mercoledì 31 dicembre 2008

martedì 30 dicembre 2008

LA MAESTRINA


LILLI GRUBER IN PRESTITO
Paolo Macry per il Corriere della Sera

Scriveva tempo fa Lilli Gruber sul proprio sito web (www.lilligruber.net): «Ora che la legislatura europea volge al termine, credo si possa concludere anche la mia esperienza di giornalista prestata alla politica. Alle elettrici e agli elettori che mi hanno sostenuto con il loro consenso e con il voto, vorrei dire che, con lo stesso spirito di servizio e con analoghi obiettivi, cercherò di affrontare anche il mio nuovo, vecchio mestiere, accettando la proposta di prendere il timone di Otto e Mezzo su La7».

Detto fatto. La nuova skipper di quello che fu il mitico vascello di Giuliano Ferrara (e di Ritanna Armeni) si tuffa ogni sera sui temi dell'attualità con l'inconfondibile vis pedagogica di chi insegna a una classe di somari. Li fa parlare, ma solo per sincerarsi che abbiano studiato. Si irrita se non capiscono. Li sculaccia se commettono errori di giudizio. Sorride quando disvelano la rozzezza della destra: allora le brillano gli occhi. Una giornalista prestata alla politica non potrebbe fare meglio.

domenica 28 dicembre 2008

IL BLUFF ALLEVI: PUNTO PER PUNTO, UTO UGHI DEMOLISCE LA BOLLA DI SAPONE "CLASSICA"

"Il successo di Allevi? Mi offende"
Uto Ughi


dal Corriere Online
SANDRO CAPPELLETTO
Che spettacolo desolante! Vedere le massime autorità dello Stato osannare questo modestissimo musicista. Il più ridicolo era l’onorevole Fini, mancava poco si buttasse in ginocchio davanti al divo». Uto Ughi non ha troppo apprezzato il concerto natalizio promosso dal Senato della Repubblica che ha avuto come protagonista il pianista Giovanni Allevi. Il nostro violinista lo ha ascoltato - «fino alla fine, incredulo» - dalla sua casa di Busto Arsizio e ne è rimasto «offeso come musicista. Pianista? Ma lui si crede anche compositore, filosofo, poeta, scrittore. La cosa che più mi dà fastidio è l’investimento mediatico che è stato fatto su un interprete mai originale e privo del tutto di umiltà. Il suo successo è il termometro perfetto della situazione del Nostro Paese: prevalgono sempre le apparenze».

Che cosa più la infastidisce di Allevi: la sua musica, le sue parole? «Le composizioni sono musicalmente risibili e questa modestia di risultati viene accompagnata da dichiarazioni che esaltano la presunta originalità dell’interprete. Se cita dei grandi pianisti del passato, lo fa per rimarcare che a differenza di loro lui è "anche" un compositore. Così offende le interpretazioni davvero grandi: lui è un nano in confronto a Horowitz, a Rubinstein. Ma anche rispetto a Modugno e a Mina. Questo deve essere chiaro».

Come definire la sua musica? «Un collage furbescamente messo insieme. Nulla di nuovo. Il suo successo è una conseguenza del trionfo del relativismo: la scienza del nulla, come ha scritto Claudio Magris. Ma non bisogna stancarsi di ricordare che Beethoven non è Zucchero e Zucchero non è Beethoven. Ma Zucchero ha una personalità molto più riconoscibile di quella di Allevi».

C’è più dolore che rabbia nelle sue parole.
«Mi fa molto male questo inquinamento della verità e del gusto. Trovo colpevole che le istituzioni dello Stato avvalorino un simile equivoco. Evidentemente i consulenti musicali del Senato della Repubblica sono persone di poco spessore. Tutto torna: è anche la modestia artistica e culturale di chi dirige alcuni dei nostri teatri d’opera, delle nostre associazioni musicali e di spettacolo a consentire lo spaventoso taglio alla cultura contenuto negli ultimi provvedimenti del governo. Interlocutori deboli rendono possibile ogni scempio, hanno armi spuntate per fronteggiarlo».

Che opinione ha di Allevi come esecutore? «In altri tempi non sarebbe stato ammesso al Conservatorio».

Lui si ritiene un erede e un profondo innovatore della tradizione classica. «Non ha alcun grado di parentela con la musica che chiamiamo classica, né con la vecchia né con la nuova. Questo è un equivoco intollerabile. E perfino nel suo campo, ci sono pianisti, cantanti, strumentisti, compositori assai più rilevanti di lui».

Però è un fenomeno mediatico e commerciale assai rilevante.
«Si tratta di un’esaltazione collettiva e parossistica dietro alla quale agisce evidentemente un forte investimento di marketing. Mi sorprende che giornali autorevoli gli concedano spazio, spesso in modo acritico. Anche Andrea Bocelli ha un grande successo, ma non è mai presuntuoso quando parla di sé. Da musicista, conosce i propri limiti».

Allevi è giovane. Non vuole offrirgli qualche consiglio? «Rifletta tre volte prima di parlare. Sia umile e prudente. Ma forse non è neppure il vero responsabile di quello che dice».

C’è un aspetto quasi messianico in alcune sue affermazioni, in questa autoinvestitura riguardo al proprio ruolo per il futuro della musica. «Lui si ritiene un profeta della nuova musica, parla come davvero lo fosse. Nuova? Ma per piacere!».

Ma come interpretare questo suo oscuro annuncio: «La mia musica avrà sulla musica classica lo stesso impatto che l'Islam sta avendo sulla civiltà occidentale?» «Evidentemente pensa che vinceranno Allevi e l’Islam. Vi prego, nessuno beva queste sciocchezze».

provare per credere: consultate la voce "biografia" del sito di Allevi: un esercizio di autoesaltazione impressionante (g.c.)


http://www.giovanniallevi.it/sito/biografia.html

amalfi


amalfi
Inserito originariamente da maria romey
il lungomare © Maria Romey

la foto del mese

mariarosa confalonieri: christmas card

ENNESIMO ATTACCO ALLA LIBERTA' DI ESPRESSIONE


Gb, web nel mirino del governo
Ci vuole il "vietato ai minori"
Il ministro della Cultura: "Un mondo pericoloso". Cercherà un accordo con Obama per limitare i siti in lingua inglese
dal nostro inviato CRISTINA NADOTTI

Gb, web nel mirino del governo Ci vuole il "vietato ai minori"
LONDRA - Dice che non è una campagna contro la libertà di espressione, ma intanto chiede una vera e propria censura per Internet. L'ultimo di una lunga serie di attacchi alla libertà e all'essenza stessa della rete arriva dal ministro della Cultura britannico Andy Burnham che, con un'affermazione degna della caccia alle streghe, bolla Internet come "qualcosa di molto, molto complesso e un mondo piuttosto pericoloso" e annuncia un piano per valutare i siti con lo stesso sistema dei film: "vietato ai minori di".

In una intervista al quotidiano The Daily Telegraph il ministro laburista si lancia in una crociata che vede in Internet un vaso di Pandora da richiudere al più presto. "Sono categorico in proposito - dice Burnham - su Internet si possono trovare contenuti che considero inaccettabili, quali, ad esempio, una decapitazione". Per riportare quelli che definisce "criteri di decenza" in rete, Burnham progetta di arruolare alla sua causa anche Obama. "Parlerò con la nuova amministrazione appena il presidente sarà ufficialmente in carica - annuncia - per definire degli standard comuni per i siti di lingua inglese. Un'opzione potrebbe essere quella di chiedere ai provider di indicare chiaramente se il materiale coontenuto nei siti è adatto a certe fasce di età". In pratica, così come accade per film e videogiochi, alcuni siti dovrebbero riportare la scritta "non adatto ai minori di..".

Burnham è consapevole che le sue proposte alimenteranno ancora il dibattito sull'accessibilità di Internet e sui tentativi arrivati da più parte di controllare un mezzo che fa della libertà di espressione una delle sue caratteristiche intrinseche. "Non si tratta affatto di una campagna per limitare la libertà di espressione - dice il ministro - è piuttosto il tentativo di dare risposte a un problema che interessa molte persone, perché le mette a repentaglio. Dobbiamo dare ai genitori più possibilità per capire che cosa fanno i loro figli sulla rete, quali siti consultano e chi c'è dietro di essi. In questo momento non c'è alcuna garanzia in proposito".

Tra le prime misure annunciate dal ministro della Cultura, l'imposizione a grandi provider come British Telecom, Tiscali, Aol e Sky di offrire servizi internet in cui gli unici siti accessibili sono quelli adatti anche ai bambini. "Se guardiamo agli esordi di Internet - spiega Burnham - vediamo che chi creò la rete aveva come obiettivo dichiarato di avere uno spazio al quale i governi non avessero accesso. Credo che sia venuto il momento di riconsiderare tali affermazioni". Il governo si erge infine a paladino delle persone diffamate da Internet e annuncia assistenza legale per coloro che hanno visto la loro reputazione minacciata da contenuti online. Tra le misure anche una legge per imporre a siti come Facebook e youTube di rimuovere immediatamente contenuti ritenuti offensivi o dannosi, senza bisogno di un'azione legale. A chi spetti il ruolo di giudice, per decidere immediatamente che quei contenuti sono da rimuovere, Burnham non lo dice.

venerdì 26 dicembre 2008

LA VITA È UN GIOCO

Microsoft mette le mani su «The Guild»
Il colosso di Redmond acquisisce i diritti per la sitcom nata nel web e finanziata dai suoi stessi fan

MILANO - Dove può incontrare il successo una sitcom che parla di accaniti players di giochi di ruolo online? La risposta è scontata: sul web. Meno scontato è però che il successo non sia semplicemente grande, ma che diventi addirittura travolgente. Ed è quello che è successo a «The Guild», una miniserie dedicata al gaming online - otto puntate trasmesse solo in rete - che ha finito con l'attirare l'attenzione di un colosso come Microsoft. La società di Bill Gates, per una cifra non precisata, ha deciso di acquisirne i diritti e di finanziarne la seconda serie, che è ora disponibile su Msn video, Zune e Xbox e che presto sarà trasformata in un vero e proprio dvd. E poi? Un approdo in televisione? Potrebbe anche esserci, ma non è scontato. E del resto, come scrive il Guardian che racconta l'intera vicenda, «chi ha bisogno della televisione quando si hanno già milioni di fan sparsi nel web e i muscoli commerciali di Microsoft?».

Fatto sta che «The Guild», nato come produzione indipendente, è diventato un vero e proprio fenomeno cult. La serie è stata ideata da Felicia Day, l'attrice che interpreta Codex, il personaggio principale, e narra delle vicende di un gruppo di giocatori che trascorrono in rete molte ore ogni giorno per portare avanti un universo parallelo fatto di gnomi, elfi, maghi, dame e cavalieri. Un riferimento neppure troppo nascosto a «World of Warcraft», conosciuto anche come WoW, un gioco di ruolo che vanta l'incredibile numero di 11 milioni di iscritti da tutto il mondo i quali, secondo alcuni recenti studi statistici, dedicano a questa realtà virtuale una media di almeno 17 ore ogni settimana e che hanno un'età media di trent'anni. Un po' come i protagonisti di «The Guild», le cui vite virtuali finiscono con il trovare sbocchi e incontri anche nella vita reale.

