era che le banche prestatrici in realtà non volevano che i debitori pagassero i debiti. Se lo avessero fatto entro i termini non sarebbero stati più in debito, ma sono proprio i loro debiti (il relativo interesse mensile) che i moderni, disponibili (e geniali) prestatori di denaro hanno deciso, con successo, di riciclare come fonte prima del loro profitto costante, assicurato (e si spera garantito). I clienti che restituiscono puntualmente il denaro preso in prestito sono l'incubo dei prestatori. Le persone che si rifiutano di spendere denaro che non abbiano già guadagnato e si astengono dal prenderlo in prestito, non sono di alcuna utilità ai prestatori - perché sono quelli che (spinti dalla prudenza o da un senso antiquato dell'onore) si affrettano a ripagare i propri debiti alle scadenze. Una delle maggiori società di carte di credito presenti in Gran Bretagna ha suscitato pubbliche proteste (che certo avranno vita breve) nel momento in cui ha scoperto il suo gioco rifiutando il rinnovo delle carte ai clienti che pagavano ogni mese il loro intero debito, senza quindi incorrere in sanzioni finanziarie.

L'odierna stretta creditizia non è risultato del fallimento delle banche. Al contrario, è il frutto del tutto prevedibile, anche se nel complesso inatteso, del loro straordinario successo: successo nel trasformare una enorme maggioranza di uomini e donne, vecchi e giovani, in una genìa di debitori. Perenni debitori, perché si è fatto sì che lo status di debitore si auto-perpetui e si continuino a offrire nuovi debiti come unico modo realistico per salvarsi da quelli già contratti. Entrare in questa condizione, ultimamente, è diventato facile quanto mai prima nella storia dell'uomo: uscirne non è mai stato così difficile. Tutti coloro che erano nelle condizioni di ricevere un prestito, e milioni di altri che non potevano e non dovevano essere allettati a chiederlo, sono già stati ammaliati e sedotti a indebitarsi. E proprio come la scomparsa di chi va a piedi nudi è un guaio per l'industria calzaturiera, così la scomparsa delle persone senza debiti è un disastro per l'industria dei prestiti. Quanto predetto da Rosa Luxemburg si è nuovamente avverato: comportandosi come un serpente che si mangia la coda il capitalismo è nuovamente arrivato pericolosamente vicino al suicidio involontario, riuscendo ad esaurire la scorta di nuove terre vergini da sfruttare...

Negli Usa il debito medio delle famiglie è cresciuto negli ultimi otto anni - anni di apparente prosperità senza precedenti- del 22 per cento. L'ammontare totale dei prestiti su carta di credito non pagati è cresciuto del 15%. E , cosa forse più minacciosa, il debito complessivo degli studenti universitari, la futura élite politica, economica e spirituale della nazione, è raddoppiato. L'insegnamento dell'arte di "vivere indebitati", per sempre, è ormai inserito nei programmi scolastici nazionali... Si è arrivati a una situazione molto simile in Gran Bretagna. Il resto dei Paesi europei segue a non grande distacco. Il pianeta bancario è a corto di terre vergini avendo già sconsideratamente dedicato allo sfruttamento vaste estensioni di terreno sterile.

La reazione finora, per quanto possa apparire imponente e addirittura rivoluzionaria per come emerge dai titoli dei media e dalle dichiarazioni dei politici, è stata la solita : il tentativo di ricapitalizzare i prestatori di denaro e di rendere i loro debitori nuovamente in grado di ricevere credito, così il business di prestare e prendere in prestito, dell'indebitarsi e mantenersi indebitato, potrebbe tornare alla "normalità". Il welfare state per i ricchi (che a differenza del suo omonimo per i poveri non è mai stato messo fuori servizio) è stato riportato in vetrina dopo essere stato temporaneamente relegato nel retrobottega per evitare invidiosi paragoni. Lo Stato ha nuovamente flesso in pubblico muscoli a lungo rimasti inattivi, stavolta al fine di proseguire il gioco che rende questo esercizio ingrato ma, abominevole a dirsi, inevitabile; un gioco che stranamente non sopporta che lo Stato fletta i muscoli, ma non può sopravvivere senza.