La prima serie di «The Guild» è stata portata avanti in maniera pressoché eroica. La puntata numero uno è stata finanziata dalla stessa Felicia Day assieme ad un co-produttore, Kim Evie. L'idea era di presentarla come una sorta di «numero zero», una puntata-pilota da sottoporre a possibili finanziatori che si sarebbero dovuti fare carico della copertura economica dei successivi episodi. Ma l'operazione non è andata in porto: Day e Evie si sono ritrovati a fare i conti con molti no e molte porte chiuse. Così hanno deciso di rivolgersi direttamente al popolo del web: attraverso le community che gravitano attorno a WoW e a Buffy, un'altra serie tv a cui la Day ha partecipato come attrice, hanno propagandato la web sitcom che ha raccolto consensi sempre maggiori, al punto che le altre sette puntate della prima serie sono state finanziate dai fan attraverso donazioni spontanee mediante PayPal.

La Rete, insomma, ha dato quella risposta che i produttori ufficiali non hanno dato, forse - ha fatto notare la stessa Felicia Day, «perché era necessario combattere contro gli stereotipi che vedono i giocatori online come dei ragazzotti brufolosi sempre chiusi nel buio delle loro camere». Insomma, roba da sfigati. Un'idea che gli autori di «The Guild» ovviamente respingono. «WoW ha molto da insegnarci: oggi mancano relazioni sociali, non sappiamo neppure chi sono i nostri vicini di casa. Non abbiamo delle vere comunità, così ne creiamo altre attraverso la rete, che dimostrano anche una certa solidità». Teoria sociologica condivisibile o meno, i numeri stanno a testimoniare che la «rivincita dei nerds» - se poi li si vuole davvero identificare così - è possibile. E l'interessamento di Microsoft sta lì a dimostrarlo.

giovedì 25 dicembre 2008

sentanza choc, motivazioni odiose


Motivazione choc. Gasparri: sentenza che fa ribrezzo
«La Reggiani resisteva.
Sconto di pena a Mailat»
I giudici: niente ergastolo anche perché il romeno era ubriaco

Giovanna Reggiani, la donna uccisa da un Rom a Tor di Quinto (da archivio Corriere)
ROMA — Romulus Mailat, il romeno che la sera del 30 ottobre 2007 stuprò ed uccise la signora Giovanna Reggiani vicino alla stazione di Tor di Quinto, agì da solo. Ed ha avuto la condanna a 29 anni in primo grado e non l'ergastolo perché «la Corte, pur valutando la scelleratezza e l'odiosità del fatto, commesso in danno di una donna inerme e, da un certo momento in poi esanime, con violenza inaudita, non può non rilevare che omicidio e violenza sessuale sono scaturiti del tutto occasionalmente dalla combinazione di due fattori: la completa ubriachezza e l'ira dell'aggressore, e la fiera resistenza della vittima». Lo sostiene la motivazione della sentenza della Corte d'Assise presieduta da Angelo Gargani. E Maurizio Gasparri, capogruppo al Senato del Pdl, esplode: «Provo ribrezzo per questa decisione». Paradossalmente, secondo la Corte, è anche l'incredibile forza d'animo della Reggiani ad aver attenuato le responsabilità dell'assassino: «In assenza degli stessi fattori — si legge — l'episodio criminoso, con tutta probabilità, avrebbe avuto conseguenze assai meno gravi ». Mailat, invece, a causa della reazione della vittima «non riesce ad averne ragione a mani nude» e deve usare il bastone. Però il romeno «all'epoca era ventiquattrenne, incensurato, e l'ambiente in cui viveva era degradato. Queste circostanze, assieme al dettato costituzionale secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione, inducono la Corte a risparmiargli l'ergastolo, concedendogli le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, pur irrogando la pena massima per l'omicidio».

Lette le motivazioni, Gasparri, che aveva già criticato l'entità della pena, attacca: «Questi giudici — dice — si devono vergognare. Se non si dà l'ergastolo per una persona del genere, a chi lo si da?». Ma non è solo questo, ad indignare Gasparri: «Di fronte a queste motivazioni, più che di separazione di carriere, bisognerebbe parlare di "abolizione di carriere". Certi magistrati andrebbero cacciati... Spero che il Natale porti un po' di saggezza». Il parlamentare non si ferma qui: «Come legislatore farò tutto il possibile per evitare che si ripetano certe cose, ma come italiano mi vergogno ». I giudici hanno anche ricordato la necessità di non trascurare la Carta nella parte in cui richiama all'esigenza di un recupero del detenuto. Gasparri però non ci sta: «Io credevo nella magistratura. Ma ogni giorno ci sono prove che inducono chi può a rivederne sia il ruolo sia le responsabilità ». Secondo i giudici l'esclusiva responsabilità di Mailat «è pienamente provata. La selvaggia violenza dei colpi sarebbe stata inutile se l'azione fosse stata condotta da più persone». Presenterà appello l'avvocato del romeno, Piero Piccinini: «È una motivazione di una semplicità sconcertante, che lascia interdetti. Sono state fatte forzature logiche che dimostrano che le prove erano insufficienti ». Pronta all'appello anche la procura, contraria alla concessione delle attenuanti generiche. E secondo l'avvocato di parte civile Tommaso Pietrocarlo «è proprio la fiera resistenza della povera signora Reggiani che rende più grave l'episodio ».

Laura Martellini
Ernesto Menicucci
24 dicembre 2008

martedì 23 dicembre 2008

IL SOLITO DOPPIOPESISMO DI SINISTRA

La maledizione doppiopesista

di Pierluigi Battista

La maledizione del doppiopesismo, ancora una volta. Quella malattia politica e culturale che spezza ogni unità di giudizio, fomenta l'indignazione a corrente alternata, alimenta il pregiudizio che tra di «noi» si possa regalare per grazia ricevuta un trattamento più indulgente e autogratificante di quello abitualmente riservato all'avversario. È questa sindrome del doppio standard che si manifesta ancora una volta nelle parole di Renato Soru, una delle figure più innovative, moderne e post-ideologiche della famiglia democratica. Parole da cui si evince che anche il conflitto di interessi è sottoposto alla logica del doppio standard: intollerabile se ne sono responsabili gli altri; una trascurabile inezia se ad esserne prigioniero è uno dei «nostri».

Soru si è dimesso da governatore della Sardegna. Ieri ha sciolto la riserva e ha deciso di ricandidarsi per le prossime elezioni regionali sarde confermando che un apposito blind trust rimedierà al conflitto di interessi espressamente indicato da una legge regionale della Sardegna come motivo di incompatibilità tra la proprietà di un'azienda e la carica di presidente della Regione. Ma è qui che nascono i problemi. Perché la sinistra ha da sempre fieramente indicato nel conflitto d'interessi dell'avversario Silvio Berlusconi la più colossale anomalia del sistema italiano, bollando come una risibile panacea la legge che sul tema è stata emanata nella precedente legislatura del centrodestra e considerando anche il blind trust come una misura largamente insufficiente, monca, facilmente aggirabile. E invece, quando Alberto Statera su Repubblica ha chiesto di rispondere a chi «ironizza dicendo che Racugno a Tiscali è come "Fedelu Confalonieri" a Mediaset e suo fratello all'Unità è come "Paolu Berlusconi" al Giornale », Soru ha liquidato sprezzantemente come «sciocchezze» quelle domande sacrosante eppure trattate come spregevoli insinuazioni.

Non sono «sciocchezze », sono il normale sospetto cresciuto nell'atmosfera del conflitto di interessi. Se poi si risponde come Soru, e cioè rivendicando al professor Racugno (intervistato oggi da Alberto Pinna per il Corriere) una «specchiata onestà e moralità», è fatale che si commettano insieme almeno due deprecabili errori. Con il primo si getta gratuitamente un'ombra sulla «specchiata moralità» degli avversari, che invece possono vantare titoli di «moralità» non inferiori a quelli giustamente attribuiti a Racugno. Con il secondo si persevera nella pretesa di una pregiudiziale «superiorità morale» di cui ci si sente investiti come per un diritto acquisito. Ma questo secondo errore continua ad essere una fonte di guai da cui il mondo del Partito democratico farà bene a liberarsi al più presto. È la malattia doppiopesista che oramai viene accolta con sempre maggiore freddezza e incredulità dall'opinione pubblica italiana. È la stessa malattia che traspare dall'insofferenza con cui, dentro e attorno al Partito democratico, ci si lamenta in questi giorni per il legittimo interesse con cui vengono seguite le inchieste che stanno minando numerose giunte di centrosinistra. È la malattia che scambia per «sciocchezze » tutte le domande sulla coerenza di chi si sente per principio sottratto all’esame spietato dell'opinione pubblica. Domande che esigono una risposta, prima che sia troppo tardi.

23 dicembre 2008

lunedì 22 dicembre 2008

MISTERO STORICO

LA SCORIA SIAMO NOI – FERMI TUTTI: "Mussolini morì suicida, in un dente celava una capsula di cianuro" - Gliela consegnò Adolf Hitler in persona poche ore dopo l’attentato a Rastenburg – LA PROVA: ABITI privi dei fori delle pallottole…
Monumento di Piazzale Loreto

Stefano Lorenzetto per "Il Giornale"

«Questa è una storia che nessuno vuole raccontare, ma che riguarda ciascuno di noi. È una storia che tocca tre generazioni: quella dei ventenni che fa finta di saperla, quella dei quarantenni che fa finta di ricordarla e quella dei sessantenni che fa finta di averla dimenticata». La storia che Alberto Bertotto racconta, «una ragionevole provocazione dedicata a chi ama il mistero della verità», non è facile da credere: Benito Mussolini si sarebbe suicidato masticando una capsula di cianuro.

Gliela consegnò Adolf Hitler in persona poche ore dopo l'attentato a Rastenburg. Nel pomeriggio di quel 20 luglio 1944 il capo del fascismo, intimidito dal Führer, era stato costretto a farsela impiantare seduta stante in un dente finto da un medico tedesco. Lo scetticismo aumenta quando si scopre che questa rivelazione fu fatta più di trent'anni fa dal fantasma del Duce a un sensitivo genovese, Athos Agostini, il quale il 10 luglio 2007 l'ha messa nero su bianco e depositata da un notaio.

Senonché Bertotto ha trovato molti elementi che la suffragano, a cominciare dalla testimonianza di Elena Curti, 86 anni, figlia naturale di Mussolini, che vive ad Acquapendente (Viterbo) e che il 27 aprile 1945 durante la fuga verso la Valtellina sedeva accanto al padre nell'autoblindo fermata dai partigiani sulle rive del lago di Como.

Alberto Bertotto, 63 anni, storico per passione, è un pediatra in pensione, originario di Biella, che ha messo nelle sue ricerche lo stesso rigore dispiegato per un trentennio nella cura dei piccoli pazienti in ospedale. Professore universitario di clinica pediatrica fino al 2002, prima a Pavia e poi a Perugia, dove abita tuttora, ha all'attivo oltre 250 pubblicazioni scientifiche. Ma di lui si parlerà molto per questo volume di 287 pagine, "La morte di Mussolini, una storia da riscrivere", che arriva adesso nelle librerie per i tipi della casa editrice Paoletti D'Isidori Capponi di Ascoli Piceno.

In precedenza aveva scritto "Mussolini estremo". E l'anno prossimo uscirà "L'odissea di Mussolini", in cui ricostruisce i 50 giorni del 1943 che andarono dalla caduta del fascismo alla liberazione del Duce sul Gran Sasso.
Mussolini Cadavere

Nostalgico?
«Sono un agnostico della politica. Non vado neppure a votare».

Allora perché questo interesse per Mussolini?
«È un puro interesse intellettuale, da giallista. Nessuna persona provvista di buon senso può bersi la vulgata, per usare una definizione del professor Renzo De Felice, con cui il Pci voleva farci credere che Mussolini e la sua amante Claretta Petacci fossero stati uccisi alle 16.20 del 28 aprile 1945 davanti al cancello di villa Belmonte, a Giulino di Mezzegra, dal comunista Walter Audisio, alias colonnello Valerio, affiancato da Michele Moretti, detto Pietro, e Aldo Lampredi, detto Guido. Una cosa è ormai certa: il colonnello Valerio fucilò due cadaveri morti da un pezzo».

Come fa a dirlo?
«Non lo dico io. Lo sospettano, oltre a De Felice, storici come Franco Bandini, Luciano Garibaldi, Giorgio Pisanò, Alessandro Zanella, Sergio Bertoldi. Questo Audisio era un pover'uomo, anzi un poveraccio, che negli anni diede quattro diverse versioni dell'accaduto, adattandole in corso d'opera a mano a mano che venivano confutate».

I punti deboli quali sono?
«Audisio dice nei suoi libri che fece sedere Mussolini e la Petacci su una panca di pietra all'ingresso di villa Belmonte: quella panca non esiste. Audisio dice che il Duce, prima dell'esecuzione, biascicò tremante: "Ma, ma... signor colonnello...". Come poteva il condannato conoscere il grado da partigiano del suo carnefice? Audisio dice: "Poi fu la volta della Petacci, che cadde di quarto a terra sull'erba umida".
Davanti al cancello c'era solo asfalto. Lampredi nel 1966 dichiara all'Unità che Mussolini si aprì il cappotto e gridò: "Sparami al cuore!". Moretti nel 1995 racconta al giornalista Giorgio Cavalleri che le ultime parole del Duce furono: "Viva l'Italia!"».
Mussolini Cadavere

Chi decise l'esecuzione?
«L'immediata fucilazione fu deliberata dal Cnlai, Comitato di liberazione Alta Italia, cioè da Luigi Longo per il Pci, da Sandro Pertini per il Psi e da Leo Valiani per il Partito d'azione. Del resto lo stesso Palmiro Togliatti aveva dichiarato alla radio che non era necessario alcun processo, bastava la sola identificazione. Furono interpellati i partigiani più carismatici, ma tutti rifiutarono l'ingrato compito: Italo Pietra, che nel dopoguerra diventerà direttore del Giorno, era uno di loro.
La scelta di far fuori Mussolini, l'amante e gli altri gerarchi fascisti alla fine cadde su Audisio, che come rappresentante della polizia militare nel Cnlai non poteva sottrarsi all'incarico».

Stando alla «vulgata», come andarono i fatti?
«Mussolini è catturato a Dongo alle 15.30 del 27 aprile dalla 52ª brigata Garibaldi. Il comandante Pier Luigi Bellini delle Stelle, detto Pedro, un monarchico, d'accordo col generale Raffaele Cadorna, figlio di tanto padre e comandante dei Volontari della libertà, vorrebbe consegnarlo agli Alleati. Ma nella notte arriva il cinico contrordine dello stesso Cadorna, che s'è piegato alla sentenza dei comunisti: "Fate fuori lui e la sua ganza".

Il Duce e la Petacci vengono portati a Bonzanigo, nel cascinale dei contadini Giacomo e Lia De Maria. Due partigiani restano di guardia. Alle 14 del 28 aprile da Milano arriva Audisio, che alle 16.20 procede all'esecuzione in assenza di testimoni.

Prima incongruenza: perché gli altri 15 gerarchi furono invece allineati sul lungolago di Dongo e fucilati alla schiena davanti alla folla? Il dittatore non meritava forse più di loro il pubblico ludibrio? Audisio dipinge quella dei De Maria come "una casetta incastonata tra i monti". Assurdo: era la più grande costruzione di Bonzanigo, ben visibile da lontano. E confonde le strade in salita con quelle in discesa. Conclusione: lì non c'è mai stato e s'è pure fatto descrivere male i luoghi».

Lei che cosa ipotizza?
«Sono partito dagli abiti che il Duce indossava al momento della fucilazione: camicia nera, divisa da caporale d'onore della Milizia senza gradi, pastrano grigioverde. Così lo si vede anche nel film "Mussolini ultimo atto" di Carlo Lizzani. Il regista si servì della consulenza di partigiani comunisti, quindi devo credergli. Ebbene, il cadavere scaricato a Milano, a piazzale Loreto, aveva invece un giaccone di foggia borghese con maniche raglan. Mancava la giacca della Milizia: perché? Non solo: pantaloni, camicia e giaccone erano intatti, privi dei fori delle pallottole, a differenza della sottostante maglia della salute e dei mutandoni di flanella, insanguinati e bucati. Un controsenso».

Da che cosa ha dedotto l'assenza di fori?
«Dalle foto eseguite a piazzale Loreto e all'obitorio. Il professor Giovanni Pierucci, ordinario di medicina legale a Pavia, le ha analizzate con la tecnica digitalizzata dell'arricchimento dell'immagine. Questo porta a concludere che Mussolini sia stato ucciso nella casa dei De Maria mentre era in déshabillé, con colpi sparati a non più di 30-40 centimetri di distanza. Il che avvalora la testimonianza di Dorina Mazzola».
Mussolini appeso

Chi è Dorina Mazzola?
«Una signora, oggi defunta, che abitava a 300 metri dalla cascina. All'epoca dei fatti aveva 19 anni. A Giorgio Pisanò, che la scovò nel 1996, raccontò che la mattina del 28 aprile sentì urlare Lia De Maria: "Non si fanno queste cose in casa mia!". Udì due spari. Poi vide un uomo calvo trascinato da due partigiani che lo afferravano per le ascelle e una donna che cercava di trattenerlo per i piedi, piangendo: "Che cosa vi hanno fatto, come vi hanno ridotto...".

Prima d'essere freddata a sua volta, la poveretta riuscì a strappargli lo stivale destro. La Mazzola non poteva sapere che si trattava di Mussolini e della Petacci. Ne deduco che il Duce venne ucciso in maglietta e mutandoni. A due-tre ore da una morte violenta subentra la rigidità catalettica, una "lignea statuarietà" scrisse il dottor Aldo Alessiani, medico legale perito del tribunale di Roma, insomma la salma diventa dura come il baccalà e rimane tale per 24-36 ore. Ecco perché fu rivestita con un giaccone dalle maniche raglan, molto ampie, che poteva essere facilmente maneggiato anche da chi non aveva familiarità con la vestizione di cadaveri. La giacca della divisa con le maniche a tubo era più difficile da far indossare».

Diamo invece per buona la versione di Audisio.
«Se Mussolini fosse stato fucilato alle 16.20 del 28 aprile, fino al tardo pomeriggio del giorno seguente la salma sarebbe apparsa irrigidita. Invece Alessiani notò che era rilasciata e ne arguì che il dittatore doveva essere morto intorno alle 5.30. E si soffermò in particolare sul "lubrico braccetto": alle 14.30 del 29 aprile fu scattata all'obitorio una fotografia in cui i partigiani intrecciarono il braccio sinistro della Petacci col braccio destro del Duce, come se i due cadaveri stessero andando a spasso. Le teste delle vittime erano ciondolanti, tanto da dover essere sorrette. Una turpe messinscena incompatibile col rigor mortis».
Benito Mussolini

E il sensitivo Athos Agostini che cosa c'entra in tutto questo?
«Innanzitutto non si tratta di un medium, ma di uno stimato commerciante. Non evoca gli spiriti: vive queste esperienze contro la sua volontà. Mi ha cercato dopo aver letto un mio articolo sul mensile "Storia del Novecento". Non aveva mai raccontato a nessuno quello che gli era capitato. Una notte di settembre del 1975, o del1976, mentre con la moglie e la figlia era in vacanza all'hotel Du Lac di Varenna, sul lago di Como, gli apparve in camera un uomo con le sembianze di Mussolini.

Questa figura evanescente gli raccontò che cosa accadde all'alba del 28 aprile 1945. Claretta, mestruata, si allontanò per andare in una rustica toilette posta nel cortile di casa De Maria. Si tolse le mutandine sporche di sangue, il che giustificherebbe la mancanza dell'indumento intimo sulla salma oltraggiata a piazzale Loreto. Il Duce approfittò di quel frangente per estrarre dal dente la capsula di cianuro e romperla fra i molari, ma il veleno non sortì all'istante l'effetto sperato. Al suo rientro incamera, vedendo Mussolini con la bava alla bocca e convulsivante, esiti tipici dell'acido cianidrico, Claretta si mise a urlare. Sopraggiunse uno dei partigiani di guardia, Giuseppe Frangi, detto Lino, che sparò al moribondo».

Ammetterà che gli spiriti non possono entrare nella storiografia.
«Lo ammetto eccome. Ma il signor Agostini sostiene anche d'aver visto nel 1999, o nel 2000 o nel 2001, su Raitre, a tarda sera, un documentario in cui un medico statunitense parlava delle tracce di cianuro trovate nel cervello del Duce. Oggi non ricorda il nome del programma. A quel tempo Agostini scrisse alla Rai per ottenere la videocassetta. Non gli fu consegnata. Allora diede incarico all'avvocato Riccardo Dellepiane di ripetere la richiesta: nessun esito.

Poiché l'unica copia di quella lettera fu poi consegnata dal legale al suo cliente, che l'ha smarrita durante un trasloco, sono stato autorizzato da entrambi a recuperare dalla Rai l'originale, in modo da risalire al titolo della trasmissione. Francesca Cadin del servizio Teche ha risposto che le missive dei privati non vengono protocollate e finiscono nell'archivio cartaceo di Pomezia: 600 metri quadrati di scartoffie. Impossibile ritrovarla».

Nel 1999 il professor Pier Gildo Bianchi, l'anatomopatologo che esaminò il cervello di Mussolini, mi disse che non ci trovò niente di strano: «Era il normalissimo encefalo di un sessantenne». E i relativi vetrini molti anni dopo furono gettati per sbaglio nella spazzatura da un necroforo dell'obitorio.
«Sì, ma è anche vero che il dottor Calvin Drayer, maggiore medico e consulente psichiatra, chiese a nome del direttore generale di sanità dell'esercito Usa un campione di tessuto cerebrale del Duce. Due pezzi di cervello vennero spediti a Washington: uno al dottor Winfred Overholser, direttore dell'ospedale psichiatrico Santa Elisabetta, e uno al dottor Webb Haymaker dell'Army institute of pathology, oggi Walter Reed Army medical center.

La relazione ufficiale del primo esame non è mai stata resa nota; quella del secondo venne diffusa solamente nel 1966 per precisare che non c'erano tracce di malattie che spiegassero "il perché Mussolini si comportò in un certo modo dittatoriale", cioè tracce di sifilide, era questo che sospettavano gli americani. Ho consultato entrambi gli istituti: il primo mi ha replicato che non furono trovate prove di intossicazione acuta da acido cianidrico; il secondo ha negato che nei propri archivi vi siano referti di indagini autoptiche sul cervello del Duce. Curioso no?».

Perché i De Maria, a distanza di anni, non avrebbero dovuto raccontare la verità su ciò che avvenne nella loro casa di Bonzanigo?
«È la stessa domanda che ho posto due mesi fa alla vedova di Giovanni De Maria, l'ultimo dei due figli della coppia. Mi ha risposto: "Guardi, professore, il mio Giovanni in tanti anni di matrimonio non ha detto nulla neppure a me". Come se fosse minacciato».

Lei ha parlato anche con Elena Curti, figlia naturale del Duce.
«Un'anziana lucidissima. Sua madre, Angela Cucciati Curti, la ebbe da Mussolini dopo la separazione dal marito. Durante la Repubblica sociale, Elena era stata messa dal padre a lavorare nella segreteria di Alessandro Pavolini. Mi ha detto: "La mattina del 28 fui portata nella caserma dei carabinieri a Dongo. Entrò il partigiano Osvaldo Gobbetti, che mi apostrofò in questo modo: "Ti abbiamo ammazzato il tuo Duce. Aveva cercato di suicidarsi, ma noi l'abbiamo trascinato fuori e fucilato".