Quello che si dimentica allegramente (e stoltamente) in quest'occasione è che l'uomo soffre a seconda di come vive. Le radici del dolore oggi lamentato, al pari delle radici di ogni male sociale, sono profondamente insite nel nostro modo di vivere: dipendono dalla nostra abitudine accuratamente coltivata e ormai profondamente radicata di ricorrere al credito al consumo ogni volta che si affronta un problema o si deve superare una difficoltà. Vivere a credito dà dipendenza come poche altre droghe, e decenni di abbondante disponibilità di una droga non possono che portare a uno shock e a un trauma quando la disponibilità cessa. Oggi ci viene proposta una via d'uscita apparentemente semplice dallo shock che affligge sia i tossicodipendenti che gli spacciatori: riprendere (con auspicabile regolarità) la fornitura di droga.

Andare alle radici del problema non significa risolverlo all'istante. È però l'unica soluzione che possa rivelarsi adeguata all'enormità del problema e a sopravvivere alle intense, seppur relativamente brevi , sofferenze delle crisi di astinenza.
(Traduzione di Emilia Benghi)
(8 ottobre 2008)

L'ISOLA DELLA SVENTURA

magistrale, amara stroncatura della nostra Sventura


dal Corriere Online

A FIL DI RETE

L'Isola specchio del nostro Paese

di ALDO GRASSO

L' isola della Sventura. Sarà anche la trasmissione più odiata da quelli che amano la tv intelligente, sarà anche governata da una conduttrice che urla come una pescivendola e minaccia i concorrenti di farli sparire dalla faccia della tv, sarà anche commentata da Luca Giurato, uno che ti chiedi come abbia fatto; eppure L'isola dei famosi ha dei momenti involontari di grande letteratura popolare (Raidue, lunedì, ore 21.05). Intanto perché è l'unico programma che abbia svolto un'analisi seria sul disastro delle Borse: commentando la «moria di concorrenti » (quest'anno tutti fuggono via dall'isola, ignominiosamen-te), la Ventura (anzi la Sventura) ha ricordato che il 2008 è anno bisestile: «Anno bisesto, anno funesto» (o senza sesto, o dissesto). Che Wall Street e Piazza Affari ne tengano conto, per favore.

Poi, L'isola ci ha regalato il momento comico più alto della stagione: l'imitazione di Michi Gioia e del suo compagno Giuseppe fatta da Vladimir Luxuria; un piccolo gioiello di umorismo, di descrizione di un ambiente, di critica sociale. A Zelig se lo sognano un numero così. Per non parlare del latino dadaista e aleatorio della Sventura (per lei «alea iacta est» diventa «dada tracta est») o di Valeria Marini. Il paravento dietro cui non ci si può più nascondere, e che l'isola della Sventura ci ricorda senza pietà, è questo: la tv generalista riflette l'Italia generalista, che è ancora stragrande maggioranza. I concorrenti, Mara e Luca, il «parentame», Cabrini e il marito di Ivana Trump, i famosi e i non famosi siamo noi. L'isola è un monito sotto forma di farsa: alla stupidità abbiamo tutti sacrificato qualcosa di essenziale; chi più, chi meno. La stupidità infatti è sì connessa al mondo del pensiero ma lo è ancora di più a quello della tv. È un magma che si espande continuamente, un inconfessabile amore, una «invincibile attiranza », per appellarsi ad Alberto Savinio.


08 ottobre 2008

lunedì 6 ottobre 2008

cacia al pirata

CACCIA AL PIRATA – DA GENNAIO CHI SCARICA ILLEGALMENTE PER 3 VOLTE POTREBBE RITROVARSI SENZA INTERNET PER UN ANNO – AL LAVORO UNA COMMISSIONE COORDINATA DA MAURO MASI – I PROVIDER GIÀ PROTESTANO…

Michela Finizio per "Il Sole 24 Ore

Sono centinaia i cultori del telefilm americano «Lost» che, prima della messa in onda in Italia, hanno potuto vedere le puntate scaricandole da internet. Un vero e proprio fenomeno "della rete", reso possibile grazie ad alcuni appassionati che registrano le puntante in inglese, le sottotitolano in italiano, per poi condividerle illegalmente con milioni di utenti grazie al peer to peer.

È solo uno degli esempi di pirateria "all'italiana", che però mostra il livello di diffusione e organizzazione raggiunto dal fenomeno. Ormai un abitudine, contro cui il Governo, ha recentemente deciso di prendere posizione, nell'intento di individuare gli strumenti più idonei per colpire i pirati informatici.

È stato registrato il 23 settembre dal Consiglio dei ministri il decreto che istituisce il tavolo istituzionale contro la pirateria multimediale e digitale, annunciato dal ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi, durate la Mostra del Cinema di Venezia. La nuova commissione, coordinata dal segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, Mauro Masi, si insedierà nelle prossime settimane e avrà compiti precisi: predisporre eventuali normative e adottare provvedimenti mirati, interagire con gli operatori del settore al fine di condividere codici di autodisciplina, adottare azioni e iniziative di contrasto al fenomeno

Ne faranno parte, oltre al coordinatore e al capo gabinetto del ministero dei Beni culturali, il presidente della Siae (Società italiana degli autori ed editori), i rappresentanti dei dicasteri coinvolti e due esperti del settore, che verranno nominati a breve.
«Faremo diverse audizioni pubbliche - afferma Mauro Masi- durante le quali ascolteremo tutti i rappresentanti del settore e le associazioni di categoria. Stiamo per attivare anche una casella di posta elettronica dove operatori ed enti interessati potranno inviare i loro suggerimenti. Intendiamo trovare una soluzione a questo grave problema, ma non credo a priori che esista una ricetta più giusta di altre».

A risvegliare l'interesse sul tema della pirateria è stata la strada intrapresa di recente dalla Francia. Dopo aver istituito una commissione ad hoc, come sta accadendo in Italia, il governo di Sarkozy ha approvato un disegno di legge ( detto disegno "Olivennes" dal nome di Denis Olivennes, il presidente della Fnac che ha presideduto la commissione) che mira a contrastare il fenomeno. A chi scarica illegalmente contenuti protetti da diritto d'autore, dopo alcuni ammonimenti, al terzo avviso gli verrà sospesa la connessione in-ternet, anche per un anno.

La misura descritta dovrebbe entrare in vigore a partire da gennaio 2009, grazie alla collaborazione degli internet service provider (isp): solamente tramite loro la nuova autorià amministrativa Hadopi ( Haute Autorité pour la diffusion des oeuvres et la protection des droits sur internet) potrà effettuare controlli e inviare avvisi agli utenti che commettono azioni illecite online.


Il provvedimento francese ha suscitato interesse in tutta Europa e, a catena, anche Gran Bretagna e Germania hanno già espresso la volontà di "imitare" i francesi. Il Parlamento europeo, invece, si è pronunciato negativamente: i deputati europei hanno votato contro le misure di sorveglianza e di repressione del testo francese, sostenendo che l'interruzione dell'accesso a internet sia «in contraddizione con le libertà civili, i diritti umani e i principi di proporzionalità di efficacia e dissuasione ». Pareri discordanti che, anche in Italia, riflettono orientamenti diversi.

La normativa italiana sulla pirateria, a detta di molti, è una delle migliori nel panorama europeo (vedi le schede in basso, elaborate con la collaborazione dello studio legale LGV Avvocati). Il presidente della Siae, Giorgio Assumma, unico rappresentante esterno che siederà al tavolo istituto presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha più volte manifestato la propria posizione: «Stavolta credo si possa compiere una battaglia seria - afferma Assumma -. Ho capito che c'è una volontà precisa, anche da parte del Governo, di intervenire. Condivido pienamente la proposta francese e auspico si possa adottare anche in Italia la stessa ideologia. Lo stop della connessione è necessario, sennò i risultati sono inefficaci. Per questo è necessaria la collaborazione degli intermediari».