La Curti mi ha anche riferito che suo padre era terrorizzato dall'idea di finire vivo nelle mani degli angloamericani. Temeva che lo esponessero dentro una gabbia a Madison Square, come un animale. Questo dimostra che fu padrone della sua vita fino in fondo. Una versione che, dal punto di vista della destra, attesterebbe la grandezza di Mussolini».

Grandezza? A me il suicidio pare un atto di codardia.
«Concordo. Fu un gesto di egoismo che va a discredito di Mussolini. In questo modo sapeva di condannare a morte la Petacci. Mai e poi mai i partigiani avrebbero lasciato viva la testimone di un evento tanto scomodo».

sabato 20 dicembre 2008

LA INVINCIBILE SOSTITUIBILITA' DELLA CLERICI

GRANDE LEZIONE DI TV DI ALDO GRASSO dal Corriere Online

Lezioni di vita nelle ricette in tv



Lezioni di vita più che di cucina, alla La prova del cuoco con la new entry Elisa Isoardi, la supplente, che, detto per inciso, è meglio di Antonella Clerici. (Raiuno, dal lunedì al venerdì, ore 12). Ricetta numero uno. Nessuno è insostituibile, me lo ripeto spesso. La Clerici è attesa da tutte le grandi gioie della maternità, specie se conquistate in ritardo, ed è meglio non rischi coi fornelli (televisivi). Stava esagerando: troppo invasiva, egoista, esibizionista (del suo decolleté). Ci sono certi conduttori che riescono a esprimere già in un'ora cose per cui talvolta ci vogliono addirittura due minuti.

Ricetta numero due. Tutti possono condurre un programma televisivo, pulvis es et in pulverem reverteris. Prima della Isoardi c'è un programma condotto da Alessandro Di Pietro. Se conduce lui, tutti possono condurre. È la famosa legge Marzullo: se un programma esibisce in video una faccia per giorni 28 (come un ciclo lunare) quella faccia diventa di famiglia, anche se appartiene a Marzullo, a Infante, alla Talenti; perché la tv di tutti i giorni è fatta di facce, umori e soprattutto di consuetudine, assuefazione, tran tran. Spero che tra un manicaretto e l'altro, la Isoardi (ieri immersa in uno splendido bonet piemontese) non si dimentichi mai di questo fondamentale teorema televisivo. Non importa saper fare buona tv. Ciò che importa è chi fa tv.

Ricetta numero tre. Perché in tv, come nella vita, si lasciano sempre le cose a metà? L'uscita di scena della Clerici era una buona occasione per congedare anche Beppe Bigazzi. All'Isoardi si poteva associare un giovane laureato all'Università del Gusto di Pollenzo, per il bene del Servizio pubblico. L'educazione alimentare in tv è quel crudele procedimento attraverso cui viene proibito ai giovani per ragioni igieniche di soddisfare da soli la propria curiosità. 'Sti Bigazzi!

Aldo Grasso
20 dicembre 2008

NAPOLICAOS

Auto blu, 6 indagati al Comune di Napoli
Coinvolti due attuali assessori, Mola (Pd) e Riccio (Rifondazione) e 4 ex

NOTIZIE ANTICIPATE DA "IL MATTINO" E RILANCIATE DAL CORRIERE ONLINE

NAPOLI - Una nuova bufera si abbatte sul Comune di Napoli, dopo lo scandalo degli appalti sporchi che ha coinvolto l'imprenditore Alfredo Romeo e altre dodici persone, tra cui due assessori dell'attuale giunta partenopea. Sei amministratori del Comune, due assessori attualmente in carica e quattro di precedenti giunte risultano indagati a chiusura delle indagini sull'uso improprio delle auto blu. Tra gli attuali amministratori - secondo quanto riferiscono organi di stampa - il provvedimento riguarda gli assessori alla Nettezza Urbana, Gennaro Mola, del Pd, e Giulio Riccio, di Rifondazione comunista. I quattro ex assessori sono Giuseppe Gambale, del Pd, già ai domiciliari per la vicenda Romeo, Donata Rizzo e Bruno Terracciano, dell'Udeur, Dolores Madaro, del Pdci. Gli assessori avrebbero usato le auto di servizio per fare shopping, accompagnare amici e parenti, fare viaggi di piacere a Rimini e a Capo Vaticano, una tre giorni a Telese per la festa dell’Udeur, una visita al Polo della Qualità di Marcianise. Due i capi d’accusa ipotizzati dal pm Brunetti: abuso e peculato.

IL PD LUNARE


da "Il Foglio"

La direzione del Pd? Sulla Luna
W. retorico, D’Alema un critico letterario, Chiamparino inascoltato

Quella della direzione del Pd si è aperta come una riunione di routine, con “un’ampia e approfondita” relazione del segretario che ha lasciato le cose esattamente come stavano. Poi gli interventi, con qualche rara eccezione, che cominciavano con l’espressione rituale di consenso, accompagnata da qualche sottolineatura nella quale si esprimevano venature critiche piuttosto sofisticate. Al punto che la richiesta di uscire dal generico e di dar vita a una nuova struttura del gruppo dirigente, avanzata con chiarezza da Sergio Chiamparino, è apparsa provocatoria. La parola innovazione (o la sua variante rinnovamento) è stata pronunciata talmente tante volte che alla fine ha perso di significato, come ha osservato Massimo D’Alema, che si è comportato anche lui più come un critico letterario che come un capo politico. La scelta di Veltroni di discettare di diseguaglianze sociali, allargando l’orizzonte dall’Italia all’America al fine di tratteggiare un panorama di riscossa democratica epocale e universale, con tanto di riferimento al “governo mondiale” evocato da Enrico Berlinguer, può darsi sia azzeccata sul piano retorico, ma è piuttosto lunare sul piano politico. In questo clima rarefatto e un po’ surreale si è sentito persino Antonio Bassolino spiegare che il vero problema del Pd è che nei comuni ci sono ancora le alleanze dell’Unione, superate a livello nazionale. Se questo è il partito nuovo che, secondo Veltroni, otterrà la maggioranza alle prossime elezioni, viene un po’ di nostalgia per quelli vecchi.

venerdì 19 dicembre 2008

COME DIVENTARE UN GENIO IN 10.000 ORE


VUOI DIVENTARE UN GENIO? – 10 mila ore: è il tempo necessario di pratica per eccellere E DIVENTARE BILL GATES O I BEATLES – OCCORRE UN MIX DI COINCIDENZE, TALENTO, APPLICAZIONE, AMBIZIONE ED EDUCAZIONE FAMILIARE. IN BREVE: CULO & CERVELLO…

Daniele Manca per il "Corriere della Sera"
I Beatles

Perché Bill Gates è Bill Gates? E come i Beatles sono diventati i Beatles? C'è una ragione per il fatto che i più grandi campioni di hockey in Canada sono nati nella maggior parte tra gennaio, febbraio e marzo? C'è chi si è posto il problema di capire come mai alcune persone siano emerse, abbiano avuto successo, si siano trovate a essere oltre o fuori la norma. Quel qualcuno è Malcom Gladwell. Un giornalista, di successo.

Di successo per il settimanale per il quale scrive: il «New Yorker», periodico che sotto la guida di David Remnick è diventato uno dei casi editoriali di questi ultimi anni, assieme all'«Economist » fa parte di quello sparuto gruppetto di magazine che settimana dopo settimana consolidano e aumentano le copie diffuse ormai ben sopra il milione.
Bill Gates

Il quarantacinquenne Gladwell a questo ci aggiunge il fatto di essere l'autore di un paio di libri che hanno anch'essi venduto milioni di copie: "Il punto critico" (Rizzoli) e "In un battito di ciglia" (Mondadori), il primo sull'importanza dei piccoli eventi in fenomeni che diventano di massa, il secondo sul pensiero che elabora elementi apparentemente laterali ma che possono aiutare a comprendere meglio la realtà.

Sul capire che cosa porta una persona a essere fuori dal comune Gladwell ha scritto «Outliers. The story of success» (Little, Brown, 28 dollari) che in Italia uscirà alla metà del prossimo anno da Mondadori. Il libro ha una tesi precisa, apparentemente banale: le persone non emergono dal nulla; ci si deve chiedere quali vantaggi nascosti, quali eredità culturali, quali opportunità straordinarie hanno potuto avere per arrivare a pensare e vedere il mondo in modo così particolare che li ha portati a essere uomini o donne capaci di tirarsi fuori dalla media.

Come in tutti i libri di Gladwell la pretesa di scientificità è messa da parte, piuttosto si preferisce indicare ai lettori strade magari intuite ma non razionalizzate. Qualcuno lo ha definito un lavoro da cocktail, utile cioè per discussioni a tavola o attorno a un bicchiere di vino, insomma poco profonde. Di sicuro il tono di Gladwell è di quelli che accompagnano, a volte attraverso numeri e statistiche, alla comprensione di storie, eventi, fenomeni, senza pretese di una scientificità più o meno presunta.

Già, ma allora il successo? Da che cosa dipende? È questione di fortuna? Bill Gates di sicuro era ed è ambizioso. Altrettanto sicuramente non gli manca il talento. Ma è solo una coincidenza l'anno di nascita? Il creatore della Microsoft è nato il 28 ottobre 1955, lo stesso anno di Steve Jobs (24 febbraio), e del capo di Google Erich Schmidt (27 aprile). Questo significa che tutti i signori dell'informatica al mondo sono nati in quell'anno? No di certo.
Beatles

Come altrettanto certamente i loro traguardi non dipendono solo ed esclusivamente dal merito. Ma forse anche da una serie di circostanze, come appunto avere l'età giusta quando si iniziano a vedere in America i primi computer. O il fatto che Bill Gates fosse nato in una famiglia benestante, e il circolo delle mamme alla quale sua madre apparteneva decise di far acquistare al campo di vacanze per i propri figli l'accesso a uno dei primi computer programmabili senza schede perforabili.

Col successo c'entra anche l'applicazione. Probabilmente i Beatles non sarebbero diventati la band più famosa e celebrata della storia se un signore che controllava i club di Amburgo non avesse avuto l'abitudine di chiamare a suonare nei suoi locali gruppi musicali provenienti da Liverpool. Questo permise o costrinse, fate voi, i Beatles a fare anche sette serate a settimana, per un totale di oltre mille concerti in poco più di tre anni. Un termine di paragone? Oggi una band musicale in tutta la sua carriera arriva a farne massimo 200.
Beatles

Gladwell arriva a delineare anche una sorta di regola delle 10 mila ore: il tempo necessario di pratica per eccellere, per esempio in uno strumento musicale (e per di più in età scolare). Senza infine dimenticare il caso. Quello che fa sì che in Canada le selezioni per partecipare alle squadre junior di hockey inizino per i nati da gennaio. Questo in età attorno ai dieci anni avvantaggia enormemente, per questioni legate al maggiore sviluppo fisico, i nati nella prima parte dell'anno e quindi fa sì che nella nazionale e nelle squadre migliori canadesi ben oltre la metà dei giocatori sia nata nei primi tre mesi.

Lo stesso Gladwell, nell'ultimo capitolo del libro, ritrova le radici dell'essere Malcom Gladwell nella storia della sua famiglia, di suo padre professore di matematica, della tenacia di sua nonna Daisy (alla quale è dedicato il libro) e soprattutto di sua madre Joyce, psicoterapista giamaicana, scrittrice, esempio di quanto conti, tra l'altro, l'aver avuto la fortuna di frequentare una buona scuola.