I provider, però, hanno già sollevato forti perplessità: «Non vedo come si possa - afferma il presidente di Assoprovider, Dino Bortolotto - decidere qualcosa che ci riguarda senza interpellarci. Le proposte in questione sono anticostituzionali, dirette a estendere la responsabilità dei provider e a criminalizzare gli utenti finali che utilizzano internet. In questo modo il tavolo rappresenta solo gli interessi dei titolari dei diritti».

MENTIRE VIE EMAIL

dal Corriere Online

Quanto è facile mentire via email
"Più bugie di chi scrive su carta"

Doppio studio scientifico presentato a un congresso in California
di BENEDETTA PERILLI


VI HA DICHIARATO amore eterno via email? Chiedete la prova. Quel messaggio ha molte possibilità di essere una bugia. Secondo lo studio condotto da un team di ricercatori americani, chi usa la posta elettronica tende a mentire il doppio di chi scrive a penna. A scoprirlo sono stati Liuba Belkin della Lehigh University in Pennsylvania, Terri Kurtzberg della Rutgers University, New Jersey, e Charles Naquin della DePaul University, Chicago. Porta la loro firma il doppio studio dal titolo "Essere sinceri online" e presentato all'incontro annuale dell'Academy of Management in California. Insomma, quella che puo' sembrare un'ovvietà - alzi la mano chi è sempre stato sincero dialogando dietro lo schermo protettivo della rete - è stata dimostrata in laboratorio. Carta canta, e vedremo anche perché.

Nella prima parte della ricerca il team ha analizzato il comportamento di quarantotto studenti universitari ai quali veniva richiesto di spartire con una persona immaginaria una somma di denaro pari a 89 dollari. A due condizioni però: solo gli studenti conoscono la somma da dividere, mentre l'altra persona che dovrebbe ricevere il denaro sa solo che la somma si aggira tra i 5 e i 100 dollari. Inoltre l'altro sa di dover dover accettare obbligatoriamente l'offerta che gli viene fatta dallo studente, senza poter ribattere. Insomma, per chi scrive è la situazione migliore per mentire senza rischiare nulla.

Ma è sul mezzo della comunicazione che le differenze sono saltate agli occhi. Agli studenti sono state date due possibilità per informare l'altro dell'ammontare della cifra spartita: l'email o la più tradizionale carta e penna. Nel 92% dei casi gli studenti che hanno scelto di utilizzare la posta elettronica hanno mentito, mentre solo il 64% di chi ha scritto di proprio pugno la lettera ha detto una bugia. Il tasso di menzogna di chi scrive mail sarebbe quindi del 50% più alto di chi scrive a penna.

Ma non solo. Mentire, dicendo che la somma totale era pari a 56 dollari e che quindi la parte da destinare all'altro ammontava a circa 29 dollari, è, per chi ha usato la mail, giustificato dall'utilizzo del mezzo scelto. Gli studenti che hanno utilizzato carta e penna sono risultati più onesti e generosi: in media hanno donato all'altro circa 34 dollari, sostenendo che la somma totale corrispondeva a 67 dollari.

Nel tentativo di chiarire quali dinamiche hanno spinto gli studenti a mentire più facilmente quando il mezzo utilizzato era l'email, il team di ricercatori ha scelto di portare avanti la ricerca effettuando una nuova analisi comportamentale questa volta su 69 studenti universitari. Mentre nella prima parte dello studio a dividere la somma con gli studenti era una persona immaginaria e sconosciuta, nella seconda l'altro era identificato in un conoscente. I risultati hanno così dimostrato che se gli scrittori di email si conoscono tra di loro, tendono a dire bugie meno ingannevoli. Ma pur sempre bugie.

I ricercatori ritengono che questa differenza di atteggiamenti potrebbe essere giustificata dal fatto che i documenti scritti a mano o su cartaceo continuano a mantenere, agli occhi di molte persone, una valenza legale più forte. Una lettera scritta a penna, insomma, sarebbe più difficile da cancellare o far sparire.

Ecco dunque, che in qualità di documento e testimonianza, è preferibile affidare alla carta i sentimenti più veri. La email, ancora vista come un documento fluttuante, nonostante oggi anche i supporti digitali siano sempre più difficili da cancellare o controllare, favorirebbe quindi la menzogna.

"Siamo rimasti stupiti non tanto dal fatto che chi ha scelto l'email mentisse - ha spiegato Liuba Belkin - ma soprattutto dal tasso maggiore di menzogna rispetto a chi ha scritto con carta e penna".

Lo studio rispecchierebbe, secondo i ricercatori, la crescente preoccupazione legata agli ambienti di lavoro nei quali le comunicazioni, partire dal 1994 circa, vengono veicolate soprattutto via mail e senza alcun tipo di regolamentazione. "La posta elettronica evita di mostrare qualsiasi tipo di segnale comportamentale o non verbale che il nostro corpo potrebbe emettere durante una conversazione verbale, ma anche nell'ambito di una lettera scritta a mano, e favorisce quindi comportamenti ingannevoli che difficilmente possono essere scovati".

Del resto gli studi più recenti sull'argomento confermano che, comparando l'email ad altri mezzi di comunicazione, la posta elettronica viene associata spesso a comportamenti spiacevoli: da una scarsa fiducia interpersonale ad atteggiamenti negativi, fino ad una tendenza più spiccata all'invio di messaggi dai contenuti offensivi, imbarazzanti e violenti.

(6 ottobre 2008)

animali antichissimi

Ha un corpo lungo 1 centimetro e molti arti, capaci di pungere il terreno come spilli
E' stato scoperto per caso nel Nevada, ma il suo habitat era marino

Ecco il primo animale con le zampe
E' vissuto 570 milioni di anni fa

La sua esistenza, nel periodo Ediacarano, ha sorpreso gli studiosi
Finora si riteneva che i primi esseri complessi fossero comparsi molto dopo


Ecco il primo animale con le zampe E' vissuto 570 milioni di anni fa
ROMA - Viveva nel mare 570 milioni di anni fa, il più "vecchio" animale con le zampe a tutt'oggi noto.
Aveva un corpo lungo circa un centimetro e un numero imprecisato, ma sicuramente numeroso, di zampe, piuttosto lunghe e molto sottili, tanto da lasciare impronte simili a punte di spillo. Con questi arti si spostava sul tappeto di sedimenti soffici e compatti del mare poco profondo che si estendeva dove oggi si trova lo Stato americano del Nevada.

DYLAN- OUTTAKES IN USCITA

TIZIANO FERRO PRODUCE LA TERRIBILE GIUSY

Tiziano Ferro produce Giusy Ferreri
A novembre uscirà Gaetana, cd di inediti

Giusy Ferreri ROMA (5 ottobre) - Tra di loro è scattato «qualcosa di chimico». Tanto che da diversi mesi lavorano insieme. Tiziano Ferro e Giusy Ferreri sono già una coppia. Almeno artisticamente. Il cantante di Latina produce la regina delle hit estive, vincitrice morale di X Factor. Il cd di inediti si chiamerà Gaetana come la nonna di super Giusy e uscirà il 14 novembre. E' stato anticipato dal singolo Novembre, in radio dal 17 ottobre.

SALMA HAYEK SEXY BAVARIAN WAITRESS

mercoledì 1 ottobre 2008

FOLLIA IN RETE


"Perché il mio mouse senza fili
non è attaccato al computer?"



di BENEDETTA PERILLI
ROMA - "Come faccio a far uscire di nuovo il porta tazza?", "Può disporre la tastiera del mio computer in ordine alfabetico?". E ancora: "L'ascensore del mio palazzo si è fermato. Mi può aiutare?". Tecnologia e comuni mortali, quando il computer finisce nelle mani delle persone sbagliate il risultato è un'esilarante richiesta di aiuto ai servizi di assistenza informatica. Robert Half, direttore di una importante azienda americana che fornisce professionisti dell'informatica, dai disegnatori di siti web fino al personale addetto al supporto tecnico, ha riunito in un divertente studio pubblicato sul sito Robert Half Technology le 1400 domande più improbabili ricevute da oltre cento impiegati di centri di assistenza informatica sparsi su tutto il territorio degli Stati Uniti.