LA CRISI DELLA CARTA STAMPATA

EDICOLA, MURO DEL PIANTO – “REPUBBLICA” IN PICCHIATA (-20%): A 110MILA COPIE DI DISTANZA DAL “CORRIERE” (NONOSTANTE IL -7,6%) – IN CRESCITA GAZZETTA, SOLE E STAMPA -“IL MANIFESTO”, 50 € PER SOPRAVVIVERE – “LE MONDE” TAGLIA (LE PAGINE)…

Da "Italia Oggi"
Ezio Mauro

1 - Copie, Repubblica a -20%...
Non distribuisce dividendi, cerca compratori per All Music, saluta per sempre il fondatore Carlo Caracciolo e, per ora, dice anche addio a ogni sogno di leadership assoluta tra i quotidiani. Non è un momento strepitoso per il gruppo Espresso. E pure i dati diffusionali di Repubblica a novembre confermano il trend: -20% sullo stesso mese 2007, una media di 532 mila copie, ormai molto lontana dal Corriere della Sera, che, nonostante il -7,6%, può comunque contare su 641 mila copie. Non moltissimi mesi fa il quotidiano diretto da Ezio Mauro era arrivato a sole 30-40 mila copie di distanza da via Solferino. Ora sono 110 mila, un gap che appare incolmabile, almeno nel breve periodo.

Va detto che il risultato molto negativo sconta la decisione di Largo Fochetti di interrompere le iniziative commerciali sul mondo delle scuole, che da sole valevano circa 100 mila copie al giorno, riconvertendo le operazioni sul web. Una scelta dolorosa ma anche apprezzabile quanto a trasparenza nei confronti del mercato. In generale il mondo dei quotidiani vive una fase di grossa instabilità. Tanto che chi mantiene le posizioni del 2007 può considerarsi bravo e fortunato. Così si può dire per la Gazzetta dello Sport, in lieve crescita (+0,4%,) come la Stampa e Il Sole 24 Ore (entrambi a +0,3%). Fa un po' più male il -0,7% al Messaggero, in quanto il giornale romano scende sotto la soglia psicologica delle 200 mila copie, attestandosi a 198.600.
paolo mieli

Più pesanti i segni negativi al Giornale e a Libero. La testata milanese guidata da Mario Giordano ha intrapreso da mesi una operazione «pulizia» che tende a eliminare tutte le copie provenienti da iniziative di marketing non più redditizie. E le diffusioni medie, così, ne risentono. Stesso discorso a Libero, dove però la discesa è più netta (-8,8%). Continua invece la forza tranquilla di Avvenire, che da qualche anno sale di poco, ma costantemente. Si attesta a quasi 107 mila copie, con un +1,7% che lo fa superare ormai stabilmente Secolo XIX e Gazzettino, sotto le 100 mila copie e quindi fuori classifica. (Claudio Plazzotta)

HUMAN FLESH SEARCH ENGINE

© giovanni caviezel, death, 1984

Cina, la prima causa vinta contro l'accanimento via Internet

Una sentenza punisce la «persecuzione» e la ricerca spasmodica sul web di informazioni personali

Il fenomeno dell'accanimento via Internet in Cina è molto diffuso (Reuters)
Il fenomeno dell'accanimento via Internet in Cina è molto diffuso (Reuters)
Per la prima volta un uomo cinese è stato giudicato legalmente danneggiato dalla rete, dove sono state pubblicate informazioni strettamente personali sul suo conto e commenti feroci che lo hanno portato addirittura a perdere il lavoro. Prima la sua reputazione nel cyberspazio è stata seriamente compromessa a causa di alcuni post ripresi dal blog personale della moglie (poi morta suicida) e successivamente sono nati vari blog e siti sul suo caso. Alla fine è stato licenziato, in seguito a un vero e proprio attacco diffamatorio che si è messo in moto sul web, generando una spirale di violenza e una sorta di caccia all'uomo. Ora il tribunale dà ragione al signore diffamato, contro un fenomeno conosciuto in Cina come Human flesh search engine, ovvero l'abitudine di investigare sulle persone e di perseguitarle utilizzando informazioni reperite in una rete dove l'odio esplode in maniera virale e gli scritti rimangono (scripta manent) in modo molto più indelebile che fuori dalla rete.

LA STORIA - Wang Fei ha 28 anni e una fidanzata di 23. Lavorava in un'agenzia pubblicitaria di prestigio, ma da quando il cyberspazio ha iniziato a brulicare di odio nei suoi confronti piano piano ha perso tutto. Da principio Zhang Leyi, un compagno di classe della moglie Jiang Yan, pubblicò sul proprio sito orionchris.cn alcuni post degli ultimi giorni di vita di Jiang, poco prima che si togliesse la vita gettandosi dal ventiquattresimo piano. Si trattava di confidenze di una moglie ferita per un tradimento e di pensieri nostalgici di una donna con una personalità, al di là dei torti subiti, vulnerabile e depressa.

I BLOG RENROU - La commovente storia di questa ragazza di trentun anni ha finito con il generare una massiccia dose di livore nei confronti di Wang Fei, divenuto subito capro espiatorio di una sofferenza e di un rancore generalizzati, e la sua vita e il suo indirizzo sono stati sbattuti in rete, causando una serie di conseguenze con un lungo effetto-domino. La miriade di blog e siti che vengono chiamati in dialetto mandarino Renrou (ovvero carne umana) hanno alimentato il fenomeno dello Human flesh search engine, facendo esplodere le ricerche su Wang Fey, scatenando una curiosità morbosa intorno alla storia e una persecuzione online.

OFF E ONLINE - L'ondata di cyberviolenza morale a un certo punto si è manifestata anche fuori della rete, compromettendo la reputazione dell'uomo cinese e causandogli un licenziamento in tronco. Ma ora il Tribunale di Pechino, per la prima volta, ha stabilito che il fenomeno dello Human flesh search engine va punito, in quanto reato a tutti gli effetti. Zhang Leyi (l'amico della moglie defunta) dovrà pagare 730 dollari al signor Fei e il sito Daqi.com, in quanto responsabile di violazione della privacy e atteggiamenti inneggianti l'odio, dovrà risarcirgli l'equivalente di 440 dollari. La sentenza ha profonde implicazioni anche sulla scena politica, dove le istituzioni si servono da sempre dei renrou blog e dei dati personali che circolano sul web per raggiungere le persone ricercate e per instaurare politiche di controllo.

Emanuela Di Pasqua
19 dicembre 2008

CHIUDE IL CHELSEA HOTEL



















Corrado Nuccini
C’è un posto a New York. E’ il Chelsea Hotel. In molti hanno vissuto lì. Poeti, girovaghi, musicisti e squattrinati hanno tutti trascorso giornate in quelle stanze, componendo, scrivendo, cazzeggiando, filmando, amandosi e morendo nei dodici piani dell’edificio che sorge sulla 23ª. In origine era un grande condominio. Anche se la parola inganna. Era un posto per ricchi dove dietro il tetro mix di art decò e gotico delle facciate si svelava il lusso sensuale degli appartamenti. Era al centro di una strada molto in voga. C’era l’Opera House Palace, la Pike’s Opera House e il Proctor’s Theater. Ma le cose prendono spesso altre pieghe e il declino fu rapido. Stava nascendo sulla 40ª il Teatro Empire, primo tassello della futura Broadway. La 23ª cadde nel dimenticatoio diventando riserva di lottizzatori e speculatori. Nel 1903, dopo il fallimento della cooperativa che gestiva il condominio, il Chelsea fu così trasformato in un hotel. Oggi si può affermare che quel declino abbia significato la sua fortuna. La gloria dimenticata del palazzo affascinò diversi artisti che ne fecero la loro casa, rendendo il luogo immortale.

Raccontare in poche parole gli avvenimenti che gravarono intorno al Chelsea Hotel è impossibile. Si devono fare delle scelte. E così questa che racconto è una delle tante storie. I protagonisti, gente comune. Dal nome di Andy Warhol, Bob Dylan e Edie Sedwick.

Era il 1966 quando Andy Warhol girò «The Chelsea Girls», summa della sua estetica nichilistica. Un’opera composta da 12 film di 30-35 minuti ciascuno, senza stacchi di montaggio, girati nelle camere art decò e dai soffitti altissimi del Chelsea Hotel. Fu mostrata in pubblico nella primavera successiva. Per 19 settimane solamente. Da allora è conservato in duplice copia al Museo di arte moderna di New York e al Museo Warhol di Pittsburgh. Davanti alla macchina da presa sfilano uomini e donne, icone warholiane: Nico, Marie Menken, Mary Woronov, Gerard Malanga, International Velvet, Ingrid Superstar, Angelina Pepper Davis, Ondine, Albert Rene Ricard, Rona Page, Ed Hood, Patrick Fleming, Mario Montez, Eric Emerson, Ari Boulogne e Brigid Berlin che in una scena memorabile si buca di methedrina attraverso i jeans.

In quegli anni al Chelsea Hotel c’era anche Bob Dylan. Sul letto della suite principale compose una delle sue più belle canzoni d’amore, «Sad eyed lady of the Lowlands», dedicata alla moglie Sara Lowndes. Dylan s’era sposato da poco ed in gran segreto. Così parallelamente viveva una storia d’amore con Edie Sedgwick. Attrice della Factory e musa preferita di Warrol. Si incontrarono ad una festa al Dakota e fu subito amore. “She’s so fabulous!”, disse lui poi chiedendo chi fosse quella ragazza. Lei era la settima di otto figli, famiglia benestante ma con grossi problemi all’interno. Padre che soffriva di crisi depressive, madre senza carattere. E lei “dentro di sé portava un buco nero” dice Victor Bockris, amico di Warrhol. Un male oscuro legato anche ad alcuni abusi che subì dal pradre in giovane età. Ma poi arrivò Dylan e le cose cambiarono in tutti i sensi.

“Edie lasciò Warhol per Bob Dylan. E pensare che voleva essere la lead singer dei Velvet Underground, ma Edie parlava solo di soldi e non sapeva nemmeno cantare. Il suo posto fu occupato da Nico” afferma Bockris . E prosegue “Nico introduce un nuovo stile dal ‘66 in poi. Se Edie era hot, Nico era cool. Edie era una ragazza. Nico è una donna”. Così passo sotto la “protezione” di Dylan. Era pronta per il grando salto. Albert Grossman, manager di Dylan, avrebbe dovuto farle firmare un contratto cinematografico di esclusiva per Hollywood.

Ma non ci fu mai alcun contratto e così rimase alla Factory. Una situazione surreale. Paul Morrissey e Gerard Malanga raccontano un aneddoto che spiega quella situazione “La relazione di Edgie Sedgwick con Bob Dylan venne fuori una sera in cui vedemmo Edie al Ginger Man. Ella ci disse che non voleva più che Andy Warhol - di cui era intima amica - mostrasse i suoi film… Ci disse di avere firmato un contratto con Albert Grossman, il manager di Dylan… Dylan le telefonava frequentemente per invitarla a uscire con lui, dicendole di non riferire a Andy o a chiunque altro che loro due si vedevano. La invitò a Woodstock, e le disse che Grossman sperava di riuscire a metterla insieme a lui. Avrebbe potuto essere la sua primadonna… Lei, convinta da Dylan, firmò un contratto con Grossman… Disse: Faranno un film, e pare che io ne sarò la protagonista assieme a Bobby. Improvvisamente, fu tutto un Bobby di qui, Bobby di là, finche non ci rendemmo conto che aveva una cotta per lui… A un certo punto, Andy Warhol non resistette più e le disse: “Edie, lo sai che Bob Dylan è sposato?” - Lei impallidì. Cosa? - disse - Non ci credo”.