La domanda più gettonata riguarda un classico dell'analfabetismo informatico: il lettore cd, integrato all'interno di molti portatili o presente nel case, viene comunemente scambiato per un supporto destinato all'appoggio delle tazze da caffè. Grazie allo studio di Robert Half si scopre però che davanti al malfunzionamento dei computer gli umani possono avere strane reazioni.

"Perché il mio mouse senza fili non è attaccato al computer?", oppure, "Il mio portatile è stato investito da un camion. Secondo lei cosa dovrei fare?", ma anche, "Come faccio a leggere le mie e-mail?" e infine "Il mio computer mi dice di premere un tasto qualsiasi per continuare? Dove si trova il tasto qualsiasi?". Nella classifica delle domande più strane sono queste che si piazzano nella top ten. Seguono altre insospettabili richieste come: "Lei potrebbe resettare Internet al posto mio?", o, "Ci sono dei biscotti a forma di animaletto nel mio lettore cd. Cosa faccio?", per finire con "Salve, mi potrebbe costruire un robot?".

Lavorano con i computer, conoscono ogni dettaglio di quelle macchine infernali e questo basta a far credere a centinaia di persone che i tecnici informatici siano dei cervelloni capaci persino di andare sulla Luna. La scoperta più sorprendente della ricerca effettuata dalla Robert Half Techonology è che, nella maggior parte dei casi, le domande più bizzarre sono proprio quelle che esulano dal funzionamento dei computer. "Potrebbe installare lo stereo nella mia auto?", "Può riparare la mia macchina da scrivere?", "Quando ci mette a cuocere una patata nel forno a microonde?". E ancora. "Mia figlia è rimasta chiusa in bagno. Potrebbe venire ad aprire la porta?", "Quali sono le previsioni del tempo per il prossimo anno?", "Lei è in grado di riparare la mia moto?". Veggenti, meccanici, ascensoristi e persino esperti di cucina, ecco fino a dove dovrebbero arrivare le competenze di un tecnico informatico secondo molti utenti americani.

Katherine Spencer, direttore esecutivo della Robert Half Technology, sostiene che queste richieste così bizzarre sono, oltre che comiche, un metodo per capire quali dovrebbero essere le conoscenze essenziali di un ufficio informazioni e di un servizio di supporto tecnico. "La ricerca ha fatto emergere nuove esigenze per il settore: ora sappiamo che un impiegato del servizio di assistenza non deve solo essere preparato ma anche dimostrare doti di pazienza, empatia e senso dello humour".

Uno spazio a parte è stato dedicato alle domande che riguardano animali domestici e computer. Ecco alcune tra le più originali: "Salve, il mio server è caduto su una lucertola e l'animale è rimasto ucciso. Cosa faccio?", "Aiuto, una puzzola ha divorato tutti i cavi del mio computer" e infine "Potrebbe aiutarmi a far sparire i topi dal tetto?".

Più che problemi legati al funzionamento del computer a volte gli utenti sembrano riversare sul personale del servizio di assistenza frustrazioni e disagi di natura più profonda. Cosa pensare del cliente che chiedeva dettagli su come bloccare la ricezione delle e-mail inviate dal direttore? Oppure di chi avrebbe preferito non ricevere e-mail il venerdì? O ancora di chi voleva installare la tv via cavo direttamente sul proprio portatile? A metà tra il timore reverenziale e la più innocente curiosità, c'è anche chi spera di trovare al numero verde risposte che neanche gli scienziati sanno dare: "Scusi, dove scarico il software per seguire la rotta degli Ufo?".

(1 ottobre 2008)