Il resto è cronaca di un declino. Edie ebbe una relazione distruttiva con un amico di Dylan, inziò ad assumere droghe cosantemente. Si tolse la vità a 28 anni. Il Chelsea hotel ha chiuso i battenti quest’anno dopo una strenua resistenza trattenendo tra quelle mura gli echi di mille canzoni, parole, vaniloqui, litigi, gemiti d’amore e quant’altro quel luogo ha raccolto.

Questa storia è solo una delle mille leggende che gravitano intorno all’edificio. Scorrere l’elenco degli ospiti del Chelsea Hotel equivale a passare in rassegna un secolo di arte americana. William Burroughs vi scrisse «Il pasto nudo». Il Chelsea fu la casa di Milos Forman per tutto il tempo delle riprese di «Hair». O. Henry visse lì per anni registrandosi, ogni notte, sotto nomi differenti. A metà degli anni Settanta, Patti Smith e Robert Mapplethorpe vissero la loro storia d’amore impossibile tra le pareti di una delle sue stanze. Edgar Lee Masters vi scrisse 18 libri di poesie. Sempre lì Arthur Miller scrisse il dramma «Dopo la caduta», la sua spietata lettera d’addio a Marilyn. Lì Harry Smith cucì insieme le migliaia di nastri della sua «Anthology of American Folk Music», libro di testo sapienziale per tre generazioni di cantautori americani. All’ingresso dell’hotel una targa ricorda un altro dei suoi famosi inquilini, un poeta gallese grande e dannato: «Dylan Thomas visse e soffrì qui… e da qui salpò verso la morte». In una di quelle camere, nel febbraio del 1979, cercò e trovò la morte con un’overdose di eroina, Sid Vicious, il bassista dei Sex Pistols che pochi mesi prima, in un’altra stanza del Chelsea, aveva ucciso la sua fidanzata, Nancy Spungen. Una storia d’amore finita tragicamente, a differenza di quella che, negli anni Sessanta, unì per poche notti soltanto Leonard Cohen e Janis Joplin e alla quale il cantautore canadese dedicò la sua «Chelsea Hotel n. 2»

«I remember you well in the Chelsea Hotel, you were talking so brave and so free. Giving me head on the unmade bed while the limousines wait in the street and those were the reasons and that was New York»

Vorrei dire molte altre cose ma non darebbero un senso ulteriore a quello che ho raccontato. Sulla vita di Edie Sedgwick sta uscendo in Italia un film nelle sale in questi giorni. Dicono che non sia un granchè, però magari andatelo a vedere. Sulla canzone di Leonard Choen vi offro in anteprima la versione di Luca dei Julie’s Haircut. E’ una demo destinata ad un progetto di cui vi racconterò. E’ registrata in casa. La qualità è quella che è, però è sentimentale e vissuta. Quindi a me piace molto.

Ad Edie Sedwick, Andy Warhol, Bob Dylan, Leonard Cohen, Janis Joplin, alle camere decò del Chelsea Hotel, a Luca e tutte le persone citate in questa storia dedico questo terzo privatissimo rituale. (www.corradonuccini.com)

crimini tributari

Nel 2008 gli evasori totali
sono cresciuti del 30%
Sono 6.414 quelli scoperti dalla Guardia di Finanza. Iva evasa per 4,3 miliardi


ROMA - Ammontano a 27,5 miliardi i redditi non dichiarati e oltre 6.400 gli evasori completamente sconosciuti al fisco scoperti dalla Guardia di Finanza nel 2008. È questo il dato più significativo emerso nel corso della tradizionale conferenza stampa di fine anno che si è tenuta venerdì a Roma presso il Comando Generale e con la quale le Fiamme Gialle hanno reso noto il bilancio dell'attività operativa svolta quest'anno a tutela della sicurezza economico-finanziaria.

LE CIFRE - Nel rapporto annuale presentato dal Comandante Generale della Guardia di Finanza, generale Cosimo D'Arrigo, si legge che sono state constatate basi imponibili sottratte a tassazione per 27,5 miliardi e Iva evasa per 4,3 miliardi, ancora superiori ai dati del medesimo periodo della scorsa annualità, che già hanno rappresentato il massimo storico dell'ultimo decennio; inoltre sono state rilevate violazioni Irap per 19,4 miliardi, pari a quasi il 30% in più di tutto il 2007. Grazie ad una mirata e penetrante attività di programmazione delle attività di contrasto all'evasione è aumentato il rendimento medio di ogni singolo intervento ed è pertanto migliorata la qualità complessiva delle verifiche svolte. Si è conseguentemente prodotto un avanzamento sistematico della lotta all'evasione fiscale. Questo dato, viene sottolineato nel Rapporto, è confermato anche dagli esiti dell'attività operativa nei confronti dei soggetti che sfruttano il lavoro nero e irregolare e che non presentano affatto le dichiarazioni dei redditi e Iva.

L'AUMENTO DEGLI EVASORI - I redditi evasi contanti nei riguardi dei 6.414 evasori totali scoperti quest'anno ammontano a 8,8 miliardi, con aumento della resa media di ogni singolo intervento, rispetto a quella dello scorso anno, pari a circa il 30%. Parimenti in sensibile aumento è il rendimento del contrasto all'evasione e all'elusione fiscale internazionale; in questo settore sono state constatate basi imponibili evase per 5,1 miliardi, quasi tre volte a quelle di tutto il 2007, pari a 1,9 miliardi. Anche per le frodi fiscali penalmente rilevanti, che hanno condotto alla denuncia all'autorità giudiziaria di quasi 7400 persone, si è rilevato un aumento dell'Iva evasa mediante l'emissione e l'utilizzo di fatture operazioni inesistenti, pari a 2,3 miliardi, superiore del 45% rispetto a quella scoperta nel 2007. Sul settore della spesa pubblica, per indebite percezioni di incentivi nazionali e comunitari, anche nel settore della spesa sanitaria, sono state scoperte truffe e responsabilità per danni erariali per circa 1,9 miliardi; in questo contesto spicca l'incremento delle frodi al bilancio comunitario, aumentate del 91% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Sono stati, inoltre, sequestrati capitali e patrimoni pari a 582 milioni, costituenti prodotto, profitto o reinvestimento di reati di riciclaggio, usura, falsificazione di mezzi di pagamento, trsferimenti all'estero di valuta e altri reati societari e finanziari.

giovedì 18 dicembre 2008

IL REGIME NAPOLETANO DI SINISTRA PRONTO AL CROLLO?


da La Stampa Online
La rabbia di Napoli
"Qui la sinistra ha creato un regime"

E il Pd ora teme che il ciclone si abbatta sul Campidoglio
MARCELLO SORGI
INVIATO A NAPOLI
E se adesso toccasse a Roma? La domanda nessuno la fa a voce alta. Ma la paura è dipinta sulle facce dei politici che sfilano sulle tv locali. Con Napoli, l'accerchiamento è completo. Dopo la Liguria, la Toscana, l'Abruzzo, la Basilicata, la Calabria, il timore che una nuova inchiesta presto punti diritto al quartier generale del Pd cresce di ora in ora, alimentato dal coinvolgimento del parlamentare Lusetti (insieme al collega di An Bocchino) nell’indagine sul «Global service» partenopeo, dalla vicinanza di Lusetti a Rutelli (i nomi dell’ex vicepresidente del consiglio e dell’ex ministro Fioroni compaiono nelle carte giudiziarie), e dalle mille voci che dicono che anche nella Capitale il lungo quindicennio del centrosinistra alla guida del Campidoglio potrebbe entrare a breve nel mirino della magistratura.

Napoli come anticamera di Roma. Napoli come paradigma del degrado amministrativo del centrosinistra, che qui è esploso fragorosamente con il disastro della monnezza, ma anche altrove, come s’è visto, funzionava (o non funzionava) allo stesso modo. «In un certo senso la questione giudiziaria non è la cosa più importante - spiega Andrea Geremicca, a lungo vicesindaco ed assessore nella prima stagione delle giunte di sinistra, e oggi a capo della Fondazione «Mezzogiorno Europa» - non perché non sia grave l’arresto di alcuni assessori o il suicidio, prima dell’arresto, di uno di loro.

Ma in termini politici, tutto era già avvenuto prima. La crisi dei partiti. Le guerre tra gruppi e correnti, ai quali i leader nazionali hanno lasciato mano libera, all’interno del Pd neonato. E poi il distacco assoluto della politica dalle istituzioni, l’assenza di discussione, la mancanza di mobilitazione dell’opinione pubblica, la degenerazione del leaderismo, l’asfissia del ricambio della classe dirigente».

Dicono che in questi giorni i membri della nomenclatura napoletana vivano un po’ come quelli sovietici negli anni dello stalinismo: quando sentivano bussare alla porta al mattino, non potevano sapere se a suonare il campanello fosse il lattaio o le guardie venute per arrestarli. Molto più di Genova, Pescara, Potenza o Reggio Calabria, Napoli è da sempre, per definizione, un caso nazionale. La rivoluzione dei sindaci, in fondo, era partita da qui.

La caduta del vecchio sistema qui era stata più fragorosa che altrove, con l’improvvisa cancellazione dei «signori della miseria» che per decenni avevano prosperato sulla disperazione del Sud. Oggi resta ben poco del Rinascimento napoletano che aveva fatto risplendere la città, con Piazza Plebiscito liberata finalmente dal traffico e dalle auto in terza fila, nei giorni lontani del G7 del ‘94. La crisi nel rapporto tra istituzioni sorde e società civile indifferente, rassegnata, l’ha denunciata con forza il cardinale Sepe, forse l’unica autorità riconosciuta e anche il solo che dal pulpito e nelle strade cerca di ricostruire una rete di valori.

Il magistrato-intellettuale Raffaele Cantone, a lungo impegnato contro il clan dei casalesi, la sua personale e reale Gomorra, che lo costringe a vivere sotto scorta, non vorrebbe parlare. Chiarisce che non può esprimersi sulla portata di inchieste a cui non ha preso parte. Ma aggiunge: «La caduta di credibilità della classe dirigente si era già consumata del tutto sulla questione della monnezza. Quando le istituzioni locali, a qualsiasi livello, hanno dimostrato di non essere in grado di porre rimedio a un problema così grave e per così lungo tempo, gettando la cittadinanza nel degrado e mettendone a rischio la salute, si sono giocate insieme prestigio e fiducia».

Né vale il tentativo di Bassolino (e oggi del sindaco Iervolino) di resistere e tentare di recuperare, sull’onda della drastica ripulitura militare ordinata da Berlusconi. «Bassolino può pure aspettare, illudersi che l’indifferenza di una società civile presa politicamente a martellate possa consentirglielo, ma sbaglia a non riconoscere che il suo ciclo s’è chiuso - accusa Biagio De Giovanni, filosofo di fama mondiale, coscienza critica della sinistra napoletana, titolare della cattedra Jean Monnet di storia dell’integrazione europea all’Istituto Orientale - l’idea che l’attesa sia obbligata, per consentire la nascita di una classe dirigente alternativa all’interno del centrosinistra, non sta in piedi.

L’alternativa non è nata perché negli ultimi anni qui c’è stato un regime. Un potere asfissiante in cui, a cominciare dall’interno della sinistra, ogni voce dissonante, ogni critica, ogni obiezione veniva tacitata, con le buone o con le cattive». Consulenze a pioggia. Professori di quelli che scrivono editoriali sui quotidiani assoldati nei think-thank pubblici con stipendi di decine di migliaia di euro. Molte chiacchiere, molti annunci, molte incompiute, quasi nessuna realizzazione.

E se oggi la Iervolino è riuscita a mettere insieme contro di sé, tutti insieme, la Curia, l’Unione Industriali, buona parte degli intellettuali e l’insieme dei giornali locali, non dipende solo dalle avversità degli ultimi tempi. Ma dall’assoluta inefficienza di un’amministrazione paralizzata dai veti interni e dal braccio di ferro tra «cacicchi» e potentati locali. «Il problema non è la moralità dei singoli, alla cui buona fede posso perfino credere, fino a prova contraria. Piuttosto, le amministrazioni immobili - scandisce il presidente dell’Unione industriali Gianni Lettieri - hanno i fondi e non riescono a spenderli. Quando lo fanno, è senza progetti significativi. Prenda il termovalorizzatore, di cui ancora adesso si discute senza realizzarlo. Per il Comune sarebbe un affare, gli consentirebbe di far cassa. Noi abbiamo offerto tutto l’appoggio, anche finanziario, per costruirlo, ma si continua a rinviare. E lo stesso vale per la riqualificazione di Bagnoli o per i quattro milioni e mezzo di metri quadri di proprietà del Comune lasciati in abbandono, o per il Piano regolatore, fermo da quindici anni. Nessuno riflette o si interroga su come vorremmo che fosse Napoli tra dieci anni. E neppure sul giorno per giorno».

C’è però una ragione che, al di là degli sviluppi giudiziari che potrebbero avere il sopravvento, spinge all’arroccamento Bassolino e Iervolino. Se si dimettessero, aprendo la strada a elezioni anticipate, in Campania finirebbe come in Abruzzo, centrodestra al governo, Pd in rovina, fuga in avanti di Di Pietro. «Si lo so, dicono che le elezioni non risolverebbero nulla e non porterebbero personale politico migliore dell’attuale - ragiona Geremicca -. Ma a parte il fatto che noi siamo sempre i migliori e sosteniamo la democrazia quando siamo al governo, pronti a cambiare idea se si profila un ricambio, chi ci dice che tra due anni gli elettori non ci daranno uno schiaffone anche più sonoro di quel che ci aspettiamo? E soprattutto - conclude - chi può assicurare che in questa situazione, in cui è evidente che s’è rotto il rapporto tra governanti e governati, Bassolino e Iervolino ce la faranno a resistere per altri due anni?».

New York: iPod Tax


Negli Usa arriva l'iPod tax
stangata sulla musica digitale
Lo stato di New York vuole il 4% su ogni brano scaricato. Le major del disco insorgono: "Una decisione che ci spingerà nel baratro" di ERNESTO ASSANTE


Negli Usa arriva l'iPod tax stangata sulla musica digitale
SONO anni che le grandi case discografiche multinazionali combattono con la Apple per aumentare il prezzo dei download su iTunes, rompendo quello che fino ad oggi sembrava un muro invalicabile, quello dei 99 centesimi a canzone. E invece a far salire i prezzi delle canzoni scaricate ci riuscirà il governatore dello stato di New York, David Paterson, che ha deciso di introdurre una tassa del 4 per cento su ogni canzone scaricata. E anche su ogni altro contenuto d'intrattenimento distribuito digitalmente.

"È una mazzata su un mercato che sta cercando di risollevarsi dalla crisi". Lo dicono i responsabili della Riia, l'associazione dei discografici americani. "È una tassa del tutto immotivata che rallenterà la crescita e spingerà ancora più verso il baratro l'industria della musica", gli ha fatto eco uno dei responsabili dell'Ifpi, l'associazione internazionale della discografia.

Ma le proteste dei discografici non dovrebbero fermare il governatore, che ha un problema molto grande da affrontare, quello del calo delle entrate fiscali dovuto alla crisi di Wall Street. "Il punto in cui siamo è questo - ha detto Paterson ai giornalisti - forse ci avremmo dovuto pensare quando pensavamo che le tasse che incassavamo da Wall Street fossero inesauribili. Ora quelle tasse sono scivolate via. E bisogna fare qualcosa".

Per provare a "chiudere" un buco di circa 15 milioni di dollari nel budget Paterson ha proposto l'introduzione di ben 88 nuove tasse e balzelli, non solo quella sui download, prontamente battezzata "iPod Tax". Il governatore vuole infatti tassare anche i biglietti del cinema, le corse in taxi, le bottiglie di soda, di birra e di vino, i sigari, le palestre e i massaggi, i vestiti sotto i 100 euro, le tv via cavo e satellite. Puntare sul download ha una motivazione indubbia: il mercato della musica digitale, al contrario di quello dei cd, è in continua crescita da molti anni. In alcuni paesi del mondo, come la Corea ad esempio, rappresenta già oggi il 50% del mercato, ma in altri, come gli Stati Uniti, seppure le vendite crescano in maniera esponenziale, il guadagno digitale non è riuscito a compensare le perdite causate dal drastico calo di vendite dei cd, portando ad un serio ridimensionamento dell'industria discografica.

La leva del prezzo basso del download, 99 centesimi per canzoni, 9 dollari e 99 per un album intero, è stata la principale usata da Steve Jobs e dalla Apple per imporre non solo l'iPod ma soprattutto iTunes, il negozio di download digitale della sua azienda, che attualmente rappresenta più del settanta per cento dell'intero mercato digitale mondiale. Pian piano iTunes ha iniziato a rendere scaricabili anche programmi televisivi, libri, film, diventando il centro del nuovo mercato elettronico dell'intrattenimento.

Lo stato di New York non sarebbe comunque il primo a introdurre questa tassa, altri diciassette stati americani l'hanno già attivata da alcuni anni, Nebraska, Tennessee, il District of Columbia, Alabama, Louisiana, Maine, New Jersey, New Mexico, South Dakota, Arizona, Colorado, Hawaii, Idaho, Indiana, Kentucky, Texas, Utah. La tassa, in realtà, non ha mai colpito i grandi retailers come iTunes, che ha sede in California, dove i download non vengono colpiti. La legge americana non consente di tassare il download nel luogo da cui viene richiesto, ma nel luogo da cui viene messo a disposizione degli utenti, il che fino ad oggi ha reso iTunes, operativo dalla California, immune da aumenti.

UNA CLASSE DIRIGENTE CORROTTA CHE NON SE NE VUOLE ANDARE

Cosa aspettano ad andare a casa?

Napoli, Pescara, Basilicata. Una classe dirigente corrotta. e che resta attaccata alla poltrona
La bufera giudiziaria annunciata per giorni e giorni da indiscrezioni e boatos è arrivata. Tredici ordinanze di custodia cautelare scuotono il Comune di Napoli: per presunte irregolarità nella delibera del Global service finisce in carcere un big dell’imprenditoria, Alfredo Romeo, che secondo i pm avrebbe fatto in modo di ottenere un appalto «cucito» su misura.

Ai domiciliari due assessori della giunta Iervolino, Ferdinando Di Mezza e Felice Laudadio, e due ex componenti della squadra del sindaco: Enrico Cardillo, che solo pochi giorni fa aveva annunciato l’addio alla politica, e Giuseppe Gambale, già sottosegretario all’istruzione e componente della commissione antimafia. Tra i destinatari delle misure cautelari anche l’ex provveditore alle opere pubbliche della Campania Mario Mautone, e il colonnello della Guardia di finanza già in forza alla Dia Vincenzo Mazzucco, accusato di aver fatto da «talpa» a beneficio degli indagati. E nell’inchiesta spuntano anche i nomi di due politici "nazionali", Italo Bocchino del Pdl e Renzo Lusetti del Pd.
I due parlamentari avrebbero favorito Romeo, e per loro è stata chiesta al Parlamento l’autorizzazione all’uso di intercettazioni che li coinvolgono. Agli arresti domiciliari sono Paola Grattani (sua collaboratrice), Guido Russo (ex funzionario dell’Arpa di fatto collaboratore di Romeo), l’ex assessore comunale all’istruzione ed ex parlamentare Giuseppe Gambale, l’ex assessore al bilancio del comune Enrico Cardillo, gli assessori comunali in carica Ferdinando Di Mezza (sue le deleghe al patrimonio e alla manutenzione degli immobili) e Felice Laudadio (edilizia), l’ex provveditore alle opere pubbliche della Campania Mario Mautone e il colonnello della guardia di finanza già in forza alla Dia Vincenzo Mazzucco. Destinatari di ordinanze sono inoltre Vincenzo Salzano e Luigi Piscitelli.
Ma se, ammettiamo a Milano, un paio di assessori della giunta Moratti venisse arrestata, non chiederemmo le dimissioni del Sindaco? E allora: perchè la Iervolino non se ne va?

Marco

QUELLI A CUI IL GOSSIP FA SCHIFO

LA SINISTRA SNOB: "PERDIAMO? COLPA DEL GOSSIP"
Michele Brambilla per "Il Giornale"

La rivincita è arrivata in contemporanea alla sconfitta: mentre ancora era in corso lo spoglio delle schede che sancivano l'ennesima prova del distacco tra gli italiani e quella cosa ancora informe, indistinta, non chiarita che è l'eredità del Partito comunista, la sinistra ha ribadito la propria superiorità culturale, intellettuale, etica e morale prendendo a sberle il mondo dei buzzurri berlusconizzati che si nutrono di gossip, di apparenza, di tv spazzatura. Punching ball del Paese sano, erudito e de sinistra è stato Alfonso Signorini, direttore di Chi e di Sorrisi e Canzoni Tv, preso a sberloni da Gad Lerner e da alcuni illuminati durante L'infedele dell'altra sera, su La7.
Bruno Ermolli e Antonella Boralevi - Copyright Pizzi

La puntata aveva per tema «Perché siamo tutti vanitosi?» e Signorini, che è una persona spiritosa ma forse anche un po' troppo candida, aveva accettato l'invito credendo - ma pensa un po' - che il tema fosse proprio quello: perché siamo tutti vanitosi. Invece s'è capito subito che quel «tutti» non era proprio un «tutti»: Gad Lerner già dall'introduzione ha fatto intendere dove si stava andando a parare rivendicando il proprio snobismo, che «contrasta oggi con il gusto di un'esibizione forte», la quale ostenta «fortuna, capacità seduttive e perfino ricchezza a più non posso come strumento di consenso e formazione del potere». Chissà a chi alludeva.

Rapida presentazione degli ospiti: Signorini, appunto, e poi Franco Cordero, il professore che scrive dottissimi articoli su Repubblica non cedendo mai al turpiloquio (e infatti non scrive «Berlusconi», scrive «B.»); i filosofi Gianni Vattimo e Laura Bazzicalupo, Maria Laura Rodotà del Corriere della Sera e l'architetto Quirino Conti, che è stato il curatore della «fisicità» (non dell'immagine: della «fisicità») del presidente della Provincia di Milano Filippo Penati del Pd, e che ha vinto puntando sulla «sobrietà».

Si è capito subito, dicevamo, dove si voleva andare a parare. Gad Lerner ha preso in mano un numero di Chi (bello o brutto che sia, è uno dei settimanali più diffusi in Italia) e l'ha fatto girare tra le mani dei suoi ospiti. L'avete mai vista, questa roba qui? Franco Cordero, che è un uomo di un altro livello rispetto agli esibizionisti immortalati da Chi, e infatti era in studio con una giacca a quadri anni Settanta e un paio di scarpe da trekking (indispensabili, in uno studio televisivo) ha giurato: mai visto prima questo giornale, né ne ho mai sentito parlare.

E lei, professor Vattimo? «Mah, forse sapevo dell'esistenza, credo di aver visto la pubblicità, ma non l'ho mai maneggiato», ha detto Vattimo, che i giornali non li legge: li maneggia. E lei, professoressa Bazzicalupo? Qualche volta sì, ma solo dalla parrucchiera, comunque non lo compro. Solo Maria Laura Rodotà - quella più con i piedi per terra, c'è parso - ha detto che come no, certo che lo legge, anzi le serve moltissimo per capire come va l'Italia.

Gad Lerner dice che «Signorini è l'ideologo del pensiero dominante, che è la vanità», ma forse è troppo tenero e allora parte un filmato che definisce meglio il direttore di Chi: «Un cortigiano, intellettuale organico gramsciano dell'era Berlusconi», «il tramite ideale tra Berlusconi e l'esteriorità invidiabile del successo», «lo Spin doctor della casa reale». Ma Gad è rassicurante, quando finisce il servizio guarda Signorini e gli dice: «Tutto vogliamo questa sera tranne che farti un processo». Forse perché il processo è inutile, essendo la sentenza già scritta.

Vattimo tira in ballo Luigi XIV e Luigi XVI, «che grazie a Dio è stato ghigliottinato». Cordero fa un pippone di dieci-minuti-dieci su Pascal e La Rochefoucauld, invano si attende una scritta in sovraimpressione: attenzione, guardare solo su prescrizione medica, può indurre sonnolenza. Conti ci spiega che «Berlusconi rappresenta una perfezione mediocre» e avverte: «Siamo dentro una tragedia estetica». Si parla anche di Dagospia e di Cafonal, Vattimo chiarisce: «È l'Italia che vota a destra e fa schifo».

È così: l'Italia che vota centrodestra è l'Italia pessima di Cafonal e di Chi, il cui direttore si toglie però lo sfizio di correggere Lerner che sbaglia una citazione in latino e di gelare la platea con un dato: ogni estate, il record di vendite il suo settimanale di gossip lo fa alle edicole di Capalbio.

Finisce con Gad Lerner che si chiede se «la nostra società è irredimibile», e se mai si sberlusconizzerà. Dopo chissà, forse è seguita una cena al Bolognese, tra compagni che si domandano come mai la sinistra non capisce più questo popolo di idioti che legge Chi dal parrucchiere.

sabato 13 dicembre 2008

FAZIOSITA'


Ma Fabio Fazio non è Letterman

Povera Rai, se il presidente Petruccioli confonde David Letterman con Fabio Fazio. Se Fazio continua a confondere la bellezza con l'idea che i perbene hanno della bellezza. Se anche i perbene restano allibiti davanti al riportone di Donald Trump. Se i reality invitano il marito di Ivana Trump (che scandalo!) e Fazio invita Mr Trump, in persona, in uno dei più lussuosi ristoranti di New York e toccherà a noi pagare il conto.
David Letterman (Ap)
David Letterman (Ap)
Povera Rai, se le serate promozionali di lancio di un qualcosa vengono scambiate come servizio pubblico e, peggio ancora, come cultura. Se gli autori di Fazio, che non sono quelli di Letterman, gli suggeriscono Gramsci ma ci tengono a distinguere la musica d'arte dalla musica pop, se fanno la tipica cosa kitschiosissima, da ordinary people, ma la spacciano poi per raffinatezza. Per fortuna c'è Luciana Littizzetto.

Povera Italia, se l'onorevole Gasparri è convinto che Fazio sia un pericoloso eversivo, se Nicoletta Pavarotti insegna come devono essere le critiche («costruttive», naturalmente), se nel mondo siamo sempre quelli di «Funiculì funiculà», se per mettere in piedi un collegamento da New York bisogna mandare la valletta Filippa in trasferta con quattro sfaccendati della City, se Bocelli ha una voglia matta di raccontare la sua visita al Quirinale e Fazio lo frena, per non far sapere che c'era anche lui. Povera Raitre, se per dedicare una serata a un bravo cantante (special edition di Che tempo che fa, Raitre, giovedì, ore 21,10) bisogna invitare in studio anche Marcello Lippi e Roberta Armani, Caterina Caselli e Umberto Guidoni, la mamma e la compagna, quasi per coprire la serata con un aulico manto da parata social- familiare, oltre tutto marchiato dalla fastidiosa certezza di essere dalla parte giusta. Per fortuna, ci sono Antonio Albanese e Cetto Laqualunque. Povera Rai? Programma stonato, programma fortunato. È la bellezza, Italia!

Aldo Grasso
13 dicembre 2008

venerdì 12 dicembre 2008

REMEBERING BETTY

CIAO BETTY


Deceduta Bettie Page, la regina
delle pin-up degli anni Cinquanta
Con un fisico esplosivo, da segretaria divenne una delle modelle più famose e ricercate per foto «spinte»

LOS ANGELES - Bettie Page è deceduta nella notte in un ospedale di Los Angeles, dove era ricoverata da tre settimane per una polmonite. Alcuni giorni fa era stata colpita da un attacco cardiaco. Nata a Nashville (Tennessee) il 22 aprile 1923, Bettie (o Betty) Page da segretaria divenne una delle modelle più fotografate negli anni Cinquanta, quando divenne la regina delle riviste per soli uomini. Nel gennaio 1955 anche Hugh Hefner la scelse per essere una delle prime conigliette del mese per Playboy.

IN BIKINI - Le sue foto in bikini,o in completini di biancheria intima, talora in abbigliamenti sadomaso o le prime foto di bondage, furono un preludio alla rivoluzione sessuale degli anni Sessanta. Smise di posare nel 1957, e un paio d'anni dopo divenne una cristiana rinata. «Catturò l'immaginazione di una generazione di uomini e di donne con il suo spirito libero e la sua sensualità senza remore. È l'incarnazione della bellezza», ha scritto il suo agente Mark Roesler nel sito online a lei dedicato.

mercoledì 10 dicembre 2008

OBAMA E "CROOK COUNTRY"


NELLA "CONTEA DEI LADRI" CORROMPERE È LA REGOLA...
da "La Stampa"

Possiamo escludere che Obama sia stato al corrente di quanto faceva il governatore Rod Blagojevich?». L'insidiosa domanda del reporter del «Chicago Tribune» al procuratore Patrick Fitzgerald è una finestra sul mondo della politica di Chicago, denominato «Crook County» ovvero la contea dei ladri, dove a regnare è il sospetto. Il vero nome della contea che ospita Chicago è Cook ma il gioco di parole cela il cinismo con cui gli abitanti e l'America intera danno per assodato l'intreccio fra politica, crimine e malaffare nella città in cui spadroneggiava Al Capone, trovò la morte l'imprendibile rapinatore Bill Dillinger e governa il medesimo partito - i democratici - dal 1931, quando William Hale Thompson lasciò il posto a Anton Cermark, assassinato due anni dopo.

martedì 9 dicembre 2008

IN FUTURO- LE FOTO DI FRANCESCO DI GIOVANNI A ACIREALE


FRANCESCO DI GIOVANNI
IN FUTURO


Acireale (CT) - Zero69 Centro Culturale e Lounge Bar
dal 9 dicembre 2008 al 5 gennaio 2009
inaugurazione: martedì 9 dicembre 2008, ore 19

Pensare il futuro è compito "storico" dell'arte, e di quella parte della scienza (sempre più piccola) che ancora con l'arte traffica, la scienza teorica. Fotografarlo, il futuro, è idea geniale. Fotografare "questo tipo" di futuro, intendo dire. Non che la fotografia non ci abbia abituato a scenari futuristici, ma si è sovente trattato di paesaggi apocalittici, di medioevi futuri,
o, nei casi ottimistici, di melting pot più o meno riusciti, ma tutto questo, però, restando sempre nell'ambito del "mondano". E non è il futuro del mondo che ci interessa, che interessa, voglio dire, all'arte. è il futuro metafisico con il quale il pensiero creativo si scontra, con le variabili impazzite dei campi gravitazionali, con il movimento della materia al di sotto dello sperimentabile, andando avanti per tentativi, cercando difficilissimi riscontri. Per questo non ci sono "fotografi" ai quali vorrei affiancare le opere di questo artista. Mi viene in mente invece Burri, la "materia" del suo lavoro. è certo che potremo fotografare Dio soltanto in futuro, quando non sarà difficile farlo mettere in posa. Ma allora sarà soltanto fotografia. Cercare di fotografarlo "adesso" è arte. è arte che ci interessa.
Ottavio Cappellani
("Il futuro che ci interessa", dal catalogo)

La fotografia, ovvero “disegnare con la luce” è la porta attraverso la quale Francesco Di Giovanni accede a un mondo paradossale di figure antifotografiche e forse prefotografiche, sublimamente astratte e però “calde”, vive e palpitanti.
Come succede a tutti gli artisti, le tecniche sono per Di Giovanni chiavi linguistiche, sentieri cognitivi che si intersecano e a volte si interrompono, sempre comunicando fra loro come le strade di un infinito labirinto: ed ecco dunque riapparire nelle immagini di Francesco quel senso del colore e dello spazio, che in pittura esplode, materico e cinetico mentre nelle
immagini fotografiche si libra impalpabile e leggero, a caccia di spettri luminosi. Le larve meccaniche inquadrate dall’autore si spogliano della loro veste tecnologica, sorprese dall’obiettivo, e si riconfigurano in una strana biologia cromatica e antica, come pesci abissali dentro un acquario nero: come sempre, il meccanismo fotografico smonta il meccanismo del tempo. Il tempo (e il tempo di Francesco è, onticamente, il futuro) vissuto dal giovane e promettente autore è catturato fra le maglie di una percezione pittorica e colorata, attraverso la quali traspare, attutita e lontana, allusiva, la referenzialità del mezzo, ma decantata e marginalizzata, resa innocua. Tutto il lavoro di Di Giovanni si concentra sulla qualità fantasmatica del mezzo fotografico, sulla sua capacità di svelare e nascondere il reale e di scavare dentro e dietro l’analogon sartiano, facendoci riassaporare l’ingenua primitiva bellezza della prima fotografia (Henry Fox Talbot) e la magnifica decostruzione del meccanismo fotografico offertaci da Man Ray.
Giovanni Caviezel
("L'antifotografia del futuro", dal catalogo)

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Francesco Di Giovanni è nato a Catania il 21 dicembre 1991. Vive a Giarre, dove frequenta la sezione “Sperimentale
Area dei beni culturali” (Rilievo e catalogazione) dell’Istituto Statale d’Arte ed è responsabile del “Settore fotografia”
dell’Associazione culturale “Arte al cubo”.
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La mostra vuole essere un'occasione di incontro. Durante il periodo dell'esposizione convergeranno molteplici attività
artistiche relative alle aree: editoria, fotografia, installazioni, letteratura, musica, poesia.
Il programma completo degli eventi è disponibile on line su: www.artealcubo.it
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COORDINATE EVENTO
Mostra "FRANCESCO DI GIOVANNI. IN FUTURO"
Sede Zero69 Centro Culturale e Lounge Bar / Piazza Giuseppe Garibaldi 28 - Acireale (CT)
Durata dal 9 dicembre 2008 al 5 gennaio 2009
Inaugurazione martedì 9 dicembre 2008, ore 19
Organizzazione Associazione Arte al Cubo Eventi, TRIBE Società Cooperativa, Zero69
Catalogo A&B - Bonanno Editore. Testi di: Ottavio Cappellani, Giovanni Caviezel, Antonino Di Giovanni, Giacomo
Alessandro Fangano, Antonio Ferrero, Rosario Lambiase, Valeria Raciti, Arianna Rotondo, Chiara Tinnirello, Vanessa
Viscogliosi
Orari dal giovedì al martedì 16-02
Ingresso libero
Telefono sede 095601496
Email info@zero69.it / digiovannifrancesco91@gmail.com
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UFFICIO STAMPA
TRIBE Società Cooperativa
tel.: 339.5626111 - 338.8913549 fax: 1786019215
sito web: www.tribearl.it; e-mail: ufficiostampa@tribearl.